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Guerra in Ucraina

“Putin vuole una tregua, non la pace”: parla il diplomatico russo che si è ribellato allo zar

“Il presidente tratterà solo secondo i suoi termini e non concederà niente”, dice Boris Bondarev, dimessosi dal servizio diplomatico perché contrario alla guerra. “Putin non lo puoi pacificare”.
A cura di Riccardo Amati
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“L’unica vera via di uscita è la sconfitta delle forze armate russe sul terreno”. Cosa che “potrebbe portare a una rivolta contro Putin”. I motivi dell’invasione “non sono da cercare nella politica internazionale, nonostante gli errori dell’Occidente”. La logica “è solo nell’autoconservazione al potere del presidente e della élite che si è scelto”. Mentre la narrativa messianica su un nuovo ordine mondiale multipolare “è solo una vernice sotto la quale non c’è un’ideologia, né alcuna sostanza”. Anche per questo, “le giuste proteste contro la guerra vanno rivolte direttamente all’aggressore”. Boris Bondarev non si fa illusioni sulla possibilità di “pacificare” Putin e raggiungere con lui un accordo che fermi la follia in atto nell’est dell’Europa. Bondarev è — per quanto si sappia — l’unico diplomatico russo che ha rinunciato alla feluca perché contrario alla guerra in Ucraina. Dimessosi dal suo incarico alla missione di Mosca presso la sede di Ginevra dell’Onu, ha pubblicato una lettera aperta in cui spiegava di non voler avere alcun ruolo in “questa sanguinaria, stupida e inutile ignominia” e definiva il conflitto in corso “un crimine contro il popolo ucraino e quello russo”. Oggi vive sotto la protezione della polizia in un luogo segreto in Europa. Fanpage.it lo ha raggiunto via zoom. “Non penso a eventuali pericoli per la mia persona, cerco di andare avanti normalmente ma sono tuttora senza lavoro”, racconta. È in maglietta, parla in modo forbito. Ha l’aria preoccupata.

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La Russia è aperta a colloqui con l’Ucraina, ha detto recentemente Putin. È una svolta?

Putin vorrebbe un cessate il fuoco. Al momento sta perdendo. Meglio fermarsi sulle attuali posizioni. Potrebbe già farlo passare per un parziale successo. Ma dopo essersi riorganizzato tornerebbe all’attacco. Per trasformare la sconfitta in un successo completo.

I raid missilistici sugli obiettivi civili a Kyiv e nelle altre città ucraine erano una escalation per preparare qualche tipo di trattativa?

Certo non una trattativa che preveda concessioni da parte della Russia. Putin vuole solo che gli ucraini riconoscano come russi i territori che Mosca si è annessi. L’unico modo per arrivare alla pace è accettare tutti i suoi termini. È una strada a senso unico.

Ma un piano che riconoscesse l’annessione della Crimea, nuovi referendum nel Donbass sotto l’egida dell’Onu e il ritorno all’Ucraina degli altri territori occupati sarebbe nei termini voluti da Putin? Potrebbe accettarlo?

Se avesse voluto solo tenersi la Crimea e risolvere i problemi del Donbass, avrebbe potuto farlo molti anni fa. C’erano diversi scenari che potevano essere discussi con Kyiv: referendum, governatori congiunti e anche pagamenti di centinaia di miliardi all’Ucraina. Le offerte erano sul tavolo. Le negoziazioni, certo, sarebbero state lunghe. Ma a Putin non interessavano.

E non potrebbero interessargli oggi, proprio perché sta perdendo?

Se oggi accettasse qualcosa, sarebbe solo per un periodo. Per dar modo alle sue forze armate di riorganizzarsi e rifornirsi. Poi colpirebbe ancora. Perché Putin non lo puoi “pacificare”. La situazione è simile a quella vista alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Nel 1938, alla conferenza di Monaco, Hitler ottenne ciò che chiedeva riguardo al territorio germanofono dei Sudeti. Il premier britannico Chamberlain tornò a Londra dicendo “vi porto la pace”. Lo applaudirono. Dopo un anno scoppiò il più immane conflitto della Storia.

Quindi una soluzione diplomatica è proprio impraticabile?

