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Guerra in Ucraina

“Putinisti d’Italia, se conosceste la Russia perdereste ogni illusione”: parla il Nobel Rachinsky

Intervista al premio nobel per la Pace 2022: “Putin? Un ipocrita che vuole la fine del diritto internazionale. Anche con un cambio al vertice Mosca ci metterà oltre 10 anni a tornare civile”.
A cura di Riccardo Amati
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Il premio nobel Rachinsky
Il premio nobel Rachinsky
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Un regime ibrido, quasi liquido. Che “mescola stalinismo e fascismo, elimina i diritti umani e propone la morte del diritto internazionale”. È la fotografia che Yan Rachinsky, appena premiato con il Nobel per la pace assegnato all’organizzazione Memorial di cui è presidente, fa del sistema politico di Vladimir Putin.

“Il numero dei prigionieri di coscienza è ormai pari a quello dell’era sovietica”, spiega a Fanpage.it. “Spero che la guerra in Ucraina porti al crollo del regime a Mosca”. Ma anche in questo caso, “ci vorrà più di un decennio per far tornare civile il mio Paese, afferma. Quanto agli italiani che tifano Putin, “perderebbero ogni illusione se conoscessero la Russia di oggi”.

Il premio è un riconoscimento alla difesa dei diritti umani fatta da Memorial e al sacrificio dei suoi esponenti. Uno dei fondatori, Andrey Sakharov, nel 1975 ebbe un Nobel per la sua campagna contro la repressione nell’era sovietica: gli costò l’esilio interno. Dopo la dissoluzione dell’Urss, Memorial ha continuato il suo lavoro documentando le violazioni dei diritti umani nella Federazione Russa. La sua responsabile a Grozny Natalia Estemirova fu assassinata nel 2009 per aver denunciato i crimini di guerra in Cecenia.

Nel 2016 le autorità bollarono l’organizzazione come “agente straniero”. Nel 2021 fu accusata di aver aiutato il terrorismo. Dopo l’invasione dell’Ucraina, nel marzo 2022, Memorial è stata dichiarata illegale e i suoi uffici son stati messi sotto sequestro. Attualmente, il governo si sta muovendo per sequestrare anche i suoi archivi.

“I soldi del Nobel saranno utilizzati in parte per l’aiuto ai prigionieri politici russi e alle loro famiglie e in parte per l’aiuto alle famiglie dei civili ucraini uccisi uccisi in guerra”, rivela Rachinsky, che abbiamo raggiunto al telefono a casa sua a Mosca.

È vero che le autorità russe hanno fatto pressione perché Memorial rifiutasse il Nobel?

Non sono state proprio pressioni. Solo commenti di un funzionario del governo, il capo del Consiglio presidenziale dei diritti umani Valery Fadeyev. Non gli piaceva che anche una Ong ucraina ricevesse il premio. Ma non lo abbiamo preso sul serio. Non abbiamo mai nemmeno lontanamente pensato di rifiutare il Nobel.

Dopo la recente liquidazione di Memorial da parte del Cremlino, lei continua la sua attività di difensore dei diritti umani a Mosca. La repressione contro chi crea problemi al regime è sempre più dura. Non ha paura dell’arresto?

Lavoro come sempre. Hanno chiuso le due branche più importanti di Memorial. Che però ne ha altre ancora attive. Per ora andiamo avanti. Senza paura.

Intanto, il governo chiede la chiusura anche del Moscow Helsinki Group, che dal 1976 si occupa di diritti umani, e che ha avuto tra i suoi fondatori la celebre dissidente sovietica e poi attivista politica Lyudmila Alekseyeva — scomparsa nel 2018.

E questo dimostra la profonda ipocrisia di Vladimir Putin. Che ha più volte incontrato Alekseyeva. Per far vedere che si interessa di diritti, quando ogni sua azione dimostra il contrario.

Com’è oggi la situazione dei diritti umani in Russia?

I diritti umani in Russia non esistono più. È stata eliminata la libertà di riunione, soppressa quella di associazione, fortemente limitata quella di parola. I media sono sotto il completo controllo dello Stato, che impone nei palinsesti e nella linea editoriale il suo unico punto di vista. E per quanto riguarda la Giustizia, non c’è il diritto a un giusto processo. La situazione più che grave è catastrofica.

A proposito dell’utilizzo politico della giustizia: aumenta il numero dei prigionieri di coscienza. Oppositori messi in galera con accuse risibili e poi incriminati in base a leggi che prevedono lunghe detenzioni. Alcuni nomi sono famosi: Alexei Navalny, Vladimir Kara-Murza, Ilya Yashin. Altri, meno. Cosa può fare la comunità internazionale per favorirne il rilascio?

Difficile che possano essere rilasciati finché ci sarà questo regime. Ma qualcosa si può fare. Non bisogna dimenticarli. Il loro destino deve esser oggetto di discussione in qualsiasi trattativa col Cremlino: è un modo di far pressione sul potere. Magari un giorno potrà esserci l’effetto desiderato. La mente di Putin è imperscrutabile.

Quanto c’è di stalinista nell’attuale regime?

