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Guerra in Ucraina

Qual è la strategia di Putin per la seconda fase della guerra in Ucraina

I piani russi, la difesa ucraina, le possibili sorprese e le conseguenze di una vittoria di Mosca e di Kiev: tutto quello che potrebbe succedere nelle prossime settimane, nel dettaglio.
A cura di Daniele Angrisani
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La prima fase della guerra in Ucraina si è conclusa a fine marzo con il ritiro delle truppe russe dalle regioni di Kiyv, Chernihiv e Sumy. Nonostante le parole di circostanza di Mosca (“tutto sta andando secondo i piani”, ha ripetuto di recente il presidente russo Putin), chiaramente la situazione si è evoluta in maniera inattesa per i russi.

Il “blitzkrieg alla russa” che era stato inizialmente pensato dallo Stato Maggiore di Mosca per decapitare velocemente il governo ucraino legittimo e mettere al suo posto un governo fantoccio appoggiato da Mosca è fallito.

Le principali cause sono la mancanza di organizzazione dimostrata dai russi e soprattutto enormi problemi di logistica che sono diventati evidenti con la ormai famosa colonna di veicoli lunga oltre 60km e rimasta bloccata per giorni sulla strada verso Kiyv, diventando così facile preda dei contrattacchi ucraini, mediante uso di artiglieria e droni Bayraktar TB2.

Ma soprattutto ciò che Mosca non si attendeva davvero è stata la reazione ucraina, fiera e tenace, all’invasione che ha impedito con una tattica militare davvero magistrale, ai russi di avanzare troppo in profondità nella regione di Kiyv, fino a bloccarli del tutto ad Irpin, grazie alla conoscenza del terreno ed una serie di difese mobili che hanno reso troppo alto per i russi il prezzo di proseguire verso la capitale.

Le conseguenze di tutto questo, purtroppo, le abbiamo viste tutti anche con le violenze ed i massacri commessi Bucha ed in altre zone della regione di Kiyv dai soldati russi frustrati per l’andamento della guerra, di cui ho già parlato in un mio precedente articolo per Fanpage.

Il 29 marzo, il Ministro della Difesa russo Sergey Shoigu, dopo una assenza dal pubblico durata diversi giorni che ha dato anche adito a speculazioni sul suo stato di salute, ha annunciato quindi la nuova fase dell’offensiva russa, che si concentrerà, nei piani di Mosca, nella conquista del Donbass.

In quella occasione Shoigu ha definito la “liberazione del Donbass” come “l'obiettivo principale" della operazione militare speciale (il modo in cui i russi definiscono l’invasione dell’Ucraina). Il generale Rudskoy, che era con lui, ha confermato a sua volta che da ora in poi “le nostre forze e mezzi saranno concentrate sulla cosa principale: la completa liberazione del Donbass".

Dove si trova il Donbass?

Per Donbass, anzitutto, si intende la regione ucraina al confine orientale con la Russia che comprende le due regioni di Luhansk e Donetsk.

La prima guerra nel Donbass nel 2014-2015 e la attuale invasione russa hanno fatto in modo che buona parte del territorio della regione sia finito sotto il controllo della Repubblica Popolare autoproclamata filorussa di Luhansk, e che il centro amministrativo della parte della regione ancora sotto controllo ucraino sia stato spostato nella città di Sievierodonetsk.

Per quanto riguarda invece la regione di Donetsk, la storia è similare: buona parte del territorio è finito ora sotto il controllo della Repubblica Popolare autoproclamata filorussa di Donetsk, ed il centro amministrativo della parte della regione ancora sotto controllo ucraino è stato spostato prima a Mariupol e poi a Kramatorsk, dove si trova attualmente.

Le forze ucraine ancora presenti nella regione sono conosciute sotto il nome di Joint Forces Operation (JFO). Il numero totale di soldati del JFO è un segreto militare ben custodito, ma le stime più aggiornate riportate ad esempio dal Financial Times parlano di circa 40.000 truppe bene armate ed addestrate alla guerra, le cui postazioni sono state rafforzate più volte dal 2015 in poi. Si parla, insomma, in buona parte di truppe di élite ben abituate da anni alla guerra di posizione.

