Il referendum per l’indipendenza tenutosi ieri in Catalogna è destinato a lasciare strascichi pesanti dal punto di vista politico e culturale, non solo per la decisione del Governo spagnolo guidato da Mariano Rajoy di inviare la Guardia Civil per provare a impedire lo svolgimento della consultazione. Oltre a circa 800 feriti, ai danni alle scuole, alle inchieste dell’ONU sulle violenze, alle accuse reciproche fra la polizia nazionale e quella locale, i Mossos catalani, alla tensione tra il Governo regionale e quello di Madrid, restano ancora sul tappeto una serie di questioni di enorme rilevanza, con conseguenze tutte da valutare.
Il Governo guidato da Carles Puigdemont aveva chiesto ai cittadini di esprimersi sulla trasformazione della Catalogna in uno stato indipendente in forma di Repubblica: i catalani hanno votato in 2,3 milioni, con la schiacciante vittoria dei Sì, il 90%. Il voto si è tenuto tra mille problemi e in molti ne hanno contestato la trasparenza, mettendone in dubbio anche i risultati.
A questo punto cosa succederà? Non è semplicissimo dirlo, proprio in relazione alle peculiarità del referendum catalano. La consultazione si è tenuta sulla scia di una legge approvata dal Parlamento della Generalitat catalana il 6 settembre. In base a tale norma, entro 48 ore dal referendum il Governo catalano è obbligato a dichiarare unilateralmente l’indipendenza da Madrid. Il percorso dovrebbe prevedere che il presidente Puigdemont presenti al parlamento catalano la dichiarazione di indipendenza, per ottenere il via libera alla secessione unilaterale. Il voto in tal senso, però, non è affatto scontato: gli indipendentisti sono in maggioranza e il risultato del referendum è chiaro, ma il timore di un salto nel buio potrebbe spingere i parlamentari a fare altre valutazioni.
La questione è infatti tutt’altro che semplice. Prima di tutto ci sono dubbi sullo stesso processo “interno” alla Generalitat catalana: la legge per il referendum era stata approvata senza la maggioranza dei due terzi (necessaria per le modifiche dello Statuto di autonomia) e senza il via libera del tribunale Costituzionale catalano. Poi il Tribunale Costituzionale di Madrid aveva sospeso il referendum, rilevando una serie di vizi di forma e dubbi di costituzionalità. Condizioni che sono alla base della contrarietà di Madrid all’intero processo avviato dai catalani, con il premier Rajoy che ha bollato l’intera operazione come una “farsa”, aggiungendo che per il Governo “non c’è stato alcun referendum”.
Le autorità madrilene, insomma, non solo non intendono riconoscere l’esito del voto, ma non hanno la minima intenzione di “negoziare” con i catalani un ampliamento dell’autonomia giurisdizionale (la Catalogna ha prerogative speciali, che investono la sanità, l’istruzione, il governo del territorio, la lingua eccetera). Dal canto suo, il Puigdemont ha ricordato come il referendum sia arrivato dopo una serie di appelli al dialogo sempre respinti da Madrid: “Abbiamo proposto di avviare un dialogo senza precondizioni e non abbiamo mai ricevuto una risposta. Loro sono pronti per la mediazione? Noi lo siamo e devono risponderci”.
A questo punto, il governo spagnolo potrebbe optare per la linea dura e attivare l’articolo 155 della Costituzione, che consente di sospendere l’autonomia della Catalogna, chiudendone il Parlamento e commissariandone gli organi amministrativi. Si tratterebbe di una risposta durissima e sul punto non c’è unità delle forze politiche in Parlamento, con i socialisti che invitano al dialogo e Podemos che chiede le dimissioni del premier. Tecnicamente Rajoy potrebbe anche decidere di fare da solo (al Senato, che ha il potere di dare il via libera, può contare sulla maggioranza dei seggi), ma a quel punto le conseguenze sarebbero difficilmente immaginabili. Per ora Rajoy non si è sbilanciato: “Spero che i partiti continuino ad appoggiarci. Voglio convocare le forze politiche per riflettere sul futuro. Chiederò di intervenire davanti al Congresso dei deputati".
La Catalogna, come ha confermato il presidente, non si aspetta che altri Stati europei ne riconoscano l'indipendenza, né che la Ue faccia passi concreti in qualche direzione; tuttavia sperano in una "mediazione internazionale" per supportare il processo di cessione definitiva della sovranità verso la formazione di una Repubblica indipendente. Una volta avviato il processo, come scrive il Corsera, "dovrebbe entrare in vigore la ley de desconexión che regola l’iterim legale fino al riconoscimento dell’indipendenza. In sostanza tutto rimarrebbe com’è oggi (leggi, tribunali, polizia, amministrazione, finanze) tranne il fatto che il governo locale dovrebbe negoziare o imporre caso per caso nuove regole a Madrid fino alla completa separazione".