Perché un attacco israeliano ai siti nucleari dell’Iran è ancora possibile: l’analisi degli esperti
Il rinvio del viaggio a Washington del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, che avrebbe dovuto incontrare il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin, significa che il governo di Netanyahu non ha ancora preso una decisione sulla rappresaglia per il barrage missilistico di cui è stato bersaglio il 1° ottobre, secondo i media israeliani che citano fonti "al corrente della situazione".
L’inaspettata cancellazione dei colloqui faccia a faccia tra i due ministri rilancia l’ipotesi che Israele possa optare per l’attacco che più desidera e che gli Usa proprio non vorrebbero. Il presidente Joe Biden ha detto pubblicamente di esser contrario a che siano colpiti i siti nucleari di Teheran. Netanyahu e Biden dovrebbero parlarsi al telefono in giornata.
Finora Austin e Gallant hanno discusso sull’eventualità di prendere di mira le infrastrutture militari e di intelligence iraniane, le difese aeree e gli impianti energetici. Niente riguardo a possibili obiettivi nucleari. Ma il governo israeliano ha ampiamente dimostrato nell’ultimo anno di non aver remore nel prendere decisioni autonomamente.
In teoria, Israele ha la capacità di attaccare i maggiori siti nucleari iraniani da solo. Ma l’operazione sarebbe difficile e molto rischiosa, se non altro per motivi logistici. E anche un attacco riuscito con ogni probabilità non fermerebbe il programma di arricchimento dell’uranio del suo maggior nemico. Anzi, forse accelererebbe la corsa all’atomica. Per certo, alimenterebbe oltremodo l’incertezza nell’intera regione e il rischio di una guerra totale. Costringendo Washington a un non desiderato intervento.
Serve l’arma più potente
"Causare danni su larga scala al programma nucleare di Teheran richiederebbe un'operazione militare significativa e probabilmente coinvolgerebbe gli Stati Uniti", dice a Fanpage.it Darya Dolzykova ricercatrice del Royal United Service Institute (Rusi) di Londra, uno dei più importanti think tank per la difesa e la sicurezza. "Il pericolo è quello di una escalation regionale, che spingerebbe l’Iran a dotarsi dell’arma atomica".
Il principale impianto è quello di Natanz, che ha anche un’officina per il montaggio delle centrifughe necessarie all’arricchimento. Poi, per importanza viene l’impianto di Fordow. Il primo ha le sue aree cruciali in un profondo bunker sotterraneo. Il secondo è scavato all’interno di una montagna. Difficili da colpire.
Non che a Israele manchino le armi. "Nell’annunciato attacco sull’Iran potrebbero essere usate bombe anti bunker", spiega a Fanpage.it Ehud Eilam, autore di Israel’s Military Doctrine (Lexington Books, 2018), con un passato nell’IDF e come analista del ministero della Difesa a Tel Aviv.
Il rifugio blindato di Nasrallah a Beirut era a trenta metri di profondità. È stato distrutto da testate anti bunker Blu-109, concordano gli esperti. Probabilmente, montate su bombe Gbu-24 a guida laser. Il problema è che ce ne sono volute un’ottantina, hanno fatto trapelare le forze armate israeliane. Quante mai ce ne vorrebbero per penetrare il bunker di Natanz o spaccare la montagna di Fordow?
L’unica arma convenzionale davvero adatta allo scopo è il Gbu-57A/B Massive Ordnance Penetrator (Mop), ha scritto il Financial Times. È una bomba a guida di precisione lunga circa 6 metri. Pesa più di 13 tonnellate e può perforare il terreno per 60 metri prima di esplodere. È in dotazione alle forze armate americane. Più volte parlamentari Usa hanno proposto di fornirne alcune a Israele. Non si sa se sia poi avvenuto o meno.
I cacciabombardieri con la stella di David non potrebbero comunque portarle sotto le loro ali, precisano gli analisti. Forse si potrebbero usare aerei militari da trasporto. I vecchi C-130, opportunamente riadattati. Il risultato è però quantomeno dubbio.
Forza e limiti dell’aviazione israeliana
Ehud Eilan esclude l’utilizzo dei missili surface-to-surface Jericho, lanciati da terra: "Sono meno accurati e hanno meno carico esplosivo delle armi degli aerei". Per l’attacco sull’Iran, Israele dispiegherà la sua aviazione, afferma l’ex ricercatore del ministero della Difesa dello Stato ebraico.
Gli F-15I, gli F-16I e i nuovi F-35 non temono gli aerei nemici. "L'aeronautica militare iraniana si basa su vecchi velivoli come gli F-14 e i MIG-29, che non sono all'altezza dei moderni cacciabombardieri di Israele", nota Eilam in un suo studio. Su 340 velivoli da combattimento operativi, l’aviazione di Netanyahu dovrebbe utilizzarne almeno un centinaio, si legge in un report del Congresso Usa.