Qual è il piano russo?

L’intento russo in questa nuova fase della campagna è quello di cercare di accerchiare le truppe del JFO (presenti nella regione che va da Kramatorsk a Sievierodonetsk, passando per Slovyansk) con una manovra a tenaglia ad ovest delle posizioni ucraine, tra il Donbass ed il fiume Dnjepr.

L’intero saliente nord di questa manovra corre lungo la riva del fiume Seversky Donets che rappresenta una formidabile barriera naturale all’avanzata russa. Per questo motivo i russi stanno concentrando qui tutte le loro forze ingegneristiche per mettere in piedi ponti affidabili e sicuri per il passaggio delle truppe e dei mezzi pesanti russi necessari per l’offensiva.

Pertanto, l'unico sito da cui può ragionevolmente iniziare l'offensiva è considerato dagli esperti la testa di ponte sulla sponda meridionale del fiume, creata dalle truppe russe, nella regione di Izyum a fine marzo, che è stata di recente pesantemente fortificata dai russi in vista dell’attacco.

Da sud, invece, il secondo saliente dovrebbe partire dalla zona occupata dei separatisti della regione di Donetsk o dalla regione di Zaporozhye, da cui le truppe russe e le forze dei separatisti dovrebbero avanzare verso il gruppo proveniente da nord da Izyum e completare, secondo i piani russi, l’accerchiamento delle forze ucraine del JFO e decidere così l'esito della guerra a favore di Mosca.

Come afferma una ottima analisi pubblicata (in russo) sul sito di Meduza, “nella prima fase della guerra, le truppe russe non sono riuscite ad ottenere gi obiettivi prefissati sia per mancanza di superiorità numerica, sia per non adeguata conoscenza del campo di battaglia (cioè l'intelligenza). L'esito della nuova battaglia dipende dal fatto che l'esercito russo sia in grado di ottenere tali vantaggi nelle nuove condizioni”.

I primi segnali non sono certo incoraggianti per i russi: il percorso che dovranno seguire le truppe russe per questa avanzata, soprattutto da nord, è pressoché obbligato. Si tratta di uno stretto fronte offensivo che rischia di essere esposto a contrattacchi ucraini sia da ovest dalla zona del Dnjepr, che da est, ovvero le forze del JFO che si presume di voler accerchiare e che faranno di tutto per evitarlo.

Inoltre, a sud della testa di ponte – cioè proprio dove si dovrebbe sviluppare l'offensiva russa – si trova un'area collinare occupata dalle truppe e dall'artiglieria ucraine, che domina la valle del Seversky Donets, e che sta letteralmente devastando i convogli russi che cercano di avanzare nella zona. (Ricordate, il vantaggio di conoscere bene il territorio che si difende).

A dimostrazione delle difficoltà russe in questa fase iniziale della nuova offensiva c’è il fatto che giovedì 14 aprile le forze speciali ucraine sono riuscite a far saltare in aria uno dei ponti principali sul Seversky Donets, distruggendo al contempo un piccolo convoglio russo che era in passaggio in quel momento.

Inoltre, l’esercito russo non sembra essere stato ancora in grado di prendere le misure delle cosiddette ‘difese mobili ucraine’. Ad esempio, i russi sono riusciti ad avanzare lentamente nella regione di Izyum, ma a duro prezzo in termini di uomini e di mezzi e solo per ritrovarsi di fronte ulteriori difese costituite da artiglieria ed imboscate con Javelin ed altre armi anticarro.

È il metodo con cui gli ucraini, come abbiamo già visto, sono riusciti prima ad indebolire progressivamente e quindi a fermare del tutto l’attacco russo nella regione di Kiyv. Questo comunque non significa che necessariamente andrà a finire allo stesso modo, anche perché questa volta i russi potranno contare su una densità numerica di mezzi e soldati a disposizione ben più alta.

