“Putin si farà da parte nel 2023”: la previsione del suo ex collaboratore Abbas Gallyamov
Se fosse ancora nello staff del presidente gli consiglierebbe “di farsi da parte e scegliersi un successore” perché è “l’unico modo di uscire dall’impasse in Ucraina senza rischiare rivolte, un processo alla Corte dell’Aia o peggio”. Abbas Gallyamov dal 2008 al 2010 ha scritto i discorsi di Vladimir Putin. Ritiene che il suo ex-datore di lavoro non abbia altre vie d’uscita. “Comunque nel 2023 le élite cercheranno di convincerlo a lasciare il potere, per evitare che una guerra infinita metta a rischio l’intero sistema e i privilegi di chi vi partecipa”. Gallyamov risponde da Tel Aviv, dove vive da tempo per ragioni di sicurezza. “Indicativa dei problemi di Putin è la cancellazione della conferenza stampa di fine anno”, dice a Fanpage.it. “Avrebbe un gran bisogno di dimostrare pubblicamente ai russi e al mondo che ha in mano il timone, che è sicuro di sé e che detta lui l’agenda. Ma non può permetterselo perché non ha idee precise sul futuro. Al momento il presidente è in mano agli eventi”.
Niente conferenza stampa di dicembre, per la prima volta in dieci anni. Perché Putin rompe così la consuetudine?
L’evento presuppone che il presidente parli non solo di tattica ma anche di strategia. E al momento per Putin è impossibile parlare di ciò che sarà, perché lui stesso non ne ha idea. Il formato avrebbe alimentato un senso di vuoto, creando insoddisfazione nel pubblico. Per questo la conferenza è stata cancellata. Tatticamente la decisione è corretta. Ma dimostra una volta di più che la leadership della Russia si trova in una grave impasse strategica.
La kermesse di fine anno con la stampa è sempre stata l’occasione per il presidente di mostrarsi come la persona al comando, il nachalnik, in russo. Ovvero il boss sempre in grado di risolvere i problemi. Lo “zar buono” pronto a riparare alle ingiustizie. Non ha più bisogno di questo? Non gli importa più cosa pensa di lui la popolazione?
Gli importa eccome. Mai così tanto. L’impressione che non fosse al passo con la gente comune è sempre stato il punto debole della sua immagine. I russi lo vedono come un leader forte ma troppo preso dalla geopolitica, dai grandi temi internazionali. Molto meno dai problemi immediati dei normali cittadini.
Problemi troppo triviali per il grande statista?
Proprio così. E la percezione di un distacco dal loro presidente si è fatta sempre più forte tra i russi, come dimostra il calo di consenso registrato dai sondaggi. Putin oggi avrebbe terribilmente bisogno di eventi quali la conferenza stampa di dicembre. Ma nella situazione particolare in cui si è messo non può permetterseli. Perché dopo i fallimenti in Ucraina non può proporre idee e prospettive per i futuro.
Alla conferenza di fine anno, insieme alla domande di adoranti giornalisti dei media di Stato erano ammesse alcune domande di reporter occidentali. E quelle erano domande vere. Il Cremlino voleva voleva così dimostrare una relativa trasparenza. Oggi non gli importa più?
L’Occidente ormai è il nemico. Il Cremlino non si sente di dover dimostrare proprio niente. A Putin non interessa più l’opinione dell’Occidente.
Questo 2022 probabilmente è andato in modo molto diverso da come Putin voleva o prevedeva. Come lo prevedeva, secondo lei? Credeva di poter risolvere a suo piacimento i problemi con l’Ucraina?
Non immaginava di scatenare una guerra vera e propria. Pensava che Kyiv avrebbe ceduto al suo ultimatum accettando buona parte delle richieste di Mosca. Poi alle sue minacce nessuno si è spaventato più di tanto. Si è sentito sbeffeggiato. E a quel punto non poteva tornare indietro. Ne andava della sua immagine. Sarebbe sembrato debole. I suoi problemi di legittimità anziché risolversi si sarebbero aggravati. Così ha attaccato. Ma riteneva che tutto sarebbe andato più o meno come con la Crimea nel 2014. Non si è reso conto che l’Ucraina di quel tempo era molto diversa da quella di oggi. Kyiv allora era ancora alle prese con gli equilibri post-rivoluzionari. Era ancora in atto una lotta per il potere centrale e il problema della Crimea fu visto come periferico.
