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Guerra in Ucraina

“Putin ha creato un Paese cinico e amorale”: i russi dopo un anno di guerra, secondo il sociologo Gudkov

“Della tragedia in Ucraina non si parla né ci si sente responsabili”. In un regime “ormai totalitario” torna a vivere l’Homo sovieticus, in versione ancor più cinica: nessuna compassione e difesa cieca di quel che si ha, e senza una visione del futuro.
A cura di Riccardo Amati
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I sentimenti prevalenti sono “l’ansia e l’incertezza”. Ma i russi “si adeguano alla deriva totalitaria del regime”, acceleratasi dopo l'invasione dell'Ucraina. Sanno bene come fare: durante settant'anni hanno sviluppato le difese per sopravvivere al totalitarismo. La differenza è che nel periodo sovietico “c'era almeno la speranza in un futuro migliore, pacifico e giusto”. Sotto Putin, “il futuro è sparito”. Per non parlar della pace.

Si pensa solo “a non perdere quel poco o tanto che si ha”, trionfa un “cinismo amorale”: “Non c'è compassione per gli ucraini aggrediti. Né odio”. Ci si identifica nello Stato. Si fa finta di credere alla propaganda del regime perché conviene: se non altro fornisce giustificazioni per l’ingiustificabile, e uno poi si sente un po’ meglio. Quello dei russi dell’anno Z è un conformismo “da schiavi”, che “priva gli individui del loro senso di responsabilità”, mentre la società somiglia sempre più alle società del consenso viste nei regimi totalitari europei del recente passato.

Il presidente russo Vladimir Putin e il procuratore generale russo Igor Krasnov al Cremlino a Mosca
Il presidente russo Vladimir Putin e il procuratore generale russo Igor Krasnov al Cremlino a Mosca

A descrivere a Fanpage.it come la guerra di Putin sta cambiando la Russia è Lev Gudkov, 76 anni, probabilmente il maggior sociologo del Paese. Direttore scientifico del centro statistico indipendente Levada, Gudkov rimane a Mosca pur criticando il regime,  per questo rischia l’arresto. L’istituto che ha guidato per oltre 15 anni potrebbe esser chiuso in ogni momento, il centro Levada è stato infatti dichiarato “agente straniero”.

Se il Cremlino finora ne ha tollerato le attività è perché anche agli autocrati i sondaggi indipendenti servono. Ma il boicottaggio è spietato. Commesse e inserzionisti non ci sono più. Gli uffici ormai occupano solo una piccola parte della sede storica, un palazzo ottocentesco dipinto di verde sulla Nikolskaya, la strada pedonale fra la Lubyanka e la Piazza Rossa. La stessa via dove, durante i mondiali di calcio del 2018, tifosi di ogni dove facevano festa. Sembra passato un secolo. Gudkov ci risponde dalla sua stanza al secondo piano di un fortino assediato nella capitale di un grande Paese sempre più isolato.

Lev Gudkov.
Lev Gudkov.

Come è cambiata la società russa nei dodici mesi seguiti all’invasione dell’Ucraina?
La società si è raccolta attorno al regime di Putin. A causa della propaganda, della censura e della repressione di ogni opposizione. Non si tratta di un cambiamento drastico, ma c’è stata un’accelerazione in questo senso.

Il regime è diventato totalitario?
Sì, la deriva è decisamente totalitaria. E la popolazione si è adeguata. Il regime è diventato più repressivo, ha allargato il suo controllo su aree che prima non rientravano nella competenza dello Stato. Sta rapidamente rafforzando il dominio sull’istruzione, sui media e su internet. Sono stati bloccati oltre 250 siti di notizie. Mentre è in atto una vera e propria aggressione contro chi critica la guerra contro l’Ucraina.