Quali sono le debolezze russe?

Anzitutto la principale debolezza russa è quella della mancanza di soldati. Come afferma Meduza, l’esercito russo resta comunque “un esercito di pace”, ed a differenza dell’Ucraina, dove l’invasione ha scatenato una mobilitazione generale e c’è stato anche un afflusso di volontari nelle Forze di Difesa territoriale, nella Federazione Russa i riservisti non sono (ancora?) stati richiamati sotto le armi.

Come ha affermato negli ultimi giorni il Pentagono durante i briefing con i giornalisti, ai russi è rimasto ora disponibile circa l’80% della forza militare totale inizialmente impegnata per la campagna in Ucraina nelle settimane prima dell’invasione e circa 65 gruppi di battaglioni tattici (BTG) su 130 inizialmente impiegati.

E’ molto probabile che i russi cercheranno di mettere in campo ulteriori BTG, ma i loro piani potrebbero essere, secondo il Pentagono, complicati dal tempo instabile e dalle piogge che hanno reso fangose le campagne ucraine e che obbligano i russi a procedere sulle strade principali, rendendoli così facile preda della ben posizionata e mobile artiglieria ucraina aiutata dai droni.

Altro problema è che i russi al momento non sembrano essere stati in grado di fermare anticipatamente lo schieramento delle riserve ucraine che si sono liberate dal nord dopo il ritiro russo dalle regioni di Kiyv, Chernihiv e Sumy, e che in buona parte sembrano essere state già dislocate (anche mediante l’uso delle ferrovie) nel Donbass.

Infine, a quanto pare anche i problemi logistici permangono inalterati anche in questa seconda fase della guerra. Sono diversi giorni ormai, infatti, che un lungo convoglio di veicoli russi diretto ad Izyum (circa 13 km) sia fermo dalle parti di Veliky Burluk nella regione di Kharkiv e ci sono indicazioni sul fatto che sia già stato sottoposto più volte ad attacchi ucraini, come dimostrato dalla mappa satellitare degli incendi nell’area resa nota dalla NASA.

Quali sono le debolezze ucraine?

Se i russi dovessero riuscire nella manovra di accerchiamento, imponenti forze militari ucraine resterebbero completamente tagliate fuori dal resto del Paese e con quasi nessuna possibilità di essere rifornite via aerea – visto il pressoché completo controllo dei cieli da parte russa in zona.

Se a Mariupol è stato possibile resistere così tanto tempo anche dopo essere stati totalmente accerchiati, è anche perché il distaccamento ucraino nella città portuale sul Mar d’Azov era decisamente minore in termini numerici. Invece fornire abbastanza armi e munizioni per consentire al JFO di resistere settimane o mesi di accerchiamento è una impresa ben più titanica per gli ucraini.

Questo significa, sostanzialmente, che il JFO dovrà fare di tutto per evitare di essere accerchiato altrimenti la situazione diventerà molto preoccupante per le Forze Armate ucraine nel Donbass ed il rischio di dover capitolare prima o poi diventerà sempre più concreto.

Il secondo grande problema è che l’esercito ucraino, sin dall’inizio della guerra, manca drammaticamente di armi pesanti, che sono necessarie soprattutto nel caso in cui dovesse decidere di prendere l’iniziativa e passare all’offensiva, ad esempio per spezzare un possibile accerchiamento.

È vero che nell’ultimo pacchetto di aiuti militari americani da 800 milioni di dollari annunciato dal Presidente americano Joe Biden una parte di questo problema è stato affrontato, visto che per la prima volta si parla anche della fornitura di armi pesanti come munizioni e sistemi di artiglieria ed elicotteri di attacco.

Che questo rappresenti un problema serio per i russi è chiaramente indicato anche dalla lettera resa nota venerdì 14 aprile dal Washington Post che il Ministero degli Esteri di Mosca ha inviato ufficialmente a Washington, D.C., per protestare contro l’invio di queste armi e parlare di non ben definite “imprevedibili conseguenze” di questa decisione.

