"Non nego che avremmo potuto fare di più e meglio ma molte riforme sono state realizzate con grande rapidità e sull'onda della necessità". Pensieri e parole di Mario Monti, al quale certamente non manca una sorta di onestà intellettuale dei "tempi grami". Eppure, la sensazione complessiva è quella di un uomo in difficoltà, stretto fra l'onere della missione e l'impossibilità – incapacità di seguire un percorso lineare e sensato. A conferma di questa ipotesi, le parole dello stesso Monti che, sempre durante il collegamento in videoconferenza con il congresso nazionale delle fondazioni di origine bancaria, si lascia andare ad una paradossale constatazione: "Non incontriamo favore in un importante quotidiano considerato voce autorevole dei poteri forti e non incontriamo favore presso Confindustria". Ecco, tutto ma non questo. Che adesso siano i "poteri forti", o meglio, Confindustria ed un quotidiano vicino ai poteri forti (nell'allusione del professore con ogni probabilità il Corriere della Sera, poco tenero ultimamente su riforma del lavoro e liberalizzazioni), a frenare l'impeto riformatore dell'esecutivo tecnico, ci sembra francamente eccessivo. E forse, volendo cavalcare la metafora, ingeneroso nei confronti di quegli stessi "poteri forti" che hanno sponsorizzato la sua ascesa a Palazzo Chigi.
Certo, probabilmente potremmo andare avanti ore a parlare di quanto e come la Commissione Europea, la Bce, i "mercati", le zone grigie delle istituzioni e via discorrendo, abbiano contribuito alla "scelta" del professore alla successione di Berlusconi, ma sinceramente non crediamo sia neppure questo il punto cruciale. Non del tutto, almeno. Perché se questo Governo stenta è per le contraddizioni intrinseche alla sua "nomina, composizione, svilippo". Un Governo nato (per forza di cose) senza legittimazione elettorale, costretto a reggersi su un equilibrio precario fatto di intese, inciuci, accordi, compromessi e responsabilità incrociate. Un Governo mai realmente appoggiato dalle stesse forze che lo sostengono in Parlamento e costretto a prendere decisioni rapide e tendenzialmente impopolari. Un Governo a tempo, che deve confrontarsi con ciò che resta della classe politica di un ventennio non certo esaltante. Dati di fatto praticamente, manifestatisi con lampante evidenza nel crollo del consenso popolare dello stesso Monti. Elementi cui vanno ad aggiungersi errori, ritardi, contraddizioni e "visioni distanti" da parte degli stessi membri dell'Esecutivo, con approcci "arroganti ed inconcludenti al tempo stesso" nel merito di questioni di cruciale importanza. Insomma, più che i poteri forti sono i "nostri" stessi limiti a contare, almeno finora.