I due presidenti si scambiano convenevoli a distanza, sono pronti a discutere della guerra in Ucraina e il Cremlino addirittura apre alla possibilità di riprendere i negoziati sul disarmo nucleare. L’umore a Mosca sembra cambiato, dopo l’insediamento di Donald Trump. Sperare in una pace credibile, seguita da una distensione internazionale e dalla chiusura della strada per Armageddon, è umano e sempre lecito. Aspettarsela davvero, e alla svelta, sarebbe solo wishful thinking: credere in ciò che ci piacerebbe succedesse, senza considerare la realtà. Il rischio è di sbagliarsi di grosso.
Lusinghe gratuite
“La leadership russa, come tutti nel mondo, sta ricevendo messaggi confusi da quel che succede oggi alla Casa Bianca”, dice a Fanpage.it William Alberque, trent’anni di esperienza nelle trattative tra Washington e Mosca sul controllo degli armamenti. “Il Cremlino non vuole mettersi nella posizione di dire semplicemente di no a dichiarazioni di Trump e della sua amministrazione che — anche quando sono dure — blandiscono la persona di Putin e il ruolo di grande potenza della Russia”.
L’atteggiamento è subito evidente nei rapporti a distanza tra i comandanti in capo. Il presidente russo ha risposto alla minaccia di sanzioni se non ci saranno colloqui sull’Ucraina, ribadendo di essere “pronto a incontrare Trump”. Poi ha restituito con gli interessi le parole gentili spese più volte da The Donald su di lui: “La guerra in Ucraina probabilmente non sarebbe iniziata se a Trump non avessero rubato le elezioni del 2020”, ha detto durante una delle solite “interviste” — non sono altro che dichiarazioni del capo — con l’ineffabile “giornalista” della TV di stato Pavel Zarubin.
Lusinga del tutto gratuita. Alla fine del 2021 Putin aveva già deciso di invadere l’Ucraina e, dopo aver lanciato il suo ultimatum, non volle nemmeno prendere in considerazione la bozza di negoziato preparata da suoi consiglieri diplomatici sulla base delle controproposte Usa e Nato, disse allora a Fanpage.it uno di quei consiglieri. Lusinga per certo molto gradita: sulle presidenziali “rubate” e sulle origini della guerra il leader del Cremlino ha ripetuto quanto sempre sostenuto da Trump.
Il leader russo ha elogiato Trump definendolo “pragmatico” e “intelligente”. “Ho sempre avuto un rapporto professionale e persino di fiducia con lui”, ha aggiunto. Facendo capire che anche sui prezzi petroliferi — che Trump ha citato come “arma” economica contro la Russia — si può trattare. Ed escludendo che la Mosca prenderà mai decisioni che possano danneggiare l’economia Usa.
Rigidità contro realismo
Poche ore dopo, il neo-Segretario di Stato Marco Rubio ha sospeso ogni aiuto americano a Paesi stranieri. Ucraina compresa. Per almeno 90 giorni. Anche su questo punto, dichiarazioni e decisioni della nuova amministrazione statunitense sono state contraddittorie. Per capire quale sarà la rotta, c’è da aspettare. Ma è evidente che un provvedimento del genere indebolisce Kyiv e va nella direzione opposta rispetto alle decisioni Ue e Nato. Il ruolo di Volodymyr Zelensky e di Bruxelles ne esce compromesso. Putin nei giorni scorsi ha confermato quanto anticipato a Fanpage.it da un suo consigliere: la Russia non si siederà a un tavolo negoziale con Zelensky e con l’Unione Europea. Vuole trattare solo con gli Usa. Prospettiva che molti osservatori considerano poco realistica.
L’amministrazione Trump potrebbe venire incontro anche a un bando permanente della Nato per l’adesione dell’Ucraina. “È una condizione chiave”, ha dichiarato il vice ministro degli Esteri Alexander Grushko all’agenzia di stampa Interfax. “Non si tratta solo di prevenire che l’Ucraina entri a far parte dell’Alleanza: vogliamo che la sua esclusione faccia parte della politica stessa della Nato”.
Secondo Grushko, ciò “rimuoverebbe alla radice le cause del conflitto”. È chiaro che Mosca sta rispondendo a Trump, oltre che con qualche moina, con quelli che i diplomatici chiamano “ballon d’essai” e permettono di capire da che parte tira il vento. Sulle origini della guerra, a quanto pare, c’è una posizione comune. Se poi Trump sarà ancor più disponibile del pur disponibile Joe Biden riguardo a frenare di Kyiv sulla Nato, lo vedremo presto.
