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Opinioni
Guerra in Ucraina

Quali conseguenze potrebbero esserci per l’Europa dallo stop al gas russo

La chiusura del transito del gas attraverso l’Ucraina segna la fine di un’era e annulla un’arma politica di Mosca. Ma lascia l’Europa alle prese con rincari, stoccaggi ridotti e sfide per l’indipendenza energetica. Gli analisti sentiti da Fanpage.it prevedono prezzi più alti degli attuali e nervosismo per l’esaurimento delle scorte.
A cura di Riccardo Amati
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I prezzi del gas restano intorno ai massimi dall’ottobre del 2023, dopo l’ulteriore impennata seguita alla chiusura della conduttura che per cinquant’anni dalla Russia ha rifornito l’Europa attraverso l’Ucraina. Gli esperti non prevedono scarsità nei prossimi mesi ma si aspettano ulteriore tensione sul mercato, a causa della concorrenza con altre regioni del mondo per accaparrarsi il più costoso Lng, il gas liquefatto. Diventato sempre più necessario per ripristinare scorte che in primavera potrebbero essere esigue.

Occhio alle scorte

“Iniziamo l’inverno con il 15 per cento di stoccaggi in meno rispetto al 2023”, nota Arne Lohmann Rasmussen, capo degli analisti di Global Risk Management. “E questo mentre la domanda asiatica è in forte aumento: i due continenti si contenderanno l’Lng in una gara al rialzo. Ciò alimenterà la speculazione”, spiega l’esperto a Fanpage.it.

Lohmann Rasmussen prevede che il prezzo dei Title Transfer Facility (Ttf), ovvero i contratti di riferimento della borsa dell’energia di Amsterdam, sui quali si regola il commercio del gas in tutta Europa, all’inizio dell’estate sarà tra i 50 e i 60 euro per megawattora.

Mentre scriviamo, il contratto Tft per la consegna in febbraio è intorno ai 50 euro. In 12 mesi il prezzo è salito di oltre il 51 per cento. Nell’agosto del 2022, al picco della crisi del gas innescata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si era arrivati a superare i 338 euro. Quasi sette volte oltre il prezzo attuale. “Non ci saranno rialzi del genere, perché non ci sarà scarsità di gas nel sistema”, sottolinea Arne Lohman Rasmussen. “È solo il livello delle scorte a preoccupare, perché potrebbe essere costoso ricostituirle”.

Secondo l’analista di Ubs Giovanni Staunovo, “nelle prossime settimane i prezzi rimarranno volatili, perché col freddo le riserve scendono rapidamente”. La tendenza è al rialzo, “perché si tratta di attrarre più combustibile sotto forma di Lng”, dice Staunovo a Fanpage.it.

Megawatt e speculazione

Non influiranno solo le temperature, ma anche la frequenza delle giornate di sole e l’intensità dei venti, da cui dipende la generazione di energia rinnovabile. E poi ci sono i “megawattora di carta”. Come per i “barili di carta” sul mercato petrolifero, la speculazione di chi è interessato a ritorni finanziari immediati e non al commercio reale alimenta lo scambio di contratti che non comportano necessariamente l’acquisto o la vendita del gas sottostante. Semplicemente, si scommette sui prezzi futuri. Come nel film “Una poltrona per due”, per chi l’ha rivisto a Natale. Le risorse naturali si comportano più come attività finanziarie che come beni, dicono da sempre gli economisti.

Dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Europa ha diversificato le forniture in modo drastico. Ormai solo il 5 per cento del totale arrivava dal gasdotto appena chiuso. L’Italia si era resa ormai quasi del tutto indipendente dal gas siberiano, che a metà anno ammontava al 2 per cento dell’import. I dati della Snam indicano che nelle ultime settimane la quota si era pressoché azzerata. Peggio andrà a Paesi come la Slovacchia, più legati all’export russo: Bloomberg prevede che Bratislava incorrerà in costi aggiuntivi per quasi 180 milioni di euro.

Un futuro più costoso

Ma anche noi dovremo ricorrere ad alternative più costose. La pressione riguarda tutta l’Europa. Bruxelles dice che l’Ue si è da tempo preparata. L’obiettivo è di affrancarsi dai combustibili fossili nel 2027. Di fatto, dipenderemo dai volatili mercati dell’Lng. Di cui, paradossalmente, proprio la Russia resta il nostro secondo maggior fornitore. A dimostrare che l’economia di mercato è il peggior nemico dei Paesi liberali, quando tentano di punire economicamente un’autocrazia che infrange il diritto internazionale. Soprattutto se l’autocrazia esporta materie prime necessarie al mondo. La situazione crea ambiguità, ipocrisie e danni da entrambe le parti.

Per l’Europa, la chiusura del transito del gas naturale siberiano attraverso l’Ucraina rappresenta il collasso di un legame cruciale. Chi teme per la sicurezza energetica ha ragioni per farlo. Quanto alla Russia, il danno è sia economico che politico. Anche se commercia Lng e ha ancora un gasdotto aperto verso l’Europa — il TurkStream che raggiunge l’Ungheria — il colosso statale russo Gazprom, una delle armi più potenti di Vladimir Putin, ha le pallottole spuntate.