Lo “schema Crimea” non ha funzionato, stavolta…
L’Ucraina di oggi è uno Stato forte con un governo pienamente legittimo. Putin ha sopravvalutato il suo successo del 2014. Ha peccato di orgoglio. E si è ritrovato in un’avventura per lui fallimentare.
Come è cambiato Putin, nel corso di quest’anno?
Ha perso fiducia in se stesso. Non ha più una visione strategica. Non è più lui a fissare l’agenda, a guidare gli eventi. Sono invece gli eventi che guidano lui.
Una cosa che è diventata sempre più importante nel 2022 è l’ideologia del regime. Valori tradizionali, anti-occidentalismo e rivisitazione della Storia russa in senso imperialistico hanno soppiantato il realismo di fondo che Mosca aveva nelle relazioni internazionali, anche quando si comportava con aggressività. Secondo lei Putin ormai crede all’ideologia che ha messo a punto? O è solo propaganda?
Il Putin che ho conosciuto certamente non credeva a tutta questa paccottiglia ideologica. Ma poi ha iniziato a trovarla molto utile. Gli ha dato più forza. Ha concentrato più potere nelle sue mani. E ha cominciato a identificarvisi. Succede, quando si utilizza a lungo qualcosa: diventa parte di te. All’inizio si trattavo di un utilizzo solo opportunistico, cinico. Poi, l’ideologia è diventata parte della sua visione del mondo.
Putin può ancora vincere la guerra in Ucraina? Che si aspetta nel 2023?
Non conta più su una vittoria totale, come all’inizio delle ostilità. Allora pensò che siccome era stato “costretto” alla guerra, poteva prendersi tutto. Sostituire il governo di Kyiv con un governo pro-russo e chiudere così il problema. Oggi si accontenterebbe di molto di meno. Probabilmente il corridoio terrestre per la Crimea e la neutralità di un’Ucraina fuori dalla Nato potrebbero bastargli per proclamare vittoria. Il problema è che non sembra in grado di ottenere nemmeno questo. Quindi è tentato dal prolungare la guerra all’infinito. Perché se si ritirasse dal conflitto senza aver ottenuto alcun risultato potrebbe perdere il potere. Sarebbe del tutto delegittimato non solo agli occhi della popolazione ma anche a quelli dei militari e dei servizi di sicurezza. Nessuno lo proteggerebbe più dal possibile esplodere di rivolte di piazza, dall’ira popolare.
E allora, guerra all’infinito? Ma è mai possibile?
Se Putin non raggiungerà alcun successo nei prossimi mesi, ed è probabile che non lo raggiungerà, il 2023 potrebbe essere l’anno in cui le élite cercheranno di convincerlo a farsi da parte e scegliere un successore per le elezioni presidenziali del 2024. Perché chi partecipa al potere in Russia capisce che portare avanti la guerra all’infinito, deteriorando l’immagine del capo ed esaurendo le risorse, potrebbe avere un “effetto 1917” e far crollare il sistema. Le èlite questo vogliono assolutamente evitarlo. Tenteranno di persuadere Putin a rinunciare alla presidenza. Perché un successore potrebbe fermare la guerra, iniziare negoziazioni con l’Ucraina e con l’Occidente e cercare di normalizzare la situazione. Per salvare il sistema. Penso che Putin acconsentirà. Sta perdendo la capacità di resistere alla pressioni esterne. Potrebbe riconoscere che non sarebbe la cosa peggiore. Almeno potrebbe aver assicurata l’immunità. Come lui la garantì a Yeltsin.
Se fosse ancora nel suo staff, dimenticando le divergenze che oggi ha con lui, come “tecnico” della politica russa, cosa consiglierebbe a Putin?
Proprio questo: di scegliersi un successore. Qualcuno che non ha avuto niente a che vedere o quasi con questa guerra. Qualcuno più liberale di lui. Potrebbe essere il sindaco di Mosca Sobyanin, o il premier Mishustin, o il vice capo dell’amministrazione presidenziale Kozac, o l’economista Kudrin. E incaricarlo di fare quel che lui, Putin, non può fare: fermare il conflitto, aprire un negoziato con l’Ucraina e iniziare una democratizzazione progressiva della Russia. Un processo decennale, simile a quello della Spagna del dopo-Franco. Putin, come ex presidente, siederebbe nel Consiglio federale, il Senato russo. Avrebbe l’immunità. Sarebbe la via d’uscita migliore, per lui. Meglio di esser spodestato brutalmente. Meglio di finire davanti alla Corte penale internazionale dell’Aia come criminale di guerra. Meglio di finire come Ceausescu (il dittatore romeno giustiziato nel 1989, ndr).