Perché Trump e Vance alla Casa Bianca sarebbero una pessima notizia per Ucraina e Medio Oriente
Donald Trump ha deciso: J.D. Vance sarà il suo vice in caso di elezione alla Casa Bianca il prossimo 5 novembre. Il senatore dell'Ohio, ex marines di 39 anni laureato a Yale, rappresenta l'ala dura del Partito Repubblicano e negli ultimi anni si è particolarmente distinto per i suoi toni aspri nei confronti di Joe Biden – e un tempo anche nei confronti dello stesso Trump, che non esitò a definire "l'Hitler americano". Vance ha acquisito sempre più autorevolezza soprattutto grazie alla sua capacità di raccogliere fondi nella Silicon Valley, in un'area tradizionalmente legata ai Democratici, quella dell'alta tecnologia. La sua storia, il bestseller "Hillbilly Elegy", in cui racconta una vita di riscatto partita da una famiglia povera della classe operaia bianca, lo ha reso un simbolo dell'American Dream e della voglia di lottare contro le insicurezze economiche.
Vance, tuttavia, si è distinto anche per alcune posizioni di politica estera: il 39enne, infatti, è stato uno dei principali oppositori al nuovo pacchetto di assistenza militare e finanziaria all'Ucraina la scorsa primavera e ha espresso indifferenza per le sorti di Kiev. "Scegliendo Vance come suo compagno di corsa, Trump ha fatto una scelta molto chiara sulla politica estera", ha commentato al Guardian Michael McFaul, ex ambasciatore statunitense in Russia, aggiungendo che la coppia Trump-Vance sarà ben disposta ad abbracciare gli autocrati di tutto il mondo, a partire da Putin.
Quale sarà la strategia di Trump in Ucraina
Come spiega a Fanpage.it il professor Marco Di Liddo, direttore del CeSI (Centro Studi Internazionali), nella pianificazione della guerra in Ucraina i russi hanno tenuto certamente in considerazione le elezioni europee e soprattutto quelle americane. "La gestione del conflitto ha tenuto conto non solo della dimensione militare ma anche di quella politica, e non a caso sono state messe in atto operazioni di guerra informativa per indirizzare il voto in una direzione ben precisa, favorevole agli interessi di Mosca". Di Liddo aggiunge che la Russia si avvia, nel 2025, a una fase del conflitto particolarmente complessa: "Oltre alle perdite umane ci sono le perdite di migliaia di mezzi, e la loro sostituzione si sta rivelando sempre più difficile perché l'industria non riesce a reggere il passo. Le operazioni sul campo lo dimostrano chiaramente: Mosca non riesce a sfondare le linee ucraine non solo per merito della resistenza di Kiev, ma anche perché il ritmo della produzione di mezzi militari non è adeguata".
È in questo contesto che arrivano le elezioni presidenziali americane. "Se andiamo a rileggere le dichiarazioni fatte da Trump e Vance sull'Ucraina istintivamente diremmo che per Kiev potrebbe mettersi male. E l'istinto non ci tradisce, almeno stavolta. Il primo ha dichiarato che avrebbe risolto facilmente la questione accogliendo alcune rivendicazioni russe, mentre il secondo ha ammesso che a lui dell'Ucraina non interessa niente", ricorda Di Liddo. Tutto lascerebbe pensare che in caso di vittoria repubblicana per Kiev si profili una debacle, tuttavia ci sono anche altri aspetti da considerare, in primis "di immagine". "Se gli americani troncheranno di netto gli aiuti all'Ucraina senza negoziare un compromesso politicamente dignitoso l'immagine degli Stati Uniti e dell'Occidente verrebbe gravemente danneggiata, facendo perdere credibilità, legittimità e influenza".
Concessione di territori ucraini a Mosca e ingresso nella NATO: cosa potrebbe decidere Trump
Di tutto questo sono ben consapevoli nello "stato profondo" USA, che di conseguenza farà in modo che si trovi una soluzione che non appaia come una nuova sconfitta americana dopo l'abbandono dell'Afghanistan. "La concessione dei territori ucraini a Mosca è estremamente problematica: passerebbe il concetto che nel 2022-2024 si possa invadere un Paese, prenderne una parte di territorio e uscirne senza subire conseguenze. Il che potrebbe anche essere accettato, se gli USA riuscissero a trascinare la Russia dalla loro parte in funzione anti cinese. Ma è decisamente improbabile che Putin ‘tradisca' la Cina, dopo l'aiuto militare, politico e industriale che ha ricevuto da Pechino". Il rischio più grande, a questo punto, è che Trump e Vance decidano che la crisi ucraina è un problema esclusivamente europeo, e che l'Europa non sia in grado di prendere decisioni importanti in assenza di una leadership americana.
