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Petrolio, spesa militare e regali di Putin: perché la Russia dopo 2 anni di guerra non è in bancarotta

L’analisi sull’economia russa a Fanpage.it di Alex Isakov e Andrei Movchan: finanze solide, paradossalmente anche grazie alle sanzioni; crescita spinta dai consumi, salari alti e meno disuguaglianza e l’invasione dell’Ucraina che sembra essere un toccasana. Ma la fonte di tutto sono gli alti prezzi petroliferi: “Se scendono sarà recessione”. E già si prevede una brusca frenata.
A cura di Riccardo Amati
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La limitata efficacia delle sanzioni, un notevole mercato mobiliare interno e ingenti riserve hanno garantito la resilienza finanziaria, mentre la spesa per la guerra ha creato domanda spingendo il Pil. Ma sono stati soprattutto gli alti prezzi del petrolio ad aver permesso alla Russia di non andare in bancarotta e alla sua economia di crescere durante i due anni del conflitto in Ucraina. E, anche se la corsa del Pil sta già rallentando di brutto, Putin potrà continuare a finanziare la sua aggressione per anni. A meno di un crollo dei prezzi degli idrocarburi. È quanto affermano gli economisti sentiti da Fanpage.it.

I segreti della solidità finanziaria

Alex Isakov, Bloomberg Economics (foto Linkedin).
Alex Isakov, Bloomberg Economics (foto Linkedin).

I fattori che tecnicamente hanno più aiutato ad evitare la bancarotta sono tre, secondo il responsabile di Bloomberg Economics per la Russia Alex Isakov. Prima di tutto, il regime di sanzioni finanziarie “è ancora molto più indulgente di quello imposto ad altri Paesi come Iran e Corea del Nord”. E ciò consente al settore bancario di facilitare i flussi e gli scambi.

“Inoltre — continua Isakov — la Russia ha sviluppato un sofisticato mercato mobiliare interno, che consente al governo di raccogliere fondi a livello nazionale da banche, investitori privati e altre istituzioni”. E poi, sempre la Russia “ha iniziato la guerra con sostanziali buffer fiscali”: circa 300 miliardi di dollari di riserve in oro, contanti in valuta forte e conti in yuan che aiutano a orientare il mercato valutario interno.

Sanzioni a doppio taglio

A contribuire alla “sofisticazione” del mercato finanziario russo, paradossalmente, sono state proprio la proprio la guerra e le sanzioni. Il Paese ha infatti potuto accumulare “enormi quantità di denaro che altrimenti sarebbero andate investite altrove”, dice a Fanpage.it l’economista moscovita trapiantato a Londra Andrei Movchan, a capo di un fondo di investimento con clienti prevalentemente russi e circa 300 milioni di dollari in gestione.

Andrei Movchan, economista e Ad Movchan’s Group
Andrei Movchan, economista e Ad Movchan’s Group

“Gli oligarchi sanzionati all'estero hanno dovuto riportare indietro i loro soldi in patria”, spiega Movchan. “Adesso la loro ricchezza è investita in Russia”. E non ci sono solo gli oligarchi, ma anche “i funzionari che rubavano allo Stato”. E che non possono più “nascondere facilmente il bottino all’estero”.

Investimenti di ritorno

Infine, non vanno dimenticate le persone della classe media che avevano investito, per esempio, in azioni americane attraverso la Borsa di Mosca: “Si sono ritrovati i conti congelati e hanno dovuto riportare indietro quel che potevano. I loro nuovi dividendi e i loro redditi ora restano tutti in Russia”. Per non parlare del turismo.

I russi prima della guerra spendevano 40 miliardi di dollari all’anno per fare la vacanze in Paesi dal clima meno drammatico di quello domestico. La cifra negli ultimi due anni si è drasticamente ridotta. Viaggiare verso i cosiddetti “Paesi ostili”, in particolare in Europa, è diventato molto più complicato. Movchan calcola che, tra il rientro dei soldi dei ricconi e della gente normale, e la minor spesa per i viaggi in Occidente “si è impedito che uscissero tra i 100 e 120 miliardi di dollari”.

L’economia della morte

La Russia durante lo scorso anno ha raddoppiato la spesa militare. Che adesso conta per oltre un terzo del bilancio statale. Questo ha fatto aumentare i consumi e i salari, vista la carenza di persone sul mercato del lavoro. Mentre si è creata una cinica economia che prima non esisteva, fondata sugli alti compensi di chi parte per il fronte come volontario. E sulle alte ricompense per le famiglie di chi dal fronte non torna. “Milioni di persone che prima non avevano mezzi, ora possono andare a combattere ed essere ben pagati. O andare a lavorare nell’industria della difesa, ed essere ben pagati”, nota Movchan. “Hanno così iniziato a consumare. E i consumi hanno rilanciato l’economia”.

Lo zar buono

L’economia di guerra è stata aiutata dallo Stato con una serie di misure che rafforzano il mito dello zar “buono”, spietato contro i nemici ma sempre pronto ad aiutare il suo popolo. “Il regime ha utilizzato sussidi per attenuare gli shock, soprattutto sul mercato dei consumi”, sottolinea Alex Isakov.

