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Proteste in Francia, Giovanna Botteri a Fanpage: “La gente è stanca, rivendica il diritto di vivere”

Da giorni i cittadini francesi sono in piazza per protestare contro la riforma del sistema pensionistico voluta da Emmanuel Macron. La giornalista Giovanna Botteri a Fanpage.it: “Rabbia sociale causata dalla retorica della vita per il lavoro”.
Intervista a Giovanna Botteri
Giornalista e storica inviata Rai, dal 2021 corrispondente da Parigi
A cura di Gabriella Mazzeo
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Scontri con la polizia, disordini, blocchi stradali e incendi in pieno centro. A Parigi, così come in quasi tutte le città francesi, i cittadini sono scesi in piazza per protestare contro la riforma del sistema pensionistico che prevede il passaggio dell'età pensionabile dai 62 anni ai 64. Una riforma, diventata legge senza passare dal voto del Parlamento, che Emmanuel Macron ha definito "una necessità", ma che per i cittadini francesi è una condanna a trascorrere tutta la vita al lavoro.

"È  molto importante capire quali sono le differenze con il nostro sistema pensionistico e il perché di proteste così violente in tutto il Paese. Ai francesi, che prima avevano la possibilità di andare in pensione a 62 anni con 42 anni di contributi, viene chiesto di dare allo Stato altri due anni delle loro vite" ha spiegato a Fanpage.it Giovanna Botteri, giornalista e storica inviata della Rai che dal dicembre 2021 è corrispondente da Parigi.

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Questa riforma è davvero una necessità come ha affermato il presidente francese Emmanuel Macron?

Per rispondere a questa domanda bisogna capire bene la rabbia dei francesi in questo momento. Gli italiani che ogni giorno seguono quanto sta accadendo a Parigi tendono a paragonare la realtà del nostro Paese, dove si va in pensione a 67 anni, a quella francese e non capiscono forse da dove arrivi tanta rabbia sociale. Prima di questa riforma, i lavoratori potevano andare in pensione a 62 anni con 42 anni di contributi.

Per arrivare a quell'età con i contributi in regola, bisogna iniziare a lavorare a 19, massimo 20 anni e chi riusciva ad andare in pensione a 62 anni svolgeva in genere mestieri particolarmente usuranti. Adesso lo Stato francese chiede a questi lavoratori, la cui aspettativa di vita si ferma ai 67 anni, di sacrificare altri due anni.

Un altro problema riguarda i giovani che spesso sono precari per anni o che perdono il lavoro: per loro arrivare a 43 anni di contributi è praticamente impossibile.

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I cittadini sono scesi in piazza per protestare e molti lavoratori hanno interrotto i servizi essenziali come la raccolta della spazzatura. Questa forte presa di posizione e le violenze alle quali stiamo assistendo possono davvero imporre una marcia indietro all'Eliseo?

Macron è deciso ad andare avanti perché non ha niente da perdere: ha un quinquennato, non deve ripresentarsi e non rischia di perdere le elezioni. Tutta questa violenza potrebbe certamente imporre una marcia indietro sulla legge, ma vediamo anche che il presidente francese non è disposto a cedere.

Questo è un momento molto difficile per la Francia: da una parte assistiamo alla rabbia dei lavoratori per quanto sta accadendo e dall'altra all'esasperazione di un'altra fetta di popolazione per le violenze e per l'interruzione di molti servizi essenziali.

A Parigi, per esempio, da giorni ci sono cumuli di immondizia per le strade e ovviamente i francesi non sono contenti, si lamentano anche dei rischi sanitari. Questo però deve portarci a riflettere per esempio sulla posizione dei netturbini che per anni smaltiscono l'immondizia per 8 ore al giorno con turni massacranti: proprio a causa di questa riforma, non sono più inclusi nella categoria dei lavori usuranti.

La rabbia e le proteste plateali nascono sicuramente dal grande malcontento dei francesi, ma è anche vero che la violenza nelle strade sta in qualche modo danneggiando il movimento contro la riforma del sistema pensionistico che rischia di perdere il grande appoggio popolare avuto finora.

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Nelle piazze i francesi stanno anche cercando di rivendicare il loro diritto ad avere una vita oltre il lavoro, lo fanno spesso con slogan e striscioni. Secondo lei è giusto definire quanto sta succedendo una forma di ribellione a un sistema nazionale, per non dire globale?

Io credo che in queste proteste vi sia un insieme di cose. Negli ultimi 50 anni ci hanno raccontato che il lavoro ci definisce come persone, che dobbiamo fare carriera ed essere spietati sul lavoro. Io penso che adesso ci sia un'inversione di marcia che è data un po' dalla disillusione di tanti giovani e anche dei più anziani che continuano a lavorare, un po' dalle nuove consapevolezze lasciate dalla pandemia.

Un muratore francese mi ha raccontato che suo padre, immigrato di origini italiane, ha iniziato a lavorare a 15 anni. Dopo una vita di sacrifici, è riuscito ad andare in pensione a 62 anni anche grazie alle lotte sindacali di suo figlio. A distanza di anni, il nipote di quest'uomo si ritrova con un lavoro precario nonostante gli studi da ingegnere e uno stipendio molto più basso del suo.

In questo racconto penso ci sia un riassunto degli ultimi 50 anni. Le persone sono stanche, rivendicano il diritto di vivere fuori dai loro lavori, dove i giovani fanno fatica ad affermarsi nonostante le lotte sindacali condotte dai loro genitori e gli anziani vedono avvicinarsi il cimitero invece della casetta in campagna nella quale trascorrere serenamente gli ultimi anni.

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