Dipende da cosa si vuole ottenere. Se si dà almeno un pezzo di Ucraina a Putin, la guerra per ora finisce. Ma il prossimo anno le forze armate russe potrebbero schierarsi ai confini dell’Unione Europea. E la Russia potrebbe anche interferire apertamente negli affari interni di Paesi Ue, appoggiando fazioni politiche amiche e movimenti indipendentisti.

E se Cina e l’India, diventate punti di riferimento di Mosca, in una conferenza internazionale sotto l’egida dell’Onu chiedessero insieme all’Occidente un accordo serio. Non come Monaco 1938. Un accordo secondo cui Putin si ritira sul campo di battaglia e rinuncia all’aggressività in politica estera. È una possibilità?

In teoria, l’Occidente dovrebbe costruire una coalizione anti-Putin. La più larga possibile. Ma la Cina non vede motivi per affiancarsi alle posizioni degli Usa. Perché ritiene che poi, a cose fatte, gli americani tornerebbero a confrontarsi con Pechino. Così anche l’India: ha una tradizione di buone relazioni con la Russia. Compra armi, sviluppa legami economici.

È il mondo multipolare prospettato dalla politica estera russa. Mica si può decidere tutto a Washington.

Il multipolarismo immaginato da Putin prevede Paesi autoritari con una loro sfera di influenza. Nel caso della Russia si tratta di ristabilire l’area di influenza dell’Urss, averne l’esclusiva e farne ciò che si vuole. Non solo gli Usa e la Nato ma nemmeno l’Onu o l’Ue potrebbero metterci il naso e raccomandare cosa è bene fare e cosa no. Il presidente russo può dire che è favorevole al mondo multipolare, che vuole un movimento di Paesi non allineati, che è contro la schiavitù, che è anti-liberale. O pro-liberale. Sono solo parole. Tutto ciò che gli interessa è il potere personale. La narrativa messianica è solo una vernice. Se gratti, sotto trovi la cupidigia.

Insomma, lei non vede vie d’uscita?

Non è in atto solo un conflitto territoriale. Putin ha ragione nel dire che si tratta di un conflitto fra due sistemi. Uno più o meno democratico e fondato sulla certezza del diritto e un altro dittatoriale e fondato sulla corruzione e sulla prevalenza del più forte. Quindi, che uscita ci può mai essere? Il problema è che Putin non può indietreggiare. Perderebbe tutto. L’unica via d’uscita è una sconfitta definitiva di Putin in Ucraina.

Ma può forse fermarsi prima. Accontentarsi di qualche obbiettivo raggiunto. Accettare una mediazione. Si risparmierebbe molto sangue.

Putin ha scatenato questa guerra solo per mantenere il proprio potere. Se avesse potuto dire ai russi che c’è un boom economico in arrivo, non avrebbe avuto bisogno di una guerra. Ma il regime è estremamente inefficiente, anche in economia. Putin ha esaurito tutte le opzioni. Era rimasta solo quella di una guerra breve e vittoriosa. Pensava di arrivare a Kyiv in tre giorni. E poi, una bella parata sulla Piazza Rossa. Per ricreare l’entusiasmo che seguì all’annessione della Crimea nel 2014. La Crimea ha regalato tempo a Putin. Perché prima del 2014 il suo gradimento da parte della popolazione era in calo. C’erano state grandi proteste di piazza contro di lui. Negli ultimi anni, l’effetto-Crimea stava scemando. Bisognava ricrearlo. Putin ha pensato che in Ucraina potesse andare tutto liscio come in Crimea. Ha commesso un errore.

E gli errori dell’Occidente? Indubbiamente ce ne sono stati.

Il maggior errore l’Occidente lo ha fatto nel 1991, quando considerò il collasso dell’Unione Sovietica semplicemente una vittoria e diede per scontato che i Paesi ex-sovietici avrebbero costruito la democrazia da soli. Sarebbe stato necessario aiutarli con un nuovo Piano Marshall. Invece si lasciò il campo a caos e povertà. In Russia, la gente che con l’Urss aveva sicurezze si ritrovò da un giorno all’altro senza lavoro, senza denaro, senza identità. Ciò ha creato risentimento. Ci siamo sentiti umiliati. Putin ha costruito su questo. Se il regime di Putin crollasse, e non mi aspetto che succeda in tempi brevi, l’Occidente non dovrebbe ripetere l’errore del 1991. Dovrebbe assistere la Russia a ricostruire se stessa.