Abbiamo altrettanti prigionieri politici quanti ne avevamo prima della perestroika di Gorbaciov. L’eredità stalinista è parte del regime di Putin. È inquietante il fatto che si stiano espandendo i poteri extragiudiziali di vari organismi, come ai tempi di Stalin. Non serve un tribunale per decidere che sei un “agente straniero”, per esempio. E si è tornati a perseguire le persone per le parole che pronunciano. Le leggi sovietiche che nel dopo-Stalin riabilitarono le vittime del dittatore stabilivano che non si può reprimere il diritto di parola. Le leggi recenti che prevedono pene anche superiori a 10 anni per chi dice cose che divergono dalla linea ufficiale del governo sulla “operazione militare speciale” in Ucraina invece fanno proprio questo: annullano il diritto di parola.

La Russia non ha mai davvero sepolto il suo passato. Non sembra aver mai fatto i conti con lo stalinismo, con i gulag. C’è nostalgia per il periodo sovietico e c’è una sorta di amnesia per ciò che comportò. Perché?

Il dominio sovietico è durato ben 70 anni. E quando con la perestroika l’Urss si aprì, mancavano le persone capaci di trasmettere l’esperienza di una vita diversa da quella che aveva insegnato il Partito. Inoltre, non c’è mai stata una valutazione accurata dei crimini commessi sotto il comunismo. Dopo Stalin, il regime riabilitò i perseguitati. Ma non sottopose mai  a giudizio i criminali responsabili delle persecuzioni. Perché quei criminali si identificavano nello stesso potere sovietico.

Il Cremlino definisce “fascisti” o “nazisti” tutti quelli che si oppongono alla Russia di Putin. Ma alcune caratteristiche del regime, quali il richiamo ai “valori tradizionali”, il nazionalismo autarchico e anti-liberale, il revanscismo in politica internazionale, sembrano proprie del fascismo. Oltre che stalinista, il sistema Putin è anche fascista?   

L’utilizzo di etichette era una delle tecniche preferite della propaganda sovietica. Le etichette arrivano subito al pubblico. E per i russi la “Grande guerra patriottica” (la Seconda guerra mondiale, ndr) contro il nazi-fascismo è una pagina di Storia che non può esser dimenticata. Paradossalmente, però, le stesse etichette possono essere applicate all’attuale regime russo. Che quando afferma che non esiste un popolo ucraino e nega all’Ucraina il diritto di esistere come nazione applica un concetto tipicamente fascista.

La Storia della Russia sembra avere un andamento circolare che la riporta costantemente all’autoritarismo e al totalitarismo. Quando sarà possibile rompere il cerchio? Potrà mai diventare un Paese normale? La finestra che si aprì negli anni Novanta si è richiusa ermeticamente?

Non è vero che la nostra Storia è ciclica. Ci sono stati diversi momenti in cui il cerchio è stato spezzato. Come con la perestroika e durante gli anni Novanta del secolo scorso. Sfortunatamente i tentativi di cambiare traiettoria hanno trovato ostacoli molteplici. Ma non credo che siamo un caso senza speranza. Noi continuiamo a lavorare perché la Russia diventi un Paese normale.

La guerra in Ucraina potrebbe essere fatale per il regime di Vladimir Putin?

Spero che l’Ucraina riuscirà a difendere la sua indipendenza, e questo sarebbe certo uno shock molto grave per il governo russo.

Il cambiamento sarebbe improvviso o si aprirebbe un periodo di transizione, come nella Spagna del dopo-Franco?

I cambiamenti in Russia spesso avvengono all’improvviso. Basti ricordare la perestroika e quel che seguì. Rielaborare quanto successo a partire dal 24 febbraio 2022, però, sarà un lungo viaggio. La Russia dovrà seguire la strada che fece la Germania post-nazista, per metabolizzare la sua Storia recente. Il ritorno a un percorso civile non è un compito per un solo decennio.

Cosa si sente di dire ai molti italiani che ammirano Putin e l’attuale politica russa, col suo richiamo ai cosiddetti valori tradizionali, l’opposizione a Usa e Nato e la tensione verso un mondo “multipolare”? Oltre il 50% dei nostri cittadini vorrebbe uno stop dei rifornimenti di armi all’Ucraina, tanto per cominciare.

Mi sento di dir loro che la situazione vista da lontano è molto diversa da come la vediamo noi russi da vicino. Anche una breve conoscenza della Russia dissiperebbe ogni illusione. D’altra parte, non mi pare che molti italiani abbiano la smania di venire a vivere qui. Il guaio comunque non è solo la situazione interna, né è solo Putin, sebbene sia lui il maggior colpevole della crisi attuale. Il problema è ben più ampio. Quella dell’Ucraina e di chi la sostiene è una lotta per preservare il diritto internazionale. Se si accetta che i confini possano esser modificati per il capriccio di un Paese, situazioni come quella che sta subendo il popolo ucraino si ripeterebbero in tutto il mondo. Questo conflitto sta creando difficoltà ai cittadini europei e italiani. Ma è niente rispetto in confronto alla catastrofe che seguirebbe all’abbandono del diritto internazionale. Questo, mi sento di dirvi.

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Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.
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