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Proteste, violenze e arresti in Georgia: cosa succede e perché sono in gioco gli interessi della Russia

“Si rischia uno scenario bielorusso”, dicono a Fanpage.it due ex diplomatici di Tbilisi. Dimissioni e proteste anche nei ministeri. Il “no” all’Ue fa comodo al Cremlino e forse a Trump. A Mosca si brinda, però la protesta si allarga.
A cura di Riccardo Amati
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Quelli che picchiano più duro non hanno l’uniforme della polizia e sono mascherati. All’inizio hanno preso di mira soprattutto i giornalisti. Un cronista televisivo è stato messo k.o. mentre raccontava in diretta gli scontri. Colpiscono soprattutto al volto, in modo che ti restino i segni. Le vittime arrivano al pronto soccorso con mascelle rotte e fratture al cranio. Un giovane di 21 anni è in coma. Le immagini riprese da telefonini e telecamere, i racconti di chi partecipa alle dimostrazioni e le testimonianze di medici e infermieri sono concordanti: il governo usa la mano pesante, contro la pacifica rivolta popolare in atto da una settimana in Georgia.

Il primo ministro Irakli Kobakhidze è stato chiaro: “Nessun negoziato”. È determinato a stroncare la protesta. Con ogni mezzo. Il Difensore civico dello Stato, Levan Ioseliani, ha accusato la polizia di tortura.

Picchiato e arrestato nelle ultime ore anche il leader dell’opposizione Nika Gvaramia, dopo un blitz nella sede del suo partito. Circolano in rete i video di arresti di altri politici e di nuove perquisizioni.

Le persone detenute sono, mentre scriviamo, oltre 300. Dati del ministero dell’interno. Che parla anche di circa 150 feriti tra i poliziotti. Nessun cenno ai picchiatori mascherati che alzano il livello della violenza pestando i dimostranti.

La tattica è nota. Gli energumeni che indossano caschi e indumenti “tecnici”, rigorosamente neri, somigliano parecchio — almeno nei modi — ai "titushky", i mercenari al servizio del presidente filo-russo Viktor Yanukovych durante Euromaidan. Dieci anni fa. A Kyiv, Ucraina.

“Utilizzano gli stessi metodi, vogliono intimidire la gente. Ma generano solo rabbia, e sempre più persone scendono in strada”, racconta a Fanpage.it Natalie Sabanadze, analista del think tank Chatam House con un passato da ambasciatore della Georgia a Bruxelles e presso l’Unione Europea. “È una situazione molto pericolosa: ho paura che il governo possa arrivare alla repressione più brutale”.

Il primo ministro Kobakhidze ha dichiarato che i manifestanti in Georgia sono probabilmente "addestrati da stranieri”, presenti anche nelle file dei dimostranti. Ha anche detto che vuole aderire all’Ue. Peccato che il 28 novembre ha annunciato la sospensione delle trattative per quattro anni. È stata la reazione alla risoluzione del Parlamento europeo che ha dichiarato "illegali" le elezioni politiche di ottobre. Gli stessi inquirenti georgiani evidenziarono irregolarità. Media indipendenti scoprirono uno schema con una banca statale russa a finanziare propaganda pro-governativa ed elettori corrotti.

All’indomani delle elezioni ci furono dimostrazioni di massa. “Questo volta però sono diverse”, sostiene Sabanadze. “Sono del tutto spontanee e non avvengono solo nella capitale”. Secondo un altro ex ambasciatore georgiano, Gigi Gigiadze, “gli stessi partiti dell’opposizione sono rimasti spiazzati: gli eventi li hanno superati, non sanno bene che fare”.

“È la protesta della società, in tutte le sue componenti, contro il tentativo di deviare il percorso del Paese verso il Nord, verso Mosca. ‘Sogno georgiano’ ormai è un incubo russo”, spiega a Fanpage.it il diplomatico, oggi in forza al Centro di ricerca sulla politica economica, a Tbilisi.

La rivolta si estende anche all’interno delle istituzioni. Cinque ambasciatori hanno rassegnato le dimissioni e 250 funzionari su 650 del ministero degli Esteri hanno firmato una dura critica al governo, riferisce Gigiadze. "Lo stesso accade al ministero dell’Interno e in altre amministrazioni”. Riguardo alle allusioni sulla presenza di stranieri nei cortei “sono del tutto senza senso, al di fuori della realtà”.

È significativo che l'idea di agenti occidentali dietro le proteste venga ripresa pari pari dalla propaganda di Mosca. Nei talk show della tivù di Stato russa, l'entusiasmo è evidente. Il mantra, “picchiateli più forte”.

Gli eventi di Tbilisi vengono paragonati a Euromaidan, che nella narrativa del regime passa per un golpe orchestrato dalla Cia. “Ma stavolta vinciamo noi”, dicono i pundit del Cremlino. Infatti il capo del governo georgiano ha parlato di “una Maidan fallita”. Definizione forse frettolosa. Perché per ora i dimostranti non mollano di un centimetro.

Gigi Gigiadze si dice colpito dal tempismo con cui Putin in persona ha elogiato in pubblico il primo ministro Khobakidze: mezz’ora dopo l’annuncio della sospensione del negoziato Georgia-Ue. Qualche minuto e si sono aggiunti, su Telegram, i complimenti del filosofo suprematista e iper-putinista russo Alexander Dugin.

"Si tratta di un'azione organizzata e coordinata che la Russia sta attuando in Georgia, tramite Ivanishvili e il suo clan", sostiene Gigiadze. Boris Ivanishvili, noto come Bidzina, è il miliardario che, dopo aver fatto fortuna nel "Far West" della Russia anni ‘90, ha fondato il partito Sogno georgiano. È considerato l'eminenza grigia della politica nel Paese caucasico.