Dall’inizio della guerra la Russia ha ridotto i dazi all’importazione sulle autovetture e sugli acquisti transfrontalieri di beni per le famiglie. E ha incentivato le importazioni di beni di consumo che sono diventati scarsi quando alcune aziende si sono ritirate dalla Russia. “Queste misure hanno consentito di mantenere l’inflazione al di sotto dell’8% nel 2023 e di sostenere una crescita dei salari reali vicina al 10% su base annua negli ultimi mesi”, osserva l’economista di Bloomberg.

La guerra rende più uguali

Di fatto, con la guerra la disuguaglianza di cui la Russia deteneva il record mondiale si è parzialmente ridotta. Lo stipendio di un operaio del settore militare o di un muratore è aumentato avvicinandosi di molto a quello di un professionista dell’informatica. “La ridistribuzione del lavoro dovuta alla cosiddetta ‘operazione militare speciale’ ha consentito ai consumi di essere più regolari e robusti. E ne ha aumentato il livello”, rileva Andrei Movchan.

Le grandi ricchezze garantite dal sistema Putin sono ovviamente da considerarsi al di fuori di queste considerazioni. Ma, in generale, questa nuova situazione “ha contribuito a una ridistribuzione più equa all’interno del Paese e ha prevenuto eventuali disordini e comunque a evitare una rottura tra la popolazione e il Cremlino”.

Il fattore petrolio

Gli alti prezzi del petrolio non solo hanno consentito alla Russia di beneficiare di un’ottima posizione delle partite correnti ma sono stati il volano che ha permesso la crescita e assicurato più di ogni fattore la resilienza delle finanze pubbliche. “L’economia russa è interamente basata sull’esplorazione, estrazione ed esportazione di idrocarburi. Il petrolio apporta al Paese un’enorme ricchezza”, premette Movchan a ogni sua analisi.

Secondo l’economista e finanziere, con triangolazioni ed espedienti la Russia riesce a vendere il suo petrolio e il suo gas quasi come prima delle sanzioni seguite all’invasione dell’Ucraina. “Si tratta di un reddito di circa 50 miliardi di dollari all'anno. E una parte viene dall’Europa. Perché l’Europa continua ad acquistare gas russo, nonostante tutte le sanzioni. Questo è il principale motore dell’economia”.

Questione di prezzo

“I prezzi del petrolio sono stati insolitamente alti negli ultimi due anni”, continua Andrei Movchan. “Per questo la Russia è stata in grado di finanziare enormi importazioni, fornendo alla popolazione i mezzi per vivere”. Alla fine, è grazie agli idrocarburi che Mosca in guerra ha continuato a crescere. “Se il prezzo del petrolio scendesse a 40 dollari al barile per un periodo di circa un paio d’anni, l’economia russa crollerebbe”.

E anche dal punto di vista strettamente finanziario, alla fin dei conti tutto dipende dai prezzi petroliferi. “L’Nwf, il Fondo sovrano del Paese, finora ha fortemente aiutato Putin ma durerà solo uno o due anni se il prezzo del petrolio russo scenderà sotto i 50 dollari”, sostiene Isakov. “Una volta esaurita la NWF, lo spazio fiscale della Russia si ridurrà sostanzialmente”.

Bloomberg Economics ritiene che Putin abbia bisogno che il prezzo del petrolio sia di almeno 73 dollari al barile per evitare che le liquidità del fondo Nwf, che ammontavano a circa 50 miliardi di dollari alla fine di dicembre 2023, diminuiscano ulteriormente. Se il prezzo del petrolio esportato dalla Russia scenderà, secondo Andrei Isakov, “il Cremlino dovrà scegliere tra il ridimensionamento della spesa non militare, l’aumento delle tasse, la vendita delle partecipazioni nelle imprese chiave e accettare una maggiore crescita dei prezzi al consumo”. Tutte decisioni che Putin preferirebbe evitare.

Dubbia sostenibilità

Nel 2023 il Pil russo è cresciuto al ritmo del 3,6%, secondo i dati ufficiali. Gli economisti non credono che questo possa durare. ”Non è sostenibile”, dice a Fanpage.it l’economista russo di Bloomberg. “Dietro questo picco di attività ci sono un’esplosione della spesa fiscale, che la Russia non sarà in grado di generare nel 2025, e un aumento dell’occupazione di circa 2 milioni di unità, impossibile da ripetere”. Nel 2024 e negli anni successivi, l’economia russa dovrà affrontare vincoli più severi alla sua crescita e “il governo vedrà compromessi più netti tra l’aumento della spesa pubblica e la generazione di inflazione. Secondo le nostre stime, la Russia rallenterà la sua espansione economica fino all’1% nei prossimi 3 anni”.

Ma tutto dipenderà, ancora una volta, dai prezzi del petrolio. Che Movchan definisce “l’unica vera fonte”. Se rimangono alti, anche con un’economia a scartamento ridotto Putin avrà tutti i soldi che vuole per continuare le sue guerre. Anche per anni.

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