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Guerra in Ucraina

Quattro cose che dobbiamo capire, se vogliamo risolvere la questione Russia-Ucraina

L’invasione della Russia in Ucraina è l’alba di un mondo nuovo, dominato dal multilateralismo e da nuove potenze che non si rifanno, nemmeno di facciata, ai valori Occidentali. Forse dobbiamo cominciare a prenderne atto, comunque andrà a finire con Putin.
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Che non sia semplice venire a capo della crisi in cui ci siamo infilati dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin è più o meno evidente a tutti, anche dopo sole 24 ore di combattimenti. Perché la Russia non è l’Iraq che gli americani invasero a loro volta dopo l’invasione del Kuwait trentuno anni fa, ma la seconda potenza atomica del pianeta. E noi Occidentali non siamo più quelli disposti a morire – o a far morire i nostri figli – per Danzica o per Saigon, o per Kabul e Baghdad.

Però, a spiegare la matassa, non bastano né la nostra idiosincrasia alla guerra, né la potenza russa. C’è molto altro, in realtà, con cui dobbiamo fare i conti, se davvero vogliamo provare davvero a uscirne. Il problema è che sono cose con cui è difficile voler fare i conti, perché sono le architravi su cui abbiamo poggiato il nostro essere Occidentali proprio a partire da quel 1991 della prima guerra del golfo e della fine dell’Unione Sovietica.

La prima cosa con cui dobbiamo fare i conti è che l’interdipendenza delle economie è un gran casino, quando si vuole provare a sovvertire un regime ostile. Lo stiamo sperimentando in queste ore come non mai, col gas russo che esce dai nostri fornelli mentre imprechiamo contro l’autarca da cui lo compriamo, peraltro a un prezzo carissimo. Ma lo sperimentiamo quotidianamente mentre accettiamo la pulizia etnica degli Uiguri in Cina, o l’oscurantismo wahabita in Arabia Saudita, perché i cinesi possiedono metà del debito pubblico americano e producono quasi tutto ciò che noi amiamo consumare, mentre i sauditi pompano petrolio nel nostro capitalismo. Tutti regimi sotto il cui giogo non vorremmo svegliarci mai. Tutte economie da cui dipendiamo, nel nome di santa globalizzazione.

La seconda cosa con cui dobbiamo fare i conti, per l’appunto, è che non puoi assoggettare questi regimi alle tue regole e ai tuoi valori. Non più, perlomeno. L’idea illusoria che in un mondo interconnesso tutto tenda per inerzia alla liberaldemocrazia occidentale è un illusione tardo novecentesca a cui dovremmo smettere anche solo di far finta di credere, dopo i fallimentari esperimenti di esportazione della democrazia in Afghanistan e in Iraq. L’idea  di poter avere a che fare solo con regimi accettabili secondo i nostri standard, lo è altrettanto, e Xi, Putin, Erdogan, Al Sisi sono lì a dimostrarlo. L’idea che tali regimi scontino una subalternità culturale con l’Occidente e che si sentano in qualche modo sbagliati o anche solo arretrati perché non sono democratici e liberali come noi è altrettanto ingenua. Basta sentire Putin quando parla con orgoglio della Russia zarista, evidentemente suffragato dal suo popolo, per capire che non tutti abbiamo i medesimi riferimenti culturali. Anzi.

La terza cosa con cui dobbiamo fare i conti, è che alcuni tra questi regimi hanno mire egemoniche su ciò che li circonda. La Cina sul sud est asiatico. L’Iran e la Turchia sul Medio Oriente. L’Egitto sul Nord Africa. La Russia – il Paese che confina con più Paesi al mondo – sull’est Europa e sull’Asia Centrale. Pretendere da questi regimi di apparecchiare loro il vicinato, nel nome di principi di libertà, democrazia e autodeterminazione che loro non fanno nemmeno finta di apprezzare, è velleitario anche per una superpotenza come quella americana. Che il mondo stia evolvendo verso una geografia multipolare, dominata da tante grandi potenze macro-regionali è sotto ai nostri occhi. Che queste nuove egemonie regionali si sostengano tra loro nel volersi affrancare dal dominio occidentale – la Turchia e l'Iran con la Russia, la Russia con la Cina – è altrettanto auto evidente.  Che queste possano convincere pacificamente per sempre, ai confini di queste faglie, una pia illusione. Finita con Russia e Ucraina, toccherà a Cina e Taiwan. Forse nemmeno aspetteranno che finisca.

La quarta cosa con cui dobbiamo fare i conti, forse la più dura di tutte da accettare, è che non bastano i soldi per cambiare le cose. Che le stesse sanzioni che hanno rafforzato qualunque regime a cui sono state comminate possano essere un deterrente per Vladimir Putin è altrettanto velleitario. Questi regimi, se e quando crollano, lo fanno grazie a un popolo di oppressi che si ribella – e le manifestazioni in piazza contro la guerra, quelle sì, sono un segnale di ribellione di un popolo che dovremmo aiutare, non punire – non opprimendo ulteriormente il popolo dall’esterno. Altro che strangolare l’economia e farla pagare alla Russia: Putin userà le sanzioni come propellente per rinfocolare l’odio nazionalista.

Insomma, se vogliamo provare a uscirne, dobbiamo prendere atto che un’economia interconnessa non è un antidoto contro il totalitarismo, anzi. Che i valori dell’Occidente non sono universali. Che l’egemonia Americana e Occidentale sul mondo è messa in discussione oggi come non mai. E che non bastano nemmeno le sanzioni a massimo impatto promesse da Joe Biden per cambiare questo stato delle cose. Soprattutto quando si parla di superpotenze continentali.

Non sappiamo, ovviamente, se alla fine di questo nuovo giorno più lungo c’è la terza guerra mondiale o un nuovo tavolo di trattativa, né se Putin sopravvivrà alla sua mossa. Sappiamo però che il presidente russo si è mosso dentro uno spirito del tempo che solo noi Occidentali, americani ed europei, stiamo facendo finta di non vedere. E finché non lo capiamo, difficilmente ne usciremo.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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