Dopo gli attentati di Bruxelles, “il livello di rischio per attacchi terroristici in Italia è significativo, dunque è necessario tenere alta la guardia, sapendo che i possibili obiettivi sono innumerevoli”. A dirlo è il Presidente del Copasir, il leghista Giacomo Stucchi, dopo l’audizione di Arturo Esposito, direttore dell’Aisi (L’Agenzia informazioni e sicurezza interna) che ha riferito in merito al livello di sicurezza del Paese dopo gli attentati di Bruxelles. La sintesi di quanto emerso dall’audizione è piuttosto chiara: c’è una “razionale preoccupazione” per quanto concerne la possibilità di attentati terroristici in Italia ma, al momento, “non c'è alcun segnale che ci porti a dire che c'è un passaggio dalla possibilità alla probabilità che qualcosa accada”. Di certo c’è solo il fatto che, fino ad ora, si sono rivelate tutte infondate le segnalazioni giunte ai servizi di intelligence sulla presenza / attività di cellule terroristiche legate al fondamentalismo islamico sul territorio nazionale.
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha aggiunto: “Non esiste il rischio zero, ma abbiamo un'intelligence e delle forze di polizia di primo livello, purtroppo allenate anche da stagioni di grande drammaticità. L’Italia si è data una normativa antiterrorismo avanzata, tra le più avanzate a livello europeo, che prevede anche l'incriminazione di condotte non strettamente definibili in senso terroristico, ma ad esempio di supporto, di fiancheggiamento o di sostegno finanziario al terrorismo”. E il ministro dell’Interno Alfano ha ricordato i 140 warning passati al vaglio dell’intelligence negli ultimi mesi, senza che fosse rilevata alcuna minaccia specifica.
Messa in questo modo, è evidente come si tratti di considerazioni tutto sommato scontate, quasi banali, verrebbe da dire: nessuna minaccia concreta, ma esiste un livello di rischio e c’è la “possibilità” che si verifichino fatti del genere anche in Italia. Il punto è che si tratta, né più né meno, della realtà dei fatti. Per capirlo, occorre fare un passo indietro e chiarire di cosa parliamo con le parole “minaccia” e “rischio”.
In una relazione del Sis, il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, si legge:
In ambito intelligence, si intende generalmente per ‘minaccia’ un fenomeno, una situazione e/o condotta potenzialmente lesivi della sicurezza nazionale. Può essere rappresentata dalle attività di Stati (nel qual caso include anche l’eventualità del ricorso allo strumento militare), di organizzazioni non statuali o di singoli individui. Oltreché per indicare la tassonomia degli agenti (individui e organizzazioni) e degli eventi (fenomeni e condotte) pericolosi per la sicurezza, il termine è impiegato in un’accezione che si riferisce anche alla probabilità che tali eventi si verifichino
Con il termine ‘rischio’ si intende un danno potenziale per la sicurezza nazionale che deriva da un evento (tanto intenzionale che accidentale) riconducibile a una minaccia, dall’interazione di tale evento con le vulnerabilità del sistema Paese o di suoi settori e articolazioni e dai connessi effetti. Minaccia, vulnerabilità e impatto costituiscono, di conseguenza, le variabili principali in funzione delle quali viene valutata l’esistenza di un rischio e il relativo livello ai fini della sua gestione, ossia dell’adozione delle necessarie contromisure (tanto preventive che reattive).
Si capisce come parlare di una “minaccia potenziale”, date le condizioni internazionali e i fatti in questione, sia praticamente un passaggio obbligato. Così come il passaggio al secondo livello di allerta (che prevede la possibilità di attivare in maniera rapida i reparti speciali delle forze dell'ordine e di ottenere l'immediato intervento delle forze speciali dell'esercito), effettuato già dopo i fatti di Parigi, non ci autorizza a parlare di minaccia concreta e immediata al nostro Paese.
Solo pochi giorni fa, del resto, era stata consegnata al Parlamento l’annuale Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, il documento ufficiale dei servizi segreti sulle principali minacce alla sicurezza nazionale. Nella relazione, ampia e molto articolata, il nostro Paese veniva descritto come una nazione “esposta” per una seria di ragioni:
- target potenzialmente privilegiato sotto un profilo politico e simbolico/religioso, anche in relazione alla congiuntura del Giubileo straordinario;
- terreno di coltura di nuove generazioni di aspiranti mujahidin, che vivono nel mito del ritorno al califfato e che, aderendo alla campagna offensiva promossa da DAESH, potrebbero decidere di agire entro i nostri confini.