“Bentornati al periodo dicembre 2021-gennaio 2022”, nota l’analista di R.Politik Tatiana Stanovaya, che considera quella di Grushko tra le più importanti dichiarazioni recenti della leadership russa. L’ultimatum lanciato alla fine del ‘21 da Putin prevedeva un’architettura della sicurezza basata su due principi fondamentali: niente Ucraina nella Nato e niente Nato in Ucraina. “Solo le tattiche sono cambiate”, spiega Stanovaya su X: “Ora si punta a compiacere Trump e sfruttare le sue ambizioni. L’obiettivo resta immutato: non bastano semplici garanzie, si vogliono impegni giuridicamente vincolanti per l’Alleanza”. Oggi, la posta in gioco è ancora più alta: Putin ha detto al suo Consiglio di sicurezza che il mancato raggiungimento di un accordo significherebbe la Terza guerra mondiale. Secondo Stanovaya, “non si tratta di semplice retorica, ma di un’indicazione della gravità della situazione”.
“Denuclearizziamo il mondo”
A proposito di guerra totale, Trump nel suo intervento online al World Economic Forum di Davos ha dichiarato che vorrebbe denuclearizzare il mondo. E che ne stava parlando con Putin prima delle elezioni del 2020. Anche la Cina avrebbe partecipato. “Putin voleva farlo. Lui ed io volevamo farlo, e avevamo instaurato un buon dialogo con la Cina. Sarebbe straordinario per il pianeta”. Puntuale la risposta di Mosca: “La Russia è pronta a riprendere i colloqui sul controllo degli armamenti con gli Stati Uniti il prima possibile”, ha riferito il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.
Solo una settimana prima, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov aveva invece escluso trattative sul disarmo, a causa del sostegno americano all’Ucraina. “A Mosca stanno reagendo di giorno in giorno a quel che dice Trump, cercando di non restare indietro”, sostiene William Alberque. “Non vogliono trovarsi nella situazione in cui non sembrino interessati a iniziative di Trump così ovviamente popolari a livello globale”.
Le tensioni sui trattati per il controllo degli armamenti sono aumentate dopo l’invasione dell’Ucraina. Putin ha sospeso la partecipazione della Russia al New Start, l’ultimo accordo rimasto sul controllo delle armi nucleari. Come contromisura, gli Stati Uniti hanno sospeso a giugno alcune disposizioni del trattato, inclusa la condivisione di dati e le ispezioni. “Non credo che ci sia nulla di concreto, dietro le dichiarazioni di Peskov”, afferma Alberque. Il trattato New Start sembra proprio morto e sepolto: “Nel rapporto di conformità pubblicato dal Dipartimento di Stato Usa in questo mese, si ritiene che la Russia lo stia violandolo ampiamente. È improbabile che si torni a negoziare qualcosa di simile”.
The Donald non è Reagan
Alberque è stato a lungo direttore dell'Arms Control and Disarmament Centre della Nato. Le minacce atomiche del Cremlino sono diminuite, negli ultimi tempi, gli facciamo presente. Non è che per ridurre Putin a più miti consigli servisse proprio un conservatore di estrema destra alla Casa Bianca, un “falco” che se ne frega dell’Europa e — proprio come Putin — privilegia rapporti unilaterali utilizzando una politica di potenza? “Putin usa la minaccia nucleare per influenzare gli avversari, ma sa che con Trump questa strategia funziona poco, poiché tende a reagire impulsivamente. Perciò, adatta le sue tattiche. Sa che minacciarlo non sortirebbe il risultato desiderato”.
Trump come Reagan? Un “falco” di destra che può far finire guerre calde e fredde proprio perché non ha paura del confronto più duro e riesce così a convincere gli avversari? “Non vedo nulla di "reaganiano" nell'approccio di Trump”, risponde ancora William Alberque. “È forse ciò che i suoi sostenitori si raccontano nei momenti di dubbio, ma il paragone non ha senso”. Tanto per cominciare non c’è alcuna evidenza che Trump voglia usare un aumento degli armamenti — come fece Reagan — per costringere la Russia a negoziare. “Al contrario, Trump veda nella lusinga il modo per portare la Russia al tavolo delle trattative. E sembra voler risolvere tutto tramite i rapporti personali, mentre Reagan usò inizialmente una strategia di brinkmanship: fu disposto a rischiare il tutto per tutto per spingere la Russia a negoziare”. Cosa che tra l’altro non funzionò. Solo dopo l’ascesa di Gorbachev nel gennaio 1985 le cose cambiarono, ricorda Alberque.
Sul Paese invaso continuano a piovere i droni Shaed e a morire civili. Almeno tre a Kherson nelle ultime ore. Secondo Kyiv, nell’ultimo giorno di combattimenti sono stati uccisi 1.650 soldati di Putin. La tattica russa del tritacarne funziona, lenta e orribile. Mosca avanza nel Donbass. Mentre la carneficina continua, quanto mai reale, le interpretazioni su quando e come ci saranno negoziati per fermarla variano e restano ipotesi. Che si fondano soprattutto su proiezioni, speranze e paure riguardo alle intenzioni di Trump. Che non è Reagan. E dall’altra parte non c’è un Gorbachev.
Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.