Referendum in Scozia, la vittoria del No da più voce ad Edimburgo
È la vittoria della stabilità, dell'unità e della storia. E, con tutta probabilità, è la più grande vittoria politica della storia scozzese.
La decisione di bocciare l'autonomia politica, economica e sociale da Londra e rimanere a far parte del Regno Unito è da leggere più come un passo in avanti per i cittadini della parte settentrionale del paese che come una sonora sconfitta.
Questo, innanzitutto perché, i rappresentati politici dei tre maggiori partiti britannici ovvero David Cameron (capo dei conservatori e attuale primo ministro), Ed Milliband (numero uno del partito laburista) e Nick Clegg (attuale leader dei liberal democratici e vice primo ministro), al fine di bloccare l'eccezionale avanzata dei “Si” – quindi di coloro che si sono schierati a favore dell'autonomia scozzese dal Regno Unito – hanno messo sul tavolo della discussione concessioni di grande valore a favore dello stato scozzese nel momento in cui questo fosse rimasto all'interno del Regno Unito.
Dalle materie fiscali a quelle previdenziali, passando per le tassazioni finanziarie, alle rendite ed all'eredità. Il pacchetto di devolution, si direbbe paradossalmente in Italia, è ampio e prevede anche tempi strettissimi per la sua realizzazione. Già entro il prossimo gennaio i primi frutti di tale apertura all'autonomia “controllata” di Edimburgo dovrebbero divenire concreti, concedendo così ai rappresentanti politici scozzesi maggiore mano libera sulla gestione delle risorse economiche provenienti dal paese e, soprattutto, sul loro indirizzo in termini di politiche sociali ed economiche.
È opportuno sottolineare che tali mosse politiche, finalizzate come detto ad invogliare l'elettorato scozzese a votare per il “No”, sono anche frutto del calcolo politico che in caso di sconfitta dei cosiddetti unionisti aveva previsto un vero e proprio terremoto a Westminster con le scontate dimissioni di Cameron dalla carica di primo ministro (il suo nome sarebbe stato legato indissolubilmente alla disgregazione del Regno Unito), così come per gli altri due leader politici.
La vittoria del No ha generato una grande sospiro di sollievo all'interno dell'establishment politico londinese, anche perché come sottolineato più volte dai sostenitori dell'indipendenza, la Scozia attualmente è una pedina fondamentale per il sistema economico britannico, viste soprattutto le vaste riserve di risorse naturali, in particolari idrocarburi, che contribuiscono a fare del paese uno dei più ricchi d'Europa ed attore primario nella gestione delle politiche energetiche nazionali.
Sono comunque molti i dubbi procedurali e legislativi legati alla trasformazione in pratica delle concessioni politiche elargite, per così dire, in queste ultime settimane dai leader unionisti, settimane è bene sottolineare caratterizzate da una campagna elettorale durissima, dove i sostenitori dell'indipendenza hanno conquistato costantemente terreno mettendo in seria difficoltà i promotori del No. Uno dei punti cardine delle riforme annunciate se il No avesse vinto riguarda, ad esempio, la tassazione che secondo quanto auspicato dai parlamentari scozzesi dovrebbe far sì che d'ora in avanti Edimburgo possa organizzare in modo autonomo il proprio sistema di tassazione con un ruolo estremamente limitato di Londra. Ciò significherebbe per Westminster perdere di fatto una casella di grande rilievo nella complicata scacchiera nazionale. Inoltre, in questo stesso esempio, le posizione dei tre principali partiti sono distanti tra di loro e sarà interessante, dal punto di vista politico s'intende, vedere come le tre componenti del parlamento unito riusciranno a mantenere fede agli impegni assunti durante la recente campagna referendaria.
In questo gioco di specchi e di contromosse, uno dei vincitori assoluti sembra essere lo scozzese ex premier laburista britannico e grande promotore del No Gordon Brown che ha organizzato e orchestrato la campagna referendaria contraria all'indipendenza.
Molti esponenti politici conservatori hanno già espresso profondo disappunto in merito al ruolo giocato da Brown e soprattutto all'imposizione de facto della sua agenda politica pro-Scozia al Parlamento Britannico che quindi dovrebbe mantenere la parola data e concedere, in termini di autonomia e indipendenza, quanto garantito in campagna elettorale.
La vittoria del fronte del No spiana la strada anche alle rimostranze delle altre due componenti del Regno, ovvero Galles e Irlanda del Nord che del tutto legittimamente potrebbero sentirsi discriminati dalle aperture ottenute da Edimburgo e, quindi, promuovere a loro volta, movimenti indipendentisti finalizzati all'acquisizione di maggiore potere in termini di contrattazione economica interna.
Di sicuro sono tante le questioni che il referendum scozzese lascia aperte e, come hanno più volte sottolineato in questi giorni numerosi commentatori, la Scozia e il Regno Unito non saranno più gli stessi dopo questa lunga giornata di passione.