Raid nel centro di Beirut, paura nelle università: “Proviamo a fare qualcosa tra un bombardamento e l’altro”
Nessun luogo è sicuro a Beirut. Gli attacchi israeliani di ieri, ancora una volta fuori dalla Dahieh, l’ormai famosa zona a sud della capitale, sono l’ennesima conferma che è impossibile tracciare una linea netta tra Hezbollah e il Libano. "Abbiamo tirato fuori al momento solo una persona, non sappiamo ancora bene chi c’era nella palazzina", spiega un poliziotto mentre i soccorritori, i vigili del fuoco e le squadre speciali lavorano senza sosta.
La scena è quella di una palazzina di pochi piani; i due superiori sono completamente abbattuti. Un muletto sposta alcune auto completamente distrutte dai detriti dell’esplosione avvenuta a ora di pranzo, mentre una gru solleva travi spezzate e lastroni di solai. Un quartiere popolare, in cui, come in tutti i paesi mediterranei, la gente vive la strada, lo spazio pubblico, in maniera molto partecipata.
In serata Hezbollah confermerà la morte già annunciata dall’esercito israeliano di Mohammad Afif, portavoce del gruppo politico armato. Il quartiere è quello di Ras el Naba’a, centralissimo, misto, abitato prevalentemente da cristiani e sciiti, ma fino a prima della guerra anche da stranieri. Afif si trovava nella sede del Ba’ath libanese, il partito pan-arabo di ispirazione socialista, nato nel ‘49 come costola del Ba’ath siriano.
"Siamo stanchi, siamo esausti! Non credevamo che Israele continuasse a colpire anche qui. Avremmo evacuato": è la voce unanime di chi è sul posto. Cresce anche la frustrazione per il fatto che alcuni membri di Hezbollah continuano a frequentare aree non coinvolte nella guerra e ad esporre i civili a eventuali attacchi.
Assieme ad Afif sono stati uccisi Moussa Haidar, Mahmoud Charqaoui, Hilal Tormos, tutti membri dell’ufficio di comunicazione di Hezbollah, colpito oltre che nella sua parte strettamente militare, anche in quella logistico-amministrativa. Scena simile in serata a Mar Elias, quartiere misto -Mar Elias vuol dire Sant’Elia- che ospita oggi alcune comunità di sfollati provenienti dalla Dahieh e dal sud. Due fortissime esplosioni in una delle zone più popolose di Beirut, fuori dal perimetro della Dahieh, che hanno provocato un incendio e hanno ucciso due persone tra cui Mahmoud Madi, ufficiale di Hezbollah, e ne hanno ferite 13.
Entrambi gli attacchi sono avvenuti senza che l’esercito israeliano li annunciasse e permettesse alla popolazione civile di evacuare le zone. Scuole un’altra volta on-line il 18 e il 19 novembre. La circolare del ministero dell’istruzione aggiunge che "tutti gli esami in programma in queste due date saranno sospesi e ricalendarizzati per un’altra data che sarà poi condivisa più in là".
Alcune università, come la Lebanese University o l’Università Antonina che si trovano a nel quartiere di Hadath, sono all’interno delle municipalità colpite. Altre sono a una distanza minima, come la Saint Joseph -a pochi metri dall’esplosione a Ras Naba’a-. "È impossibile rimanere in classe, concentrati. Proviamo a fare qualcosa tra un bombardamento e l’altro, ma è impossibile. Sono vicinissimi, a meno di un chilometro. C’è poi questa storia dell’online, dell’insegnamento a distanza: i docenti (e gli studenti che possono) vengono fisicamente nelle università, ma è molto difficile gestire classi in presenza e on-line contemporaneamente, soprattutto quando la connessione salta per ovvi motivi. È chiaro a tutti che questo semestre è andato" racconta Elie Jabbour, professore di lingua francese all’Antonina.
Intanto vanno avanti gli attacchi in tutto il Libano. Tiro in queste ore è sotto i colpi dell’aviazione israeliana, come il resto del sud e come la valle della Beka’a. La situazione è ormai la stessa da settimane: l’aviazione israeliana bombarda senza sosta e Hezbollah manda razzi sulle basi militari nel nord di Israele, spingendosi fino a Haifa. L’invasione di terra israeliana va avanti a sprazzi: gruppi di soldati avanzano, ma vengono costretti da Hezbollah ad indietreggiare.
In questa guerra asimmetrica, nella quale la disparità di potenza bellica e di intelligence è più che ovvia, l’unico contesto dove il partito di Dio riesce a fronteggiare a viso aperto l’esercito israeliano è sul terreno. Qui Hezbollah tiene, e mantiene le posizioni vicine al confine tra Libano e Israele, da dove continua a lanciare razzi in direzione sud.
Il bilancio certificato dal ministero della salute libanese è di circa 3500 morti e 15mila feriti dall’inizio della guerra l’8 ottobre (il giorno dopo gli attacchi di Hamas in Israele) ad oggi, la maggior parte dei quali negli ultimi due mesi. Gli sfollati interni sono fra un milione e trecento e un milione e mezzo, al momento negli shelter gestiti dal governo libanese con il supporto di ong locali e internazionali. L’emergenza umanitaria potrebbe precipitare da un momento all’altro, dato anche l’arrivo della stagione fredda. Per quello che riguarda la diplomazia e il "cessate il fuoco" di cui si parla in questi giorni, i segnali erano stati contrastanti, almeno quelli israeliani.
Amos Hochstein, emissario statunitense in Medioriente, ha annullato il viaggio previsto domani per Beirut in attesa di chiarificazioni da parte del governo libanese. Hochstein era atteso a Beirut martedì e a Tel Aviv mercoledì. Il primo ministro libanese ad interim Najib Miqati si era fatto portavoce di una "risposta positiva" del Libano (e quindi di Hezbollah) sulla proposta americana rimessa nelle mani del presidente del parlamento Nabih Berri, anello di congiunzione tra tutte le parti. Al momento la guerra continua e sia Beirut che oltre due terzi del Libano sono sotto attacco continuo, giorno e notte, in una condizione che si fa giorno dopo giorno sempre più insostenibile.