Il futuro era promettente per Burulai Turdaaly Kyzy, una ragazza kirghisa appena ventenne. Si era da poco laureata in medicina e ad agosto avrebbe celebrato le sue nozze. Ma la sua felicità è stata stroncata per sempre da un uomo che, dopo averla rapita ben due volte per costringerla a sposarlo, l’ha uccisa in un commissariato di polizia a Bishkek, la capitale del Kirghizistan. Burulai è un’altra vittima dell’Ala kachuu o il “rapimento della sposa”, una pratica diffusa in tutto il Caucaso, dove migliaia di donne vengono sequestrate ogni anno e costrette a sposarsi con il loro rapitore.
Burulai, originaria di Sosnovka, un villaggio a circa 30 chilometri dalla capitale, a fine di aprile era stata prelevata con la forza da un uomo che lavorava come tassista a Bishkek. In quell'occasione, la famiglia della giovane era riuscita a localizzarla e impedire il matrimonio forzato. Per riprendersi dallo spavento, e mettersi al sicuro, la ragazza era andata a stare dalla zia. Ma il 27 maggio aveva deciso di far ritorno al suo villaggio natale per aiutare la madre nei preparativi delle celebrazioni del Ramadan, il mese sacro per i musulmani. La sera stessa del suo ritorno mentre si recava in un negozio, lo stesso uomo l’ha rapita una seconda volta.
Il padre della giovane, accortosi del sequestro, ha cominciato a seguire la macchina del tassista mentre avvertiva la polizia. Diverse ore dopo, la buona notizia: gli agenti erano riusciti a fermare il rapitore e Burulai era sana e salva. La polizia, però, commette un errore che si rivelerà fatale per la ragazza: la lasciano da sola nella stessa stanza con il suo sequestratore senza nessuna sorveglianza. E proprio nel commissariato che si conclude la tragedia. L’uomo, che aveva con sé un coltello, si scaglia contro Burulai e la uccide con tre fendenti. Nazira Imangazieva, una portavoce della polizia, ha affermato che gli agenti hanno fatto irruzione nella stanza dopo aver sentito i rumori di una colluttazione quando ormai era troppo tardi. Il padre della ragazza ha raccontato che l'aggressore non si è limitato ad accoltellare Burulai ma ha inciso sul corpo senza vita le sue iniziali e quella del fidanzato. “Quando mi hanno fatto vedere il cadavere di mia figlia ho visto le iniziali B e N incise con il coltello”.
La morte di Burulai ha sollevato critiche contro l’operato della polizia in tutto il Paese. “Gli agenti hanno dimostrato negligenza e non hanno adempiuto ai loro doveri”, ha dichiarato il procuratore distrettuale. “Come ha fatto il sospettato di un rapimento a portare un coltello alla stazione di polizia?”, è l’interrogativo sollevato dal magistrato. “Prima l’ha pugnalata tre volte e poi ha fatto delle incisioni sul suo corpo, perché i poliziotti non hanno fatto nulla per impedirlo? Se fossero stati allerta, avrebbero dovuto accorrere dopo aver sentito le urla della ragazza”, si chiede anche un parente dell’assassino.
Ma ad essere sotto accusa in Kirghizistan è la pratica stessa dell’Ala kachuu. La maggior parte dei quasi 6 milioni di abitanti del Paese asiatico vive in aree rurali, spesso all'interno di organizzazioni di natura tribale. In questo contesto, il sequestro a scopo di matrimonio è visto come una tradizione; ma ormai i rapimenti sono diffusi ovunque, compresa la capitale. Nonostante sia illegale dal 2013, il “rapimento della sposa” continua ad essere diffuso e sono pochissime le donne che resistono e rifiutano l’unione; il resto, circa l’84%, finisce per accettare il proprio destino.
Ma c’è anche chi ha preferito il suicidio. Nel 2011, Venera Kasymalieva e Nurzat Kalykova, due studentesse di 20 anni della provincia settentrionale di Issyk-Kul, si tolsero la vita pochi mesi dopo il matrimonio forzato. E ancora, Yrys Kasymbai, morta suicida l’11 giugno 2012. Dal 2013, una legge del Kirghizistan punisce il rapimento a scopo di matrimonio con una pena fino a 10 anni di prigione. Tuttavia, il numero di sequestri non è diminuito e sono pochissimi i casi che arrivano davanti al giudice.
L'Unicef in una nota ha condannato l’omicidio di Burulai e la pratica del Ala kachuu. “Il matrimonio precoce o forzato è una violazione fondamentale dei diritti umani – hanno affermato le Nazioni Unite – con conseguenze di vasta portata non solo per gli individui direttamente coinvolti, ma per il benessere dell'intera società. Pratiche come il rapimento della sposa, il matrimonio forzato o Ala kachuu non appartengono alla cultura e alla tradizione del Kirghizistan ma sono una violazione dei diritti delle persone vulnerabili”.
L'Onu, pur riconoscendo i passi avanti compiuti dal Kirghizistan per impedire le nozze con minori, sottolinea come sia necessario lavorare di più nella prevenzione e nel castigo dei rapitori delle spose, oltre a garantire la protezione delle vittime. Secondo gli ultimi dati disponibili in Kirghizistan, il 13,8% delle donne di età inferiore ai 24 anni è stata costretta a sposarsi con la forza.
“La pratica del matrimonio forzato e il rapimento della sposa devono essere fermati e tutti i colpevoli devono essere puniti”, ha detto il primo ministro, Muhamedkaliy Abilgazieyev, durante una riunione di governo tenuta oggi sul problema dell’Ala kachuu. “I matrimoni forzati sono gravi violazioni dei diritti umani che hanno implicazioni a lungo termine non solo per chi ne è direttamente coinvolto, ma per l'intera società”. “Il tragico caso di Burulai Turdaaly Kyzy – ha aggiunto il primo ministro – dovrebbe rappresentare per tutti noi una sfida a cambiare drasticamente l'atteggiamento della società nella cosiddetta tradizione dei matrimoni forzati. Questo fenomeno vergognoso non ha nulla a che fare con la cultura e le tradizioni del popolo kirghiso”, ha concluso il premier kirghiso. Abilgazieyev, inoltre, ha ordinato al ministro degli Interni di licenziare gli agenti di polizia che non sono riusciti ad impedire la tragica fine della giovane donna.