Quale sarà il futuro di Hamas e della guerra a Gaza dopo l’uccisione di Sinwar: l’analisi dell’ISPI
Il leader di Hamas Yahya Sinwar, eletto dopo l'eliminazione del precedente numero uno dell'organizzazione, Ismail Haniyeh, è stato ucciso dall'esercito israeliano e la sua morte apre una serie di interrogativi sul futuro non solo di Hamas stesso ma della guerra a Gaza.
Fanpage.it ha intervistato Luigi Toninelli, ricercatore ISPI dell'Osservatorio Medioriente e Nord Africa, per parlare di quanto accaduto nelle scorse ore e per tentare di fare un punto sui prossimi sviluppi del conflitto nella Striscia.
Cosa ha rappresentato la morte di Sinwar per Israele?
Sul fronte israeliano la morte di Yahya Sinwar è qualcosa di simbolicamente importante, rappresenta l'uccisione di una delle ultime menti che hanno orchestrato il 7 ottobre. Per Israele vuol dire mettere un punto a quanto accaduto un anno fa. Ma le parole di Netanyahu, che ha detto che siamo all'inizio della fine della guerra, nascondono il fatto che la questa non finirà a breve.
E qui subentra il secondo obiettivo israeliano, irrealizzabile, ovvero lo sradicamento di Hamas dalla Striscia di Gaza e della distruzione dell'organizzazione in toto. Un obiettivo che non può essere realizzato perché Hamas è un'organizzazione complessa che va al di là della sola resistenza armata, delle operazioni militari, ma ha anche una dimensione sociale e politica.
Il consenso di Hamas affonda le radici nel malcontento di parte della popolazione palestinese per le politiche di Israele. Finché queste non cambieranno, diciamo che nuovi potenziali miliziani continueranno a nascere e crescere.
Per quanto riguarda il futuro degli ostaggi che sono ancora nella mani di Hamas invece il portavoce dell'organizzazione ha dichiarato che staranno nella Striscia finché non verrà posta fine all'occupazione israeliana. Quindi, il cessate il fuoco torna nuovamente nelle mani di Israele.
E cosa sta accadendo invece dal lato di Hamas?
Su questo fronte la morte di Sinwar è sicuramente un nuovo duro colpo. Dovrà trovare una nuova leadership e ci sono varie speculazioni su chi potrebbe ricoprire il ruolo. Uno è Khaled Meshal, che lo era già stato in passato più volte, poi sostituito da Ismail Haniyeh, ucciso a luglio (era poi diventato leader ad interim prima della nomina di Sinwar).
Altri dicono che potrebbe diventarlo il fratello di Sinwar, Mohammed, e questa scelta sarebbe un mantenere una retorica e un approccio prettamente militaresco, meno propenso al dialogo. Altri ancora parlano di Khalil al Hayya, che è il negoziatore che sta a Doha e il portavoce di Hamas in queste ore.
È ancora dubbio chi assumerà la leadership. Possiamo dire però che Hamas, nonostante la profonda difficoltà, saprà rigenerarsi. E per come è avvenuta la morte di Sinwar, il fatto che sia morto in combattimento e con abbigliamento militare sta creando un culto, una mitizzazione del leader che si sta diffondendo tra i sostenitori di Hamas.
Il rischio è che questa figura, così controversa, diventi per molti un eroe. Anche perché per mesi è rimasto imprendibile, anche se dobbiamo chiederci se invece Israele non abbia atteso solo il momento opportuno per ucciderlo. Molti lo descrivevano rinchiuso in un bunker con gli ostaggi, una cosa estremamente vile per un leader, circondato di scudi umani. Invece non era così.
Come spieghiamo quindi la diffusione del video dei suoi ultimi istanti da parte delle Idf? Non hanno pensato al peso che avrebbe potuto avere?
Anche io penso che la scelta sia stata inopportuna e controproducente. Se l'obiettivo era dare una prova dell'uccisione, è stato superato da quello che dicevamo prima. Secondo me, è stata una mossa difficile da interpretare, non so se ingenua o controversa.
Se la dobbiamo leggerlo dal fronte israeliano, forse c'era la volontà di diffondere l'immagine di quello che è stato un incubo per loro, finalmente ucciso. Dall'altro lato invece però è stato controproducente. Anche se non dobbiamo dimenticare che queste operazioni di comunicazione ci si rivolge spesso alla propria società e non al resto del mondo.
Perché la sconfitta di Hamas resta per Israele un obiettivo, come dicevamo, irraggiungibile?
Se anche tutti i sostenitori di Hamas venissero uccisi la lotta armata non avrebbe fine. Il fatto di creare orfani e traumi nei bambini di Gaza, di continuare a costringere la popolazione a crescere in campi profughi da oltre 70 anni, di impedire lo sviluppo della società e dell'economia, dato che ci sono limiti evidenti posti da Israele sia a Gaza che in Cisgiordania, contribuisce a coltivare generazioni di dissidenti che possono scegliere di imbracciare le armi.
Anche se l'organizzazione venisse distrutta in totale, ed è praticamente impossibile, come dicevo prima, ne sorgerebbero sicuramente delle altre dalle ceneri. Forse anche più violente e più ostili. Perché la violenza porta altra violenza. È una banalità ma il fatto che ci siano persone che in questi mesi hanno conosciuto solo devastazione, non li porterà a vedere in Israele qualcuno con cui dialogare, ma qualcuno a cui opporsi nettamente.