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Guerra in Ucraina

Polonia, braccia spalancate ai profughi ucraini; taser, violenze e respingimenti a tutti gli altri

La denuncia di Amnesty: “Il comportamento delle autorità polacche sa di razzismo e di ipocrisia. La Polonia deve estendere la sua ammirevole compassione a tutte le persone che varcano i suoi confini in cerca di salvezza”.
A cura di Davide Falcioni
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La Polonia ha spalancato le braccia ai profughi provenienti dall'Ucraina, ma ha riservato nel frattempo abusi e violenze a tutti gli altri: afghani, siriani, subsahariani fuggiti da altri conflitti e persecuzioni "invisibili" sui media. La denuncia arriva da Amnesty International, secondo cui le autorità polacche nel corso del 2021 hanno arbitrariamente posto in detenzione circa duemila migranti che erano entrati nel Paese dalla Bielorussia sottoponendo molti di loro a violenze, tra le quali perquisizioni corporali in strutture sovraffollate e insalubri e in alcuni casi persino a scariche con le pistole elettriche e a sedazione forzata. Le cose non vanno meglio nelle ultime settimane: "I richiedenti asilo che attraversano il confine dalla Bielorussia alla Polonia, compresi molti che sono stati costretti a farlo dalla Guardia di frontiera bielorussa, sono detenuti in strutture malsane e sovraffollate, sottoposti a trattamenti violenti e isolati dal mondo esterno", ha dichiarato Jelena Sesar, ricercatrice di Amnesty International sull’Europa, che ha sottolineato come "tale trattamento violento e degradante stride profondamente con l’ospitale accoglienza che la Polonia sta mostrando nei confronti delle persone sfollate dall’Ucraina. Il comportamento delle autorità polacche sa di razzismo e di ipocrisia. La Polonia deve estendere la sua ammirevole compassione a tutte le persone che varcano i suoi confini in cerca di salvezza".

Le indagini condotte dall'ONG  hanno accertato che le guardie di frontiera polacche rastrellano e respingono violentemente persone arrivate dalla Bielorussia, a volte minacciandole con armi da fuoco. Una piccola parte riesce comunque a oltrepassare la frontiera e per loro il trattamento è ugualmente degradante: esse infatti vengono poste automaticamente in detenzione, senza valutare individualmente le loro posizioni e senza considerare l’impatto che la detenzione avrebbe avuto sulla loro salute fisica e mentale, per lunghi periodi di tempo in strutture sovraffollate che offrono scarsa privacy e accesso limitato a servizi igienico-sanitari, di medicina, di psicologia e di assistenza legale. Non a caso sovente sono sopravvenuti problemi psicologici come ansia, insonnia, depressione e frequenti pensieri suicidi.

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In 24 in una stanza si 8 metri quadrati

Tra i casi più eclatanti segnalati da Amnesty International ci sono quelli riguardanti i migranti condotti nel centro di detenzione di Wędrzyn, che può contenere fino a 600 persone, sovraffollato al punto che ci sono fino a 24 persone in una stanza di soli otto metri quadrati. "Nel 2021 – fa sapere l'ONG – le autorità polacche hanno ridotto lo spazio minimo previsto per i detenuti stranieri da tre metri quadrati a due, in violazione degli standard del Consiglio d’Europa, che dispongono uno spazio minimo di quattro metri quadrati a persona. Il personale di Wędrzyn accoglieva i nuovi arrivati con le parole ‘Benvenuto a Guantánamo'". Racconta Khafiz, profugo siriano: "La maggior parte dei giorni venivamo svegliati dai rumori dei veicoli blindati e degli elicotteri, poi c’erano spari ed esplosioni. A volte andava avanti così tutto il giorno. Quando non hai dove andare e niente cui pensare, tutto questo diventa intollerabile. Dopo che in Siria avevo subito torture, la mia famiglia era stata minacciata e avevamo camminato per dieci mesi, a Wędrzyn ho ceduto". Tutti gli uomini intervistati da Amnesty hanno riferito delle perquisizioni corporali, eseguite regolarmente nel trasferimento da un centro di detenzione a un altro pur rimanendo sempre in custodia dello Stato.

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Respingimenti, taser e sedazione

Amnesty International ha raccolto le testimonianze di molti profughi costretti con la forza a tornare in Bielorussia e altri che sono riusciti a evitarlo ma sono stati posti in detenzione in Polonia; in alcune circostanze le guardie di frontiera hanno usato le pistole taser e le manette e sono ricorse persino alla sedazione. Racconta Yezda, una curda di 30 anni, arrivata in Polonia col marito e i loro tre figli e minacciata di essere rinviata in Iraq: "Non potevo tornare in Iraq, ero pronta a morire in Polonia. Quando sono scoppiata a piangere, le guardie hanno ammanettato me e mio marito e un medico ci ha fatto un’iniezione che ci ha reso deboli e sonnolenti. Potevo a malapena sentire i pianti dei nostri figli nella nostra stessa stanza. Ci hanno portato in aeroporto, abbiamo superato i controlli di sicurezza e ci hanno detto di salire sull’aereo. Io mi sono opposta. Avevo la testa ancora confusa e mi sono resa conto solo allora che non avevo le scarpe. Piangevo e supplicavo di non farci salire sull’aereo".

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