Mosca - Il Presidente russo Vladimir Putin parla durante un incontro con alti ufficiali militari
Mosca – Il Presidente russo Vladimir Putin parla durante un incontro con alti ufficiali militari

Non sono mica tanti i russi che criticano la guerra, secondo i vostri sondaggi. Perché?
Perché il regime è stato capace di organizzare il consenso in relazione al conflitto. Il 75% della popolazione sostiene l’invasione e il 71% si dice certo che la Russia vincerà. Ma questi dati vanno messi in relazione con altri che permettono di capire meglio quali siano i sentimenti che prevalgono: oltre la metà dei russi, anche quando sostengono le scelte fatte finora dal regime, vorrebbe che la guerra finisse subito e che si avviassero colloqui di pace.

E quindi quali sono i sentimenti prevalenti nella società?
L’ansia e l’incertezza. La gente è ben cosciente che la guerra lampo sognata da Putin è fallita. Ha paura che il conflitto continui a lungo, si allarghi e raggiunga il territorio russo. Con le conseguenti distruzioni e un sempre maggior numero di vittime. Si teme che alla fine ci sia un intervento diretto della Nato e degli Stati Uniti, con una escalation fino all’utilizzo delle armi nucleari.

E le sanzioni non fanno paura?
Contribuiscono certamente alle paure dei russi: le persone sono preoccupate per il forte calo della qualità della vita, per la fuga delle società straniere dal nostro mercato, per l’aumento della disoccupazione e l’accelerazione dell’inflazione, per la scomparsa di una serie di beni di consumo e di medicinali.

Il presidente russo Vladimir Putin
Il presidente russo Vladimir Putin

Tornando alla percezione della guerra: i russi non si sentono in colpa?
C’è una diffusa sensazione di aver la coscienza sporca, di esser coinvolti in un brutta cosa. Ma c’è anche il rifiuto di sentirsi responsabili delle decisioni prese dalle autorità. Le si approvano solo passivamente. Tutti uniti intorno al regime. Conviene così.

A questo proposito, un sondaggio Levada rileva che il 59% della popolazione non si sente responsabile del conflitto ucraino. Che sentimenti si associano a questo dato?
Non c’è compassione nei confronti degli ucraini. Nemmeno odio, nonostante la propaganda lo fomenti senza sosta. La società russa è diventata amorale. La responsabilità civile è estremamente debole, così come la comprensione dei crimini commessi dal regime. I russi non vogliono questa guerra. Ma obbediscono, dicono che è giusta e vanno a uccidere i loro vicini di casa. Senza provare odio. Senza vera aggressività. Agisce un’identificazione con lo Stato che cancella la responsabilità individuale e anche il libero arbitrio. La gente dichiara la sua approvazione per una guerra che dentro di sé sa di non volere. Non c’è resistenza alle pressioni dello Stato. E di conseguenza si è sempre alla ricerca di argomenti che giustifichino comportamenti altrimenti ingiustificabili. Come la presunta volontà dell’Occidente di distruggere la Russia o l’odio da parte degli ucraini. E la propaganda aiuta a fornirli, questi argomenti.

Si chiama organizzazione del consenso. E ricorda parecchio l’Italia negli anni Trenta del secolo scorso. Riguardo all’Occidente: i russi credono davvero che siamo tutti “satanisti”, come dice la propaganda quando è gentile?
C’è molta diffidenza e paura dell’Occidente. C’è il senso di un reale pericolo che arriva da Ovest. Al di là di ogni eccesso propagandistico.

