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Rastrellamenti, espulsioni e deportazioni: così la Turchia vuole disperdere i rifugiati

Perché migliaia di siriani stanno abbandonando la Turchia? La paura di essere arrestati ed espulsi, il clima d’odio contro la comunità siriana sono tra le ragioni dietro il nuovo picco di partenze verso le isole greche. A preoccupare è anche il piano del presidente Erdogan di creare nel nord della Siria una “zona di sicurezza” dove far ritornare almeno due milioni di rifugiati.
A cura di Mirko Bellis
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Un bambino siriano nel campo profughi della Mezzaluna Rossa turca vicino al villaggio di Atmeh, sul confine turco-siriano (Gettyimages)
Un bambino siriano nel campo profughi della Mezzaluna Rossa turca vicino al villaggio di Atmeh, sul confine turco-siriano (Gettyimages)

Sulle isole greche ogni giorno arrivano gommoni carichi di rifugiati. In questi nove mesi del 2019, secondo i dati delle Nazioni Unite, sono quasi 42mila le persone che hanno preso la via del mare o hanno attraversato la frontiera tra Turchia e Grecia. Nell'agosto di quest'anno, le partenze verso Lesbo, Chios e Samos hanno fatto registrare un’impennata del 300% rispetto al 2018. Un aumento che, ancora una volta, sta mettendo alla prova il sistema di accoglienza negli hotspot greci, incapaci di gestire questo nuovo flusso e prossimi al collasso.

Perché migliaia di siriani stanno abbandonando la Turchia? Sono diverse le ragioni che spingono uomini, donne e bambini a mettersi in mare e cercare di raggiungere la Grecia. La prima è da ricercare nella paura per molti rifugiati di essere catturati dalla polizia turca e di finire un’altra volta in Siria. Dal luglio scorso, infatti, sono almeno un migliaio gli arrestati perché sprovvisti del documento che garantisce loro lo status di "protezione temporanea”. Veri e proprio rastrellamenti compiuti dalle forze di sicurezza nei luoghi di lavoro, abitazioni e ritrovi degli oltre 3 milioni e mezzo di siriani che vivono in Turchia. Il loro destino è di essere rimandati nell'inferno da cui sono scappati, come la provincia di Idlib, teatro in questi mesi di violenti combattimenti. Per Ankara si tratta di ritorni “volontari” in zone sicure; secondo le testimonianze dei siriani, invece, sono vere e proprie deportazioni.

I ritorni “volontari” dei profughi siriani

La coda di rifugiati siriani per entrare nel campo di Kahramanmaras, nella Turchia meridionale (Gettyimages)
La coda di rifugiati siriani per entrare nel campo di Kahramanmaras, nella Turchia meridionale (Gettyimages)

Muhammad, un siriano di 21 anni fuggito dal massacro nella Ghouta orientale, è stato arrestato lo scorso luglio nel suo appartamento alla periferia di Istanbul. Erano passate solo 24 ore dal comunicato in cui il ministro dell’interno turco annunciava le nuove linee guida del governo contro l’immigrazione irregolare. Regole più stringenti dirette soprattutto verso i rifugiati siriani. “Mi hanno picchiato – ha affermato Muhammad – e mi hanno portato via senza nemmeno darmi il tempo di prendere le mie cose”. Il giovane è stato trasferito in un centro di detenzione dove le autorità gli hanno fatto firmare un foglio scritto in turco nel quale accettava di ritornare “volontariamente” in Siria. Pochi giorni dopo, Muhammad è stato condotto al valico di Bab al-Hawa, alla frontiera con la provincia siriana di Idlib.

Da parte sua, il governo turco nega le accuse di inviare i rifugiati di nuovo in Siria. Secondo Ankara, i siriani in situazione irregolare nel Paese sono trasferiti solo in zone sicure, come nel nord di Aleppo dove è forte la presenza di militari turchi. Affermazioni che contrastano con la realtà e con i racconti di altri espulsi come Muhammad. Rami, un 23enne originario della provincia di Deir Ezzor, fino a poco tempo fa bastione dell’Isis nella Siria orientale, è stato arrestato a Istanbul perché sprovvisto di documenti. “La polizia mi ha legato le mani con fascette di plastica – ha dichiarato Rami – mi ha portato in commissariato dove ho firmato un documento per il mio ritorno volontario in Siria”.