Ma la questione chiave restano comunque le tempistiche: questi nuovi aiuti promessi arriveranno in tempo prima che i russi siano in grado di sfondare le linee ucraine o accerchiare le truppe del JFO? La risposta a questa domanda molto probabilmente sarà decisiva per lo sviluppo di questa seconda fase di guerra.

Quali sono le possibili sorprese/diversivi?

Se la battaglia principale si combatterà nel Donbass, non bisogna comunque dimenticare che sia russi che ucraini continuano a darsi battaglia anche in altre zone dell’Ucraina. In particolare, i russi continuano a combattere nella regione di Kharkiv ed è molto probabile che continueranno a tenere impegnate le difese della seconda città ucraina, per impedire alle truppe impegnate nella sua difesa di sganciarsi e rafforzare il saliente del Donbass durante la prevista offensiva.

Resta da capire inoltre quanto ancora i difensori ucraini di Mariupol, ormai circondati da più di 40 giorni, siano in grado di resistere ancora all’avanzata russa. Ci sono sempre più segnali del fatto che le truppe ucraine presenti a Mariupol siano in una situazione critica con sempre meno cibo e munizioni a disposizione.

Ma ogni giorno in più di resistenza a Mariupol aiuta gli ucraini a rafforzare le proprie posizioni nel Donbass e difendersi al meglio dal probabile assalto in arrivo. E c’è chi già inizia a paragonare (con le dovute) l’eroica resistenza ucraina a Mariupol al sacrificio dei 300 spartani alle Termopili che nel 480 A.C. permise ai greci di guadagnare tempo prezioso per riorganizzarsi e successivamente battere i persiani nella seconda guerra persiana.

Bisogna inoltre capire, se, ed in che modo – non è detto che lo siano, per vari motivi, prima di tutto le perdite subite – le truppe russe che hanno combattuto a Mariupol siano in grado di riposizionarsi velocemente altrove per aiutare l’avanzata del saliente sud della manovra a tenaglia che i russi stanno preparando nel Donbass dopo la (per me) ormai inevitabile conquista di Mariupol.

Anche gli ucraini, da parte loro, hanno comunque degli assi nella manica ancora da giocare. Anzitutto l’affondamento dell’incrociatore Moskva, ammiraglia della flotta del Mar Nero, toglie ai russi una formidabile arma di difesa area in zona ed apre potenzialmente la strada per gli ucraini ad attaccare la Crimea per via area con droni e bombardamenti aerei.

Inoltre, anche grazie alle nuove armi pesanti ricevute dagli americani, gli ucraini potrebbero passare nuovamente all’offensiva sia nella regione di Kherson che in quella di Zaporizhzhya, che è altrettanto vitale del Donbass per la strategia russa. Qui, infatti, si trova sia la centrale nucleare di Zaporizhzhya (la più grande d’Europa) che il canale che porta l’acqua alla Crimea, considerato uno degli obiettivi primari dell’invasione russa.

Il rischio di perdere il controllo di questa zona, conquistata a inizio marzo, sta obbligando già da ora i russi a posizionare in questo settore delle forze preziose che, altrimenti, potrebbe essere utilizzate per l’assalto al Donbass. Più è alto il rischio, più queste forze dovranno essere numerose e questo, per forza di cose, renderà più complicato ai russi procedere con il loro piano di accerchiamento nell’est.

E se anche l’assalto russo al Donbass dovesse fallire?

Nel caso di una guerra prolungata nel Donbass, perdite come quelle avvenute nel resto dell’Ucraina nelle prime settimane di guerra rischiano di non diventare più gestibili per i russi, che a quel punto si troverebbero di fronte ad un bivio.

La prima opzione è quella di dichiarare la mobilitazione generale anche nella Federazione Russa e quindi richiamare ufficialmente riservisti e soldati di leva a combattere in Ucraina, ponendo così fine alla pantomima della “operazione militare speciale” e dichiarando di fatto una vera e propria guerra.