Diceva dell’adeguamento della popolazione alla deriva totalitaria. Lei, dopo aver studiato per decenni il tipo sociologico dell’”Homo Sovieticus” — così definito dal suo maestro Yuri Levada — ha identificato oggi l’“Homo Putinus”. In cosa differiscono questi due tipi?
Il cittadino tipico dell’era di Putin è simile a quello dei tempi sovietici ma più cinico. Utilizza le stesse capacità di adattamento al totalitarismo usate dal suo predecessore. Ma siccome non ci sono più i defizit (Gudkov usa la parola associata alla cronica mancanza di beni di prima necessità nell’Urss), l’”Homo Putinus”è relativamente soddisfatto del suo tenore di vita e non vuole perdere quel che ha. È cinico, appunto. Ogni visione del futuro è sparita. Quando c’era l’Unione Sovietica, le persone avevano un’esistenza pacifica e potevano immaginare un futuro radioso. Questo, almeno, prometteva lo Stato. Lo Stato di oggi non promette nulla. Certamente non la pace. non c’è alcun futuro pacifico e luminoso, all’orizzonte. La gente che intervistiamo afferma di non sapere cosa sarà di loro il prossimo mese. Vive alla giornata. Si è adattata a un regime pessimista. È distaccata dalla politica. E non vuole assumersi responsabilità. Prevale il cinismo. Queste caratteristiche si sono accentuate nell’ultimo anno. Sono una conseguenza dell’involuzione del regime. Al contempo, ne sono le fondamenta.

Russia, reclutamento per mobilitazione parziale
Russia, reclutamento per mobilitazione parziale

La gente è distaccata dalla politica, diceva. Infatti, se chiedi a un russo cosa pensa della guerra il più delle volte ti risponde che “non si occupa di politica”. Però con la mobilitazione parziale del settembre-ottobre scorso il conflitto ucraino è entrato davvero nelle case. E i vostri sondaggi registrarono allora un forte calo del sostegno al Cremlino. Che succede se viene proclamata una nuova mobilitazione?
È vero che dopo l’annuncio della mobilitazione l’umore della società cambiò radicalmente. Ma anche in questo caso è subentrato l’adattamento. Rapidamente si è ristabilita la calma. E il sostegno alla guerra è tornato a salire. Si è voluto credere che la mobilitazione fosse un evento unico che non si ripeterà. Anche se si capisce bene che invece potrebbe ripetersi eccome. Comunque, la prossima ondata di mobilitazione creerà di nuovo molta paura. Ne conseguirà una ulteriore ondata migratoria: come nell’ottobre scorso, molti russi lasceranno di corsa il Paese.

E ci saranno nuove proteste delle madri e delle mogli dei coscritti, come successe qualche mese fa? Potrebbero allargarsi, proteste del genere?
No. Furono proteste locali. Limitate al fatto che i richiamati alle armi non avevano equipaggiamento e addestramento sufficienti. Nessuna critica alla guerra in sé, né agli obiettivi del Cremlino o al regime di Putin. Si è trattato solo di lamentele per la scarsa organizzazione. Proteste da schiavi che non contestano il padrone ma l’organizzazione del loro lavoro di schiavi. E poi le autorità hanno già tratto le conclusioni e avviato una campagna serrata in tivù e sulla stampa per mostrare che i mobilitati vengono addestrati alla perfezione ed equipaggiati al meglio.

Soldati nel Donbass
Soldati nel Donbass

Cosa deve succedere per incrinare il sostegno dei russi a Putin?
Devono succedere due cose. E potrebbero succedere. La prima, e più importante, è la sconfitta in Ucraina: l’autorità e la legittimazione di Putin sono associate alla capacità militare e al prestigio da nuova Urss che il regime vuole per il Paese. L’altro fattore che cambierebbe l’atteggiamento nei confronti del presidente è una crisi economica acuta e prolungata come effetto della guerra in corso.

Lei critica senza mezzi termini il regime. Perché rimane a Mosca? Non ha paura di essere arrestato?
Non riesco a immaginare diversamente la mia vita. Non voglio andare all’estero. Lavorerò finché mi sarà fisicamente possibile, vista la mia età. Certo che la situazione è parecchio incerta. Il centro Levada è a rischio. Potremmo essere eliminati in ogni momento. Probabilmente lo saremo non appena i nostri sondaggi inizieranno a indicare un calo del sostegno alla guerra. Ma il mio posto è qui.

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