“Il fattore russo è un argomento complicato”, commenta Natalie Sabanadze. “Non ho prove di interventi diretti, non credo che dal Cremlino telefonino ogni giorno le istruzioni”. Le azioni di Sogno georgiano “sono pro-russe forse non per intenzione, ma sicuramente per effetto: il sostegno di Mosca è chiaro”.

Fatto sta che il “fattore russo” divide la società. Anche ammettendo che brogli e interferenze abbiano ribaltato il risultato elettorale, la spaccatura tra chi vuole l’Occidente e chi no è reale.

Fin dall’indipendenza, dopo il collasso dell’Urss, la Georgia ha oscillato tra il desiderio di avvicinarsi all'Europa e la gestione delle complesse relazioni con la Russia.

Dopo la Rivoluzione delle Rose del 2003, il premier filo-occidentale Saakashvili avviò riforme importanti, ma con crescente autoritarismo. L’invasione russa del 2008 ha confermato la secessione dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Dove Mosca ha una forte presenza militare. Che equilibra la perdita di influenza nel Caucaso dopo la rottura di fatto con l’Armenia.

La narrativa di Sogno georgiano, secondo cui un avvicinamento a Ue e Usa potrebbe provocare il ritorno dei carri armati russi, stile Ucraina, trova seguito. Soprattutto nelle aree rurali. Ma ogni paragone tra Georgia e Ucraina è forzato. Se non altro perché la prima ha tanta storia alle spalle ma solo 3,7 milioni di abitanti. E  non si trova nel cuore dell’Europa.

Quel che hanno in comune i due Paesi ex sovietici è che attraggono gli interessi revisionistici di Putin. E che la declinazione degli eventi è simile: il “no”, più o meno definitivo, all’Europa da parte di un governo amico; leggi repressive “made in Moscow”; una rivolta popolare bollata come “opera dei servizi segreti occidentali”. Resta da vedere il finale.

È la rivolta, quel che il Cremlino teme di più. Le “rivoluzioni colorate” sono la paranoia di Vladimir Putin. Almeno dai tempi delle grandi manifestazioni a Mosca, nel 2012. Evitare “rivoluzioni colorate” nei Paesi ex sovietici è una priorità della sua politica. Ed è il suo principale interesse in Georgia.

La Georgia, dal canto suo, dai rapporti con la Russia qualcosa guadagna. Ma l’interdipendenza aumenta la sua vulnerabilità all’influenza del vecchio padrone.

Nel 2023, le relazioni economiche tra Tbilisi e Mosca hanno generato entrate per 3,1 miliardi di dollari, pari al 10,3% del Più georgiano, secondo Transparency International. Il turismo russo è cresciuto del 30%, mentre le rimesse dalla Russia hanno raggiunto 1,5 miliardi di dollari.

Spettacolare l’aumento delle attività commerciali russe in Georgia, con quasi 26.000 aziende registrate dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Anche gli investimenti diretti sono aumentati, così come la dipendenza energetica: più 15% per le importazioni di gas naturale.

Secondo i sondaggi, oltre il 70 per cento della popolazione è per l’Occidente. Il voto ha però detto altro. Il partito di governo a parole resta pro-Ue ma agisce in modo incompatibile all’ammissione.

A meno di sviluppi rivoluzionari, l’unica persona che può tentare di frenare l’involuzione Illiberale e anti-Bruxelles è la presidente della Repubblica.

La 72enne Salome Zurabishvili rappresenta “l’ultimo potere statale indipendente”, nota Sabanadze. Ha un ruolo poco più che simbolico. Ma è rispettata dalla maggior parte della popolazione. Potrebbe diventare il perno dell’opposizione. Non ha riconosciuto il governo. Ha fatto un ricorso alla Corte costituzionale contro il risultato elettorale. È stato respinto. Ha un problema: il suo mandato è scaduto.

A fine mese verrà sostituita dal presidente nominato da Ivanishvili: l'ex calciatore del Manchester City Mikheil Kavelashvili, famoso più per le sparate contro l’Occidente che per i goal. “È una persona senza istruzione, inadatta all’incarico”, sbotta l’ex ambasciatore Gigiadze: “Un consapevole affronto alla società civile, per umiliarla”.

Ma perché la nuova offensiva autoritaria e anti-europeista è stata sferrata adesso? Natalie Sabanadze ha una teoria: “Il governo ha deciso di agire per liberarsi della pressione dell'Ue legata al processo di adesione”, spiega. ‘Non vogliono dover giustificare ogni decisione non allineata agli standard europei, né vincoli esterni”. Via gli intralci sulla strada dell’autoritarismo, insomma.

Il tempismo è significativo: ‘Hanno scelto di procedere ora per sfruttare la transizione negli Stati Uniti, dove vedono in Trump un potenziale alleato con valori tradizionalisti simili ai loro. Il comune amico ungherese Orban potrebbe far da tramite”.

Un’alleanza tra la Georgia di Ivanishvili e un’America a deriva autoritaria farebbe anche il gioco di Putin.

“La strategia è avventata, probabilmente sbagliata”, avverte Sabanadze. “Ma intanto il mio Paese si sarà trasformato in un vero autoritarismo. Il governo non farà sconti, nella repressione. Potrebbe finire come per le proteste in Bielorussia nel 2020-2021”.

Potrebbe finire con tanti prigionieri politici, un governo autocratico e un vassallaggio di fatto nei confronti di Mosca. A meno che non vinca la rivolta.

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Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.
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