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“Quello che ho visto a Gaza è un massacro ingiustificabile”: il racconto della dottoressa in missione Onu

La dottoressa australiana Jannet Hall, oggi a bordo dell’Humanity 1, racconta per la prima volta a Fanpage.it la sua missione dentro la Striscia di Gaza: “Ricordo due ragazzi di 20 anni che camminavano per strada per cercare la connessione internet e ad un certo punto ho visto le loro gambe saltare in aria e ridotte a brandelli”.
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La dottoressa Jannet Hall a Siracusa, foto di Lidia Ginestra Giuffrida
La dottoressa Jannet Hall a Siracusa, foto di Lidia Ginestra Giuffrida

È tornato il sole a Siracusa, dopo giorni di bufera. Chi lavora sulle navi umanitarie sa che il bel tempo vuol dire una sola cosa: nuove partenze, tante persone in mare. Così l’equipaggio di Humanity 1, la nave umanitaria dell’ong tedesca Sos Humanity ormeggiata nel porto della città, si prepara a salpare. Tra loro c’è la dottoressa Jannet Hall. Operatrice umanitaria australiana, mette in ordine le sue cose prima della partenza. Scarpe, maglietta, radio, e caschetto, è tutto pronto ma una parte di sé Jannet l’ha lasciata per sempre sull’altra sponda del Mediterraneo, quella del vicino oriente, dentro la striscia di Gaza.

"Sono andata a Gaza perché non potevo più stare a casa mia a guardare i bambini sotto le macerie, e sentivo di voler mostrare loro che al resto del mondo importa della loro vita": dice a Fanpage.it Jannet, che si emoziona a parlarne mentre continua a sistemare le sue cose dentro la borsa. "Sono entrata con una ong tedesca, insieme ad un team di medici d’emergenza, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Inizialmente avevamo due mandati: uno era il trasporto medico, con ambulanze, paramedici e medici, dei feriti gravi dal Nord al Sud della Striscia, fino al confine con  l'Egitto.  Dopo due settimane però, il valico di Rafah è stato chiuso, e qualsiasi operazione è stata interrotta. Il secondo obiettivo era creare punti di stabilizzazione del trauma in zone più vicine alla linea del fronte, per stabilizzare le condizioni dei feriti in attesa dell'arrivo in ospedale. Abbiamo collaborato con ospedali locali come Al Awda e Al Aqsa. Ma poi la situazione è peggiorata. Le evacuazioni erano sempre più difficili e limitate e gli ospedali venivano continuamente colpiti".

Jannet sarebbe dovuta rimanere per una rotazione di tre settimane, ma alla fine è rimasta a Gaza un mese e mezzo, non per sua scelta ma perché l’esercito israeliano, subito dopo aver preso Rafah, ha negato l’uscita e l’entrata di beni e persone, per almeno due settimane.

"Gli ospedali non avevano attrezzature, non c’erano analgesici e chiunque entrasse in ospedale veniva operato senza anestesia. Ricordo le urla dei bambini che arrivavano con ustioni gravissime e che avevano bisogno di essere medicati immediatamente, a cui non potevamo dare alcun tipo di sollievo dal dolore perché non l’avevamo. Noi avevamo portato le nostre attrezzature, ma i medici locali non avevano nulla. Alcuni di loro erano riusciti a portare dei macchinari fuori dagli ospedali che, come Al Aqsa, sono stati completamente distrutti. Chi c'è stato dentro mi ha raccontato che l’ospedale non è stato solo bombardato, i militari israeliani ci sono entrati e hanno spaccato tutti gli apparecchi ad ultrasuoni, distrutto i vetri dei macchinari a raggi X, e tagliato i cavi. Hanno girato dentro l’ospedale distruggendo tutto per far sì che i medici non potessero più utilizzare quelle cose. Questo non ha niente a che vedere con il cercare i terroristi di Hamas", ha aggiunto.