- presenza di costanti riferimenti nella propaganda jihadista all’Italia come “paese nemico”
- luoghi di aggregazione permeabili alla propaganda estremista, tra cui moschee, carceri e hotspot
Condizioni che consentono di parlare di “minaccia alla sicurezza nazionale”, ma non di “rischio concreto”, dal momento che, come rilevato dalla nostra intelligence, “non sono emersi specifici riscontri sull’esistenza di piani terroristici in territorio nazionale”.
La minaccia terroristica è in costante evoluzione e anche l’intelligence italiana ha spiegato come si stia trasformando il lavoro di prevenzione del rischio. L’attenzione degli 007 italiani si sta concentrando sempre più sui foreign fighters (sia quelli “di ritorno” che quelli ancora impegnati sui fronti iracheno / siriano e libico) e sui loro legami con le famiglie rimaste in Europa; ma soprattutto le indagini, in Italia come in altri Paesi della Ue, si soffermano sul fenomeno dei cosiddetti “homegrown mujahidin, soggetti nati o cresciuti o radicalizzatisi in Occidente (sia convertiti sia reborn muslims, vale a dire immigrati di seconda/terza generazione che hanno riscoperto l’Islam in chiave estremista), pronti a convergere verso le zone del Califfato o a compiere il jihad sui territori di residenza”.
Sotto sorveglianza vi sono i centri in cui la propaganda estremista può trovare terreno fertile e da tempo l’intelligence si sofferma su alcuni centri culturali / moschee (va detto, per la verità, che i riscontri finora sono stati minimi e le espulsioni sono state anche molto discutibili), sulle periferie in cui è più alta la concentrazione di immigrati di origine maghrebina e soprattutto negli ambienti carcerari. La relazione del Sis spiega bene come la maggiore preoccupazione è relativa proprio ai detenuti per reati comuni e, più in generale, a quei contesti in cui l’emarginazione sociale, le ristrettezze economiche e l’integrazione problematica possono fornire “terreno fertile” per la propaganda jihadista. Tanto più se questa si rivolge a una platea giovane o giovanissima, composta da immigrati di seconda generazione.
Non è un caso che negli ultimi tempi i servizi stiano conducendo un intenso monitoraggio delle “attività sospette online” e che il citato decreto antiterrorismo (che, off topic, secondo noi è un pessimo tentativo di conciliare prevenzione, approccio “securitario” e rispetto dei diritti e delle libertà individuali) abbia dato alle forze dell’ordine ulteriori strumenti per intervenire e punire comportamenti “potenzialmente illeciti”.
Quanto agli obiettivi sensibili, più volte il Viminale ha chiarito come le città d'arte, Roma su tutte, gli eventi internazionali e le manifestazioni religiose di una certa rilevanza, costituiscano un obiettivo quasi "naturale" e sono oggetto di un monitoraggio costante. Resta però un'idea di base, ribadita anche in queste ore al nostro taccuino da Giacomo Stucchi, del Copasir: "È necessario tenere alta la guardia e porre in essere tutte le misure di prevenzione sapendo che i bersagli possibili sono innumerevoli, sia gli obiettivi sensibili sia i soft target. I terroristi cercano il gesto eclatante e affinché il loro atto criminale possa avere una risonanza mondiale conta più il numero delle vittime che il luogo".
Un'ultima, doverosa, chiosa va fatta per quanto riguarda la leggenda metropolitana dei terroristi che arriverebbero nel nostro Paese a bordo di barconi, nascosti tra i migranti. Se i flussi migratori (con particolare riguardo alla rotta balcanica) rappresentano comunque una grande incognita, vale la pena di citare i servizi segreti e ribadire un concetto:
"Il rischio di infiltrazioni terroristiche nei flussi migratori, quanto alla direttrice nordafricana, nonostante ricorrenti warning, non ha trovato specifici riscontri”. In sostanza, come vi abbiamo detto e ripetuto più volte, quella dei terroristi infiltrati sui barconi era una bufala, anche bella grossa, che ha contribuito ad alimentare un clima di odio, paura e intolleranza nei confronti dei migranti.