“Qui, tra escrementi e voglia di suicidarsi”: la denuncia di Nicolò, volontario nell’isola di Samos
“Nemmeno in India avevo visto un degrado simile”, afferma Nicolò Govoni, un giovane volontario italiano che, dopo un’esperienza con i bambini orfani indiani, ha deciso di trasferirsi nell'isola greca di Samos. Ha iniziato a collaborare con l’Ong Samos Volunteers, una piccola realtà locale nata per prestare aiuto ai rifugiati appena sbarcarti. Insegna inglese, matematica e geografia sociale ad una classe di ragazzi di 13 anni. Quando sveste i panni del maestro, Nicolò distribuisce vestiti ai nuovi arrivati e gestisce un centro dove le famiglie all'interno del campo ricevono supporto psico-sociale. “La situazione è particolarmente critica, il campo non è mai stato in queste condizioni”, la denuncia Nicolò nell'intervista per Fanpage.it.
Quante profughi ci sono in questo momento?
C’è un problema di sovraffollamento: questa struttura in passato era una carcere pensata per ospitare al massimo 700 persone, ma oggi ce ne sono oltre 2.500, stipate in una piccola zolla di terreno appena fuori la città. E’ un luogo comune pensare che questa gente sta male e starà sempre male, però non è così. Non ci sono mai stati così tanti rifugiati e gli strumenti a loro disposizione non sono mai stati così scarsi. Ci sono più di 760 bambini costretti a vivere in un ambiente poco igienico e, soprattutto, molto pericoloso.
Come vivono i rifugiati a Samos?
I container non sono sufficienti ad ospitarli tutti, per cui gli ultimi arrivati dormono nelle tende, nei boschi in collina. Le condizioni igieniche sono pessime, i bagni letteralmente coperti di escrementi e quelli adibiti alle donne sono ancora peggio, perché non c’è abbastanza personale femminile incaricato della loro pulizia. Anche il cibo è scarso. Conosco il caso di bambini che non hanno mangiato nulla per due giorni di seguito perché la mamma arrivava allo sportello del cibo quando ormai era già finito. La sera vanno in giro in maglietta perché non possiedono nient’altro per coprirsi e la distribuzione degli abiti non funziona. Le piogge non sono ancora intense ma il tempo può peggiorare da un momento all'altro, soprattutto in vista dell’inverno. Abbiamo paura che la gente muoia di freddo.
Come vengono trattati i profughi?
Ho sentito con le mie orecchie la polizia chiamarli “cani”. Le persone che vivono in questo campo sono calpestate ogni giorno sia fisicamente che psicologicamente. Il tasso di depressione qui a Samos è altissimo. Sono scappati dalle bombe, dall’Isis e dalle milizie in guerra in Siria, Iraq o Afghanistan, ma le condizioni che trovano qui non li aiutano per nulla. Al contrario, i rifugiati rivivono nel campo le stesse situazioni di violenza che credevano di aver lasciato alle spalle. Anche gli abitanti dell’isola sono semplicemente razzisti. So di gruppi che si stanno organizzando per venire a spaventare i rifugiati e alcuni ristoranti non permettono l’entrata, inventandosi mille scuse.
Raccontaci di quella che hai chiamato la “gabbia”
La “gabbia” è una struttura di fil di ferro e rete metallica al centro del campo; è il primo posto dove vengono portati i profughi quando arrivano. Qui c’è la stazione della polizia e dove i nuovi arrivati vengono stipati per ore, a volte anche senza cibo, in attesa di essere schedati. E’ il posto più temuto tra i profughi perché è nella gabbia i cui vengono condotti quando ci sono situazioni di caos e dove spesso vengono picchiati. Sono entrato più di una volta nella “gabbia” e ho visto delle scene terribili. I rifugiati vengono lasciati in totale abbandono sul pavimento per ore e ore, con i vestiti ancora bagnati, prima che gli venga disegnato su un braccio un numero con un pennarello indelebile.
Numerosi report parlano di bambini rifugiati con pensieri suicidi
I bambini sono quelli più colpiti dalla degradazione del campo perché non hanno gli strumenti psicologici per sopportare la violenza e gli abusi che vivono qui. Ho assistito personalmente alla brutalità della polizia contro un ragazzino che, senza avere alcuna colpa, è stato condotto nella gabbia e picchiato davanti a tutti gli altri bambini. Quando è ritornato nella sua tenda si è tagliato il braccio con una lametta per sfogare la propria rabbia. E sono molti i minori, specialmente quelli non accompagnati, che fanno ricorso all'autolesionismo perché non sanno come gestire la frustrazione e l’umiliazione.
Negli ultimi due anni sono state destinate alla Grecia notevoli risorse finanziarie per l’emergenza profughi. Come vengono spesi i soldi?
La Grecia riceve ogni anno centinaia di milioni di euro per gestire l’emergenza però solo una piccola parte di questi soldi è utilizzata per pagare il personale o per i profughi stessi. L’Unione europea non protesta di fronte allo sperpero di denaro perché c’è un accordo tacito tra Bruxelles e la Grecia. L'Ue chiude gli occhi davanti ai soldi che spariscono purché Atene trattenga i profughi all'interno dei confini greci. Bruxelles paga e il governo greco intasca. Questa, secondo me, è una tangente.
Le agenzie umanitarie dell’Onu stanno riducendo la loro presenza sulle isole greche. Quali sono le conseguenze per i rifugiati?
L’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha denunciato l’assenza di coperte all'interno del campo. Ipocrisia pura. Dopo l’accordo stipulato tra Unione europea e Turchia, i profughi possono essere rimandati indietro e questo ha condizionato anche la distribuzione dei fondi europei. Adesso i soldi vanno al governo greco e così le agenzie Onu, e anche alcune Ong, hanno diminuito di molto la loro presenza nell'isola, riducendo gli aiuti. Ma sono ipocriti, perché sanno che il governo greco non sarà in grado di sostituirli per cui i rifugiati non avranno più l’assistenza sanitaria di prima e quelli che stanno dormendo nelle tende in collina, appena inizieranno le piogge, saranno letteralmente spazzati via.
Sulla tua pagina Facebook hai lanciato un hashtag #NonSottoIMieiOcchi. Che tipo di risposte hai avuto?
L'obiettivo del mio lavoro è duplice: dare una voce a chi è oppresso, ma anche provare a chi mi segue che il loro contributo, seppur piccolo, non è irrilevante. Trovo che molti italiani della mia generazione siano scivolati in uno stato di nichilismo fatalistico piuttosto comodo. Voglio provare loro che prendendo parte, anche solo con una semplice condivisione sui social, siamo riusciti a portare sotto lo sguardo di molti il disastro umanitario che sta accadendo a Samos.