La dottoressa fatica a continuare il racconto mentre le tornano alla mente le immagini di quei giorni infiniti dentro Gaza: "Ricordo due ragazzi di 20 anni che camminavano per strada per cercare la connessione internet e ad un certo punto ho visto le loro gambe saltare in aria e ridotte a brandelli. Erano stati colpiti dai droni quadricotteri, capaci di mirare direttamente ad un obiettivo. O ancora un ragazzo stava camminando per strada per comprare il pane e i cecchini gli hanno sparato alla testa. E così suo fratello è andato a recuperare il corpo e hanno sparato anche a lui. Quindi la famiglia ha recuperato il figlio ancora in vita, l'ha messo sul retro di un carretto trainato da asini e l’ha portato da noi. L’abbiamo stabilizzato prima di mandarlo all'ospedale Al Aqsa, quando ancora funzionava".

"Sai qual è la cosa che mi preoccupa di più? – continua la donna -. È che chi non morirà per le bombe morirà per malattia. Adesso c’è la polio. Tutti hanno l’epatite, credimi tutti. La carenza di acqua e le scarsissime condizioni igienico-sanitarie causano continue infezioni renali e alle vie urinarie. Le case a Gaza sono costruite con l’amianto, c’è amianto in tutti gli edifici, che è pericolosissimo se in forma di polvere. Questo sarà un grande problema in futuro. Tutti prenderanno l’asbestosi".  Secondo i dati del servizio Onu per l'azione contro le mine e gli ordigni inesplosi (UNMAS), si stima, infatti, che tra i 37 milioni di tonnellate di macerie di Gaza ci siano oltre 800mila tonnellate di amianto.

"Ci vorranno non meno di 14 anni per eliminare le macerie –  continua Jannet – e un secolo per poi ricostruire tutto, ma c’è una cosa che non potrà mai essere ricostruita: la psiche di un’intera popolazione. Israele sta creando una generazione di bambini privati dei propri diritti fondamentali e del proprio futuro. In particolare gli uomini cresceranno con la rabbia e si vorranno vendicare. Le famiglie mi ripetevano continuamente ‘come puoi sederti qui e guardarci? Hanno preso la nostra acqua, hanno preso il nostro cibo, stanno bombardando le nostre case. I nostri bambini non possono andare a scuola. Come è possibile che il mondo lasci che questo accada?'. Voglio dire, come puoi rimanere mentalmente stabile stando lì?”.

A Gaza, intanto, continua l’assedio dentro l’assedio, il Nord è ormai da più di un mese completamente isolato dal resto della Striscia che a sua volta resta isolata dal resto del mondo. Il rischio di carestia è altissimo, lo ha dichiarato il Famine Review Committee (Frc) – parte della Integrated Food Security Phase Classification, che monitora la sicurezza alimentare nel mondo – che ha definito la situazione nel nord della Striscia "estremamente grave e in rapido deterioramento" e ha chiesto a tutte le parti di agire "entro giorni, non settimane" per evitare un disastro. Contemporaneamente, una commissione speciale delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto che equipara le operazioni militari israeliane al crimine più grave del diritto internazionale: il genocidio. Gli esperti hanno documentato bombardamenti indiscriminati sui civili e l'uso sistematico della fame come arma di guerra.

"Ciò che mi ha scioccata di più è come si possa stare a guardare la carneficina di esseri umani e la completa distruzione delle loro vite, pensando che vada tutto bene. Questa non è una guerra contro un altro esercito, questo è un massacro di civili. Non c’è niente che giustifichi mirare a due ragazzi di vent’anni che stavano solo camminando per strada; non erano combattenti, non erano soldati, indossavano una canottiera e un paio di pantaloni sporchi, senza scarpe, e hanno perso le gambe. Sarebbero potuti essere i miei figli. Quando queste scene le vedi davanti ai tuoi occhi, capisci che non potrà mai esserci alcun tipo di giustificazione", conclude la dottoressa prima di partire verso la sua prossima missione.

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