Ciò permetterebbe ai russi di aumentare il numero di soldati schierati in Ucraina nell’ordine di altre decine di migliaia, ma aumenterebbe allo stesso tempo anche esponenzialmente il rischio di ulteriori perdite umane che già oggi, secondo fonti ucraine, sono arrivate a quota 20.000. Si tratta di un dato che, se confermato, supera quello di qualsiasi altra operazione militare svolta dai russi dopo la Seconda guerra mondiale.

Si tratta perciò di una decisione molto pesante dal punto di vista politico per Putin, ma di cui ci sono già le avvisaglie sulla TV di Stato russa, soprattutto dopo la rabbia dovuta all’affondamento dell’incrociatore Moskva.

La seconda opzione, di cui si fa apertamente menzione anche in questo caso sulla TV di Stato russa, è quella di quella di bombardare a tappeto per rappresaglia le città ucraine riducendole ad un campo di macerie, approfittando della superiorità aerea, preso atto dell’impossibilità di conquistare militarmente l’Ucraina, come atto di terrore e vendetta contro la popolazione ucraina che ha osato resistere all’invasione.

Una opzione del genere, comunque, aumenterebbe drasticamente il rischio che, per via dell’orrore causato da una strategia del genere, prima o poi la pressione dell’opinione pubblica internazionale salga ad un livello tale da rendere pressoché inevitabile un intervento diretto della NATO in Ucraina (sottoforma di “no fly zone” o altro), con tutte le conseguenze che ne possono derivare.

L’ultima opzione per Putin è quella di accettare di fatto la sconfitta sul campo e cercare una soluzione negoziale che quantomeno salvi la faccia al presidente russo, ad esempio concedendo alla Russia ciò che resta di Mariupol (città dove il 95% degli edifici sono ormai stati distrutti) e così unificare il territorio della Crimea a quello del resto della Federazione Russa anche via terra.

Ma non si vede, in questo caso, per quale motivo l’Ucraina dovrebbe accettare una soluzione del genere senza una chiara sconfitta sul campo, dopo che Zelensky ha promesso più volte solennemente che non firmerà nessun accordo che dia via anche solo un centimetro di territorio ucraino conquistato in questa guerra da parte dei russi.

Ed in ogni caso, anche questa soluzione è un problema per Vladimir Putin: la sua immagine, duramente costruita nel corso degli anni dai suoi propagandisti, è stata infatti quella dell’uomo vincente della provvidenza in grado di ridare alla Russia il suo giusto posto come superpotenza nel mondo, dopo l’umiliazione della caduta dell’Unione Sovietica e degli Anni Novanta.

Per quanto possa essere una soluzione di facciata, il dato di fatto inequivocabile è che una soluzione del genere rappresenterebbe di fatto l’ammissione di fallimento da parte russa dell’obiettivo principale (la distruzione dell’Ucraina in quanto “Anti-Russia”), mentre l’economia russa continuerà a restare per parecchio tempo in seria difficoltà a causa delle sanzioni occidentali, ed in generale la Russia continuerà a restare in buona parte isolata a livello internazionale.

Per l’immagine di Putin – e di conseguenza la sua permanenza al Cremlino a lungo andare, visto che i perdenti non sono mai durati tanto al potere – ciò potrebbe rappresentare un colpo fatale. Si capisce quindi facilmente per quale motivo la nuova fase della guerra in Ucraina stia diventando più che mai per lo stesso Putin una vitale questione di sopravvivenza politica.

Si può dire perciò, senza paura di essere smentiti, che, a questo punto, solo la completa vittoria russa nel Donbass possa essere una soluzione realmente accettabile per il presidente russo, e ciò indica chiaramente il reale valore della posta in gioco nelle prossime settimane sul campo di battaglia nell’est dell’Ucraina.

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Daniele Angrisani, 43 anni. Appassionato da sempre di politica internazionale, soprattutto Stati Uniti e Russia. 
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