Gazprom, un’arma di Putin

Con la chiusura del transito gestito da Kyiv, Gazprom ci rimette sei miliardi di dollari l’anno. Soldi in meno per il sostegno all’invasione dell’Ucraina. Ciò che Kyiv voleva. Ma non c’è solo questo. La Russia di Putin ha usato più volte i gasdotti che la univano all’Europa come una leva per ottenere risultati politici, anche attraverso vere e proprie minacce. L’ineffabile ex presidente e attuale vice segretario del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev tuonò che Mosca poteva far salire a 5.000 euro per megawattora il prezzo del gas in Europa, se l’Ue avesse continuato a sostenere l’Ucraina invasa.

Definire Gazprom un’arma non è una metafora. Dispone anche di un esercito privato: il Potok (significa “flusso”, come lo scorrere del gas, ndr) impiegato su fronte ucraino. Lo rivelò nell’aprile 2023 Yevgeny Prigozhin, fondatore della compagnia militare privata Wagner, morto in un incidente aereo parecchio strano poco dopo aver tentato un golpe contro il suo vecchio amico Putin.

Nel 2023 Gazprom ha chiuso l’esercizio in perdita per la prima volta in 25 anni. Il rosso è stato di quasi sette miliardi di dollari. Colpa del crollo delle esportazioni verso l’Europa. Dove i prezzi de gas sono saliti sì ma 100 volte meno di quanto sperava Medvedev. I Paesi sui quali le minaccia del gas ha pesato in modo più forte se ne sono liberati. “La Moldavia è stata spesso minacciata con il taglio delle forniture a causa di presunti debiti energetici”, ricorda il docente dell’University College di Londra Rasmus Nilsson, specialista degli effetti della politica sugli idrocarburi della Russia nelle relazioni internazionali. ”L’interruzione de transito dall’Ucraina ha eliminato questa minaccia”, commenta l’accademico a Fanpage.it. La Moldavia il gas adesso lo riceve soprattutto dalla Romania e da altri Paesi europei. La leva di Mosca non ha più effetto.

Pallottole spuntate

E Putin non può più rifornire nemmeno la parte separatista della Moldavia, la Trasnistria parzialmente occupata da militari russi. Contava su Gazprom per l’80  per cento del suo gas, e ha riserve molto ridotte. La Moldavia fa capire che potrebbe offrire il suo aiuto alla regione contesa. “Questo potrebbe aiutare le due parti a trovare una soluzione in cui la Transnistria venga restituita al controllo di Chisinau nell'ambito di un sistema federale”, secondo Nillson. Il contrario di quello che il Cremlino vorrebbe. E di quanto perseguito con anni di ricatto energetico.

I ricavi dalla vendita di idrocarburi nel 2025 conteranno per circa il 27 percento delle entrate statali russe, prevede il governo. In calo rispetto agli scorsi anni. Colpa anche degli sgravi fiscali decisi per aiutare Gazprom a uscire dal rosso. Il colosso guidato dall’amico di Putin Alexey Miller sta intensificando le vendite alla Cina e ai mercati non europei. Le entrate non si esauriranno. Ma “saranno limitate dagli sconti che la Russa dovrà praticare per la fine della competizione tra clienti europei e non europei”, sottolinea Nillson. Mentre la crescente dipendenza economica dalla Cina “potrebbe essere mal tollerata dalle élite russe, e rappresentare una potenziale fonte di insoddisfazione nei confronti della leadership russa nel medio termine”.

Il costo della libertà

Se Mosca ha poco da celebrare, l’Europa ha parecchio da lavorare per raggiungere un nuovo equilibrio. Lo scalpitio dei leader populisti di Paesi come la Slovacchia di Robert Fico e l’Ungheria di Viktor Orbán è più legato a ragioni di politica interna che a un effettivo rischio per la sicurezza energetica. Ma per contrastare la retorica pro-Cremlino e trasformare efficacemente il settore “l’Ue deve delineare piani a lungo termine più chiari, volti a garantire forniture con prezzi accessibili alle sue popolazioni”, conclude Rasmus Nillsen. Mica facile.

Vista da Mosca o vista da Bruxelles, la situazione sui mercati energetici è peggiorata sia dalla parte della domanda che dalla parte dell’offerta, da quando Vladimir Putin — il 24 febbraio 2022 — ordinò al suo esercito di invadere l’Ucraina. Come in tutte le guerre, in pochi hanno guadagnato molto. Tutti gli altri ci hanno rimesso. E le nostre bollette del gas sono il meno, davvero. Affrancarsi dalle minacce, costa. La libertà costa. Ma le tragedie sono altre. L’invasione russa ha provocato oltre un milione tra morti e feriti di entrambe le parti, secondo un calcolo del Wall Street Journal. Circa 40mila le vittime civili contate dall’’Alto commissariato delle Nazioni Unite. Altro che bollette.

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Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.
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