La difesa di Teheran, intorno ai siti nucleari, si affiderà soprattutto a sistemi missilistici. In particolare all’S-300 fornito all’Iran dalla Russia. "Gli aerei israeliani utilizzerebbero anche attacchi informatici, per cogliere di sorpresa i caccia e i sistemi antiaerei avversari". Un approccio che "potrebbe beneficiare del discreto supporto degli Stati Uniti", sottolinea l’esperto. Non solo con la guerra elettronica. Soprattutto, per il rifornimento di carburante.
Perché il punto debole della Iaf, l’aviazione di Israele, è la distanza dai bersagli. Sono oltre mille chilometri oltre frontiera. Al limite dell’autonomia dei suoi aerei. Servirebbero delicati rifornimenti in volo. Per i quali la capacità israeliana sarebbe forse sufficiente ma molto risicata, in base al citato report del Congresso americano. Diventerebbero così indispensabile, l’appoggio di aerocisterne Usa.
Per l’Iaf, la via più diretta per attaccare l’Iran è attraverso gli spazi aerei di Giordania e Iraq. Un’altra possibilità è passare sull’Arabia Saudita. La Giordania e il regno wahhabita non sono ostili a Israele. Ma le relazioni con i Paesi arabi in generale saranno messe a dura prova. Con la possibilità di un rafforzarsi dell’allineamento contro Israele. Senza contare la possibilità di disastrose rappresaglie iraniane sulle infrastrutture petrolifere, in particolare quelle di Riyad.
L’Iran è vicino all’atomica
Un attacco ai siti di arricchimento dell’uranio di Natanz e Fordow non impedirebbe all’Iran di costruirsi armi atomiche, a meno che non provocasse danni imponenti. "Eliminare definitivamente il programma nucleare iraniano probabilmente non è possibile a questo punto", sostiene Darya Dolzykova. "L'avanzata competenza raggiunta da Teheran implica che le parti distrutte potrebbero essere ricostruite. Naturalmente, a seconda del livello di danno, la ricostruzione potrebbe richiedere più o meno tempo". Nel caso del danneggiamento delle prese di areazione e degli impianti in superficie, il tempo sarebbe breve. È necessario colpire in profondità. E in modo devastante.
Fatto sta che l’Iran non è mai stato così vicino ad avere testate nucleari. "Si deve considerare sia l'intento che la capacità tecnica. Si ritiene che l'Iran sia capace di arricchire abbastanza uranio di grado militare per una singola arma nucleare in circa una settimana. Tuttavia, il processo di costruzione di una testata e la sua integrazione in un missile potrebbero richiedere alcuni mesi".
La narrativa in favore dell’uso delle armi nucleari nell’ultimo anno si è fatta sempre più esplicita, da parte di politici e militari di Teheran. La fatwa contro l’atomica emessa dall’Ayatollah Khamenei nel 2003 resta comunque ancora in vigore, almeno ufficialmente — ha detto recentemente il capo della Cia Willam Burns.
Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), nei mesi scorsi le scorte di uranio arricchito al 60% dell’Iran erano di 27 volte superiori a quelle ufficialmente consentite. Ammontavano a 87,5 chili. Per una singola arma, di chili ne bastano 55. Ma le informazioni sono davvero poche. La sorveglianza sulle attività nucleari iraniane da parte dell’Aiea è ormai del tutto insufficiente.
La fine della ragionevolezza
Il lavoro clandestino degli scienziati iraniani per raggiungere un arricchimento dell'uranio fino al 90%, come necessario per scopi militari, ha dato vita a una lunga crisi internazionale. Che sembrava risolta con l'accordo di Ginevra del 2015, firmato da Cina, Russia, Regno Unito, Francia, Germania, Stati Uniti e Unione Europea. Ma nel 2018, l'allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha seppellito l’accordo, rilanciando le tensioni. Non a caso Trump, nella campagna elettorale in corso, si è detto favorevole a un’azione israeliana contro i siti nucleari di Teheran.
Darya Dolzykova ricorda come i siti abbiano subìto ripetuti sabotaggi e danni tramite mezzi non militari: “Queste azioni, ampiamente attribuite a Israele, includono attacchi fisici e informatici a Natanz e l'assassinio di scienziati iraniani. Pertanto, Israele potrebbe optare per simili tattiche non strettamente militari, per ostacolare i progressi nucleari dell’Iran”.
Purtroppo, però, nell’ultimo anno limiti e ragionevolezza sono stati accantonati. Il legittimo diritto alla difesa da parte di Israele e la necessaria reazione al pogrom del 7 ottobre 2023 hanno preso strade spesso illegali, orribili in temine di vittime civili e quanto mai pericolose per l’intera comunità internazionale. Un colpo clamoroso da parte di Israele dalle conseguenze imprevedibili ma per certo drammatiche, è tutt’altro che da escludere.