“Più respingimenti dopo gli accordi Italia-Libia”: la denuncia dell’Ong MOAS sui migranti a Malta
Dall'inizio dell'anno oltre 21 mila migranti sono arrivati in Italia attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, una delle più pericolose al mondo. Nello stesso periodo, a Malta sono sbarcate 32 persone. Secondo il Consiglio europeo per i rifugiati e le persone migranti le autorità maltesi negli ultimi anni hanno effettuato sempre meno soccorsi in mare, ignorando sempre più spesso le richieste di aiuto che arrivano dalle barche in difficoltà e alla deriva in mare. Per farci un'idea di come funziona l'accoglienza nell'isola abbiamo intervistato Regina Catrambone, co-fondatrice e direttrice di MOAS (Migrant Offshore Aid Station), una Ong messa in piedi proprio dalla sua famiglia dopo il naufragio a largo di Lampedusa nell'ottobre 2013 in cui persero la vita 368 persone. Oggi sono impegnati nell'affrontare crisi umanitarie in tutto il mondo, non solo nel Mediterraneo. A Malta lavorano per facilitare l'integrazione e l'inclusione dei rifugiati, visitano in ospedale i migranti che hanno bisogno di ricovero dopo lo sbarco, portando beni di prima necessità e fornendo supporto emotivo, e avviano progetti educativi e di apprendimento per i minori.
Come è cambiata l'accoglienza dei migranti a Malta dalla crisi del 2011-12 ad oggi? Si è risentito del cambio di politiche in Italia del 2018?
Dal 2014 al 2017, MOAS ha salvato la vita di oltre 40.000 persone migranti tra il Mediterraneo e l’Egeo con l’uso di due navi, droni ed aerei. Attraverso le nostre attività, abbiamo seguito l’evolversi del fenomeno migratorio e delle politiche europee. Dal 2017 la situazione nel Mediterraneo centrale è peggiorata e l’accordo politico tra Italia e Libia ha modificato gli assetti nell’area. MOAS non intendeva entrare a far parte di un sistema indiretto di respingimenti, un meccanismo che non garantisce un porto sicuro a coloro che vengono assistiti e soccorsi in mare. In quanto organizzazione umanitaria, non potevamo prendere parte a un processo che rimette in pericolo le persone vulnerabili, rimandandole in Libia – che, come è stato più volte ricordato dalle agenzie delle Nazioni Unite, non è un porto sicuro ma un luogo dove i diritti umani vengono violati. Per questo motivo, nell’agosto 2017, abbiamo sospeso le operazioni nel Mediterraneo centrale, pur continuando a monitorare il fenomeno migratorio a livello globale. Malta, come Lampedusa, per la sua posizione geografica, rappresenta una delle porte di accesso all’Europa, il suo ruolo e la sua responsabilità nella gestione del flusso di persone migranti nel Mediterraneo sono di grande importanza. Anche a Malta stiamo assistendo ad una tendenza che mira al contrasto di rifugiati e richiedenti asilo, piuttosto che al loro sostegno. La pandemia di coronavirus ha, inoltre, esacerbato le politiche volte al controllo delle frontiere ed amplificato sentimenti di sospetto e pregiudizio nei confronti delle persone migranti.
Ci sono arrivi al momento? Principalmente da che Paesi? La Marina maltese è attiva nelle operazioni di search and rescue?
Quest’anno solo una persona è sbarcata a Malta, secondo i dati di UNHCR (dopo questa intervista, sono sbarcate 31 persone, ndr). Il numero più alto di arrivi si è avuto nel 2019, quando a Malta sbarcarono 3.406 persone, mentre nel 2020, si sono registrati 2281 sbarchi. Malta non ha la Marina, ma un unico corpo militare che svolge le diverse funzioni, le Forze Armate Maltesi, che si occupano di fare salvataggio in mare in coordinamento con le navi commerciali o con la guardia costiera libica. La maggior parte degli arrivi proviene da Sudan, Eritrea, Nigeria e Bangladesh.
Secondo l'ultimo report AIDA l'anno scorso centinaia di migranti sono stati di fatto detenuti. Ci sono ancora molte persone nei centri di detenzione?
MOAS non ha accesso ai campi di detenzione, ma opera esclusivamente negli Open Center / Campi Aperti. Cooperiamo con le istituzioni maltesi in modo proattivo, per offrire il nostro sostegno ed expertise nell’implementazione di progetti volti a migliorare le condizioni delle persone migranti e delle comunità più vulnerabili sull’isola. Non possiamo quindi fornire informazioni aggiornate su questo tema, ma sappiamo che nei centri di detenzione le condizioni sono molto difficili e che quasi tutte le organizzazioni umanitarie non hanno accesso.
Cosa servirebbe per evitare politiche di questo tipo?
Servirebbe usare gli strumenti che già esistono, a livello europeo. Come sappiamo, e come abbiamo visto di recente con i profughi provenienti dall’Ucraina, l’Europa possiede già normative e provvedimenti speciali per aiutare ed accogliere le persone che provengono da contesti di guerra. Esiste un insieme di strumenti che garantiscono l’ingresso in modo sicuro e legale nel continente europeo. Tuttavia, manca la buona volontà degli stati di metterli in pratica. Riguardo al fenomeno migratorio bisogna essere proattivi, non reattivi. Occorre creare un sistema fluido ed efficiente per cui le persone che sono costrette o vogliono emigrare siano assistite in tutte le fasi, dalla presentazione delle domande di visto, al percorso da intraprendere per raggiungere la loro destinazione. Bisogna adottare strumenti di ingresso legali come i corridoi umanitari, le riunificazioni familiari, i diversi tipi di visto (studio, lavoro, medico) e le sponsorship private affinché le persone non siano costrette a rischiare la loro vita per mettersi in salvo. I canali d’ingresso sicuri, inoltre, offrirebbero dei benefici dal punto di vista economico, di integrazione e sul fronte della sicurezza, permettendo di conoscere in anticipo i destinatari dei visti e le loro caratteristiche/esigenze. L’implementazione delle Vie Sicure e Legali per l’ingresso in Europa è fondamentale per mettere fine alla tragedia di chi intraprende viaggi pericolosi e per arginare il potere dei trafficanti di esseri umani, fornendo soluzioni accessibili a tutti. È necessario adottare politiche migratorie strutturali a medio e lungo termine, abbandonano la gestione emergenziale che fino a oggi ha connotato le politiche europee. Ci auguriamo che l’Unione Europea possa avere una prospettiva lungimirante e umana in merito a un fenomeno che non è emergenziale ma strutturale e che nei prossimi anni non potrà che avere un peso sempre più determinante.
E nei centri di accoglienza, quali sono le condizioni?
Le politiche di accoglienza maltesi prevedono che i richiedenti asilo non considerati vulnerabili possano rimanere nei centri di accoglienza 6 mesi, un anno nel caso delle famiglie. Sebbene le condizioni nei centri stiano lentamente migliorando, si registrano ancora carenze nei servizi e negli spazi. Proprio per questo con MOAS non solo portiamo assistenza e offriamo opportunità educative e formative, ma raccogliamo anche donazioni. Crediamo infatti che un gesto di gentilezza possa portare un po’ di conforto a persone che stanno vivendo una fase molto delicata della loro vita.