E che dire dell'ingresso dell'Ucraina nella NATO? Donald Trump non ha mai chiuso la porta a un allargamento dell'Alleanza Atlantica, ma ha sempre posto la condizione – per i Paesi aderenti – del 2% del Pil in spese militari. "Non possono in alcun modo convivere l'ingresso di Kiev nella NATO e la ricerca di un accordo con la Russia per porre fine alla guerra. Se in Europa e negli USA ci sarà qualche leader particolarmente ‘creativo' sarà possibile trovare una soluzione accettabile: si potrebbe ad esempio pensare a patti multilaterali che nel contenuto somiglino molto all'articolo 5 della NATO, ma che non prevedono un ingresso ufficiale nell'Alleanza Atlantica da parte dell'Ucraina".
In ogni caso una vittoria di Donald Trump complicherebbe molto la posizione di Kiev, che realisticamente sarà costretta a ridimensionare pesantemente le sue aspettative. Parlare di "vittoria" totale contro la Russia, insomma, sarà in futuro molto più difficile per Zelensky.
Trump e Vance, i "super amici" di Israele
E su Israele? Come ricorda Al Jazeera in occasione dell'attacco del 7 ottobre 2023 Vance diede la colpa all'amministrazione Biden, accusato di aver favorito il gruppo palestinese. "Gli americani devono affrontare una cruda verità: i soldi delle nostre tasse hanno finanziato tutto questo". Il senatore si è anche opposto fermamente a ogni ipotesi di limitazione alle azioni di Israele a Gaza, nonostante gli innumerevoli crimini di guerra e crimini contro l'umanità commessi da Tel Aviv. Insomma: Trump e Vance saranno filo-israeliani quanto e più di Biden e non si sognerebbero mai di abbandonare il loro principale alleato in Medio Oriente, per nessuna ragione al mondo.
D'altro canto Trump ha già guidato gli Stati Uniti e dato ampie prove di vicinanza a Israele. Come dimenticare la sua dichiarazione del dicembre 2017, quando disse che era giunto il momento di riconoscere Gerusalemme capitale dello Stato Ebraico, mandando su tutte le furie i palestinesi e gli alleati arabi? "Non cambierà nulla rispetto al Trump di qualche anno fa", spiega Giuseppe Dentice, analista del CeSI specializzato in Medio Oriente. "Il leader repubblicano sarà fortemente anti iraniano e fortemente filo-israeliano. Non a caso da più parti si parla di una politica di massima pressione nei confronti di Teheran, la stessa che rischiò di far scoppiare una guerra nel 2019 tra Arabia Saudita e Iran. Sappiamo però anche che Trump è imprevedibile e che al netto dei toni aggressivi sa essere molto pragmatico e attento ad evitare conflittualità militari in senso stretto".
Nell'attuale contesto, mentre Israele spinge per creare un fronte di guerra anche al nord contro Hezbollah e contro l'Iran, Tel Aviv potrebbe non trovare una sponda negli USA, proprio in virtù delle politiche di Trump e della sua – per molti sorprendente – capacità di moderazione. "La politica estera in Medio Oriente del leader repubblicano non dovrebbe discostarsi molto da quanto ci ha fatto già vedere nel suo primo mandato presidenziale", aggiunge Dentice.
Cosa farà Trump se Israele verrà condannata per genocidio a Gaza?
Ma come si comporterà Donald Trump se in futuro Israele verrà condannata per il crimine di genocidio a Gaza da parte della Corte Internazionale di Giustizia? È un'ipotesi che non può essere esclusa vista la portata del massacro dei palestinesi. Spiega l'analista del CeSI: "Non c'è una risposta certa a questa domanda. Se Trump appoggerà un'azione di Israele contro l'ONU andrà contro l'idea di società internazionale multilaterale e liberale che sono stati gli stessi USA a fondare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Trump, quindi, sconfesserebbe gli stessi Stati Uniti. La sensazione è che il presidente Trump spingerebbe volentieri per appoggiare Israele, conscio però che nel Dipartimento di Stato e nella stessa Casa Bianca ci sarebbero forti pressioni affinché non venga concessa a Te Aviv tutta la libertà che desidera: insomma, il presidente potrebbe essere indotto alla moderazione. Ma se ciò avvenisse gli USA finirebbero per essere fortemente sfiduciati agli occhi del mondo e crescerebbe anche la distanza, già molto ampia, tra il sud globale – di cui Russia e Cina si stanno facendo portavoce – e l'Occidente".