Attacchi xenofobi e incitamento all'odio nella stampa

Un rifugiato siriano chiede l'elemosina nel centro di Istanbul (Gettyimages)
Un rifugiato siriano chiede l'elemosina nel centro di Istanbul (Gettyimages)

La seconda ragione per cui tanti siriani stiano lasciando la Turchia è da ricercare nel clima d’avversione nei loro confronti che si vive in tutto il Paese. Non più tardi di venerdì scorso, nella provincia di Adana, alcuni facinorosi hanno dato fuoco alla casa di un cittadino siriano accusato ingiustamente di aver molestato sessualmente un bambino di 11 anni. I vandali hanno poi distrutto alcuni negozi gestiti da siriani prima dell’intervento della polizia. Un turco di 20 anni – secondo il comunicato del governatore di Astana – è stato poi identificato come il colpevole degli abusi. Questo episodio è solo l’ultimo di una serie di violenze a sfondo xenofobo che hanno preso di mira i rifugiati in Turchia. Attacchi contro la diaspora siriana alimentati anche dalla stampa. Il rapporto annuale pubblicato dalla Hrant Dink Foundation ha rivelato che nel 2018 i media turchi (sono stati considerati tutti i giornali nazionali e 500 a tiratura locale) hanno pubblicato 918 articoli pieni di “incitamento all'odio” contro i siriani.

Il piano di Erdogan: una “zona sicura” in Siria dove ricollocare 2 milioni di rifugiati

Erdogan con i presidenti di Iran e Russia durante il vertice tenuto ad Ankara il 16 settembre (Gettyimages)
Erdogan con i presidenti di Iran e Russia durante il vertice tenuto ad Ankara il 16 settembre (Gettyimages)

A incutere timore, infine, è il piano di Erdogan di ricollocare nel nord della Siria almeno 2 milioni di rifugiati. Nelle intenzioni del presidente turco, la creazione di una “zona sicura” consentirà il ritorno in patria di decine di migliaia di siriani ospitati in Turchia ed Europa. Il “Sultano” ha fatto capire in diverse occasioni che non cederà nella sua rivendicazione. Ha minacciato l’Unione Europea di “aprire le porte” ai profughi e, in un messaggio rivolto agli Stati Uniti, ha detto che la Turchia è pronta ad agire da sola se Washington continuerà a rallentare il suo progetto. “Se non ci saranno risultati dal negoziato con gli Stati Uniti sulla formazione di una zona sicura – ha affermato Erdogan pochi giorni fa – inizieremo i nostri piani tra due settimane”. Nelle intenzioni del presidente turco, l’area di 450 chilometri che dovrebbe arrivare fino alle sponde dell’Eufrate in Iraq, servirà a creare un “cuscinetto” tra il confine meridionale e le milizie curde siriane del Ypg, considerate terroriste da Ankara ma alleate fondamentali degli Usa nella guerra contro il sedicente Stato islamico.

Per anni la Turchia è stata la principale via di salvezza dei disperati in fuga dalla guerra. Agli occhi di migliaia di famiglie siriane, Erdogan, era considerato quasi un eroe. Il presidente turco ha accolto oltre 3 milioni e mezzo di rifugiati, anche grazie all'accordo con Bruxelles che gli ha garantito 6 miliardi di euro a cambio di fermarne la partenza verso l’Europa. A marzo 2019, l'ex Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha annunciato lo stanziamento di 1,5 miliardi di euro da destinare ai rifugiati siriani in Turchia. Un fiume di denaro che tuttavia Erdogan afferma non aver ricevuto e che solo 3-4 miliardi sono arrivati nelle casse di Ankara. Circostanza smentita da Natasha Bertaud, portavoce della Commissione europea, secondo cui l’importo stanziato sarebbe stato quasi interamente corrisposto. Al di là della querelle economica sugli aiuti, i siriani stanno capendo che nemmeno la Turchia è più un luogo sicuro. E la loro unica alternativa, per non essere inviati in patria, è affidarsi ancora una volta ai trafficanti di esseri umani e cercare di raggiungere le isole greche.

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