George Kennan, il diplomatico americano che ispirò il “containment” nei confronti dell’Urss e che meglio di tanti altri capì la Russia, nel 1998 disse che l’espansione della Nato sarebbe stato un colossale sbaglio.

E forse aveva ragione. Ma si deve capire che Putin e la Russia sono due entità diverse. Quando Putin dice che l’espansione della Nato minaccia la sicurezza della Russia, quel che veramente pensa è che l’espansione della Nato minaccia la sua, di sicurezza. Mentre la Russia come Paese non avrebbe alcun problema ad avere relazioni costruttive con la Nato e con l’Occidente.

Qual’è l’umore nella comunità diplomatica russa?

Nei primi giorni della guerra, in molti eravamo scioccati e depressi. Anche all’interno della missione presso le Nazioni Unite a Ginevra. Personalmente, ero a pezzi. Non potevo dormire. Ogni guerra significa che come diplomatico hai fallito. In questo caso non era colpa nostra. Il disegno ha la firma di una sola persona. Purtroppo la diplomazia russa ha ridotto se stessa a un ruolo solo “tecnico”. Quel che fa adesso è prendere istruzioni dal Cremlino, tradurre i documenti e leggerli a ministri e diplomatici di altri Paesi. Dicendo che è l’Ucraina ad aver iniziato la guerra, che non è colpa della Russia e così via. Non è un dialogo. È solo ripetere alcuni slogan

Il ministero degli Esteri non conta più nulla?

È chiamato ad implementare decisioni prese al Cremlino, che non lo consulta. E non sappiamo nemmeno da chi vengano prese le decisioni. In teoria, dal presidente. In pratica, non si sa quali siano le persone coinvolte nel processo. Probabilmente, anche gente che non ha alcun incarico ufficiale. Amici, sodali.

Vede la possibilità di un golpe? C’è irrequietezza, nelle élite.

Putin ha selezionato personalmente la sua élite. Avendo come parametro la lealtà dei prescelti. E anche la loro mancanza di onore, di integrità e di iniziativa. Ha cooptato solo persone pronte ed eseguire i suoi ordini. E questo è molto pericoloso. Perché se ordinerà un attacco nucleare, l’ordine verrà eseguito. Queste persone, però, non hanno un’ideologia. Sono abituati a fare quel che dice il presidente per personale convenienza. Se capiscono che ricchezze e posizioni sono in pericolo, potrebbero anche rivoltarglisi contro. Potrebbe esser così se ci fosse una rotta delle forze armate tale da convincerli che la guerra in Ucraina è persa.

La minaccia nucleare è realistica?

È parte del gioco dell’escalation. Putin è convinto di saperlo giocare meglio di qualsiasi altro. Per ora ha successo. Infatti si moltiplicano le voci che chiedono un approccio più soft nei suoi confronti. Certo, la guerra nucleare bisogna far di tutto per evitarla. Ma ci si può arrendere a un terrorista? Dopo, dovrai continuare ad arrenderti ancora, ed ancora. E resterai per sempre sotto il suo controllo.

In Italia si organizzano proteste per la pace. “Dobbiamo negoziare con Putin”, chiede la piazza.

Ogni disastro ha il suo nome e grado, diceva Kaganovich, ministro di Stalin. La colpa è sempre di qualcuno. Questa guerra ha nome e grado: la colpa è del presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Quando la gente dice: fermate la guerra, vogliamo la pace, deve rivolgersi a Putin. È lui che l’ha iniziata. Nessuno l’ha costretto. Nessuno voleva questa guerra. L’Europa no di certo: di tutto aveva bisogno fuorché di una guerra. Gli Usa nemmeno, stavano benissimo così. E, paradossalmente, non la voleva nemmeno la Russia. Solo Putin l’ha voluta. E solo lui può fermarla. Lo slogan dei pacifisti deve essere: “Ritira le tue truppe, Putin”. Non c’è altro modo.

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