Il fallimento dell’incontro ad Antalya (Turchia) tra il ministro degli Esteri russo Lavrov e il suo omologo ucraino Kuleba, con la mediazione del ministro degli Esteri turco Cavusoglu, era largamente previsto, quasi annunciato viste le dichiarazioni della vigilia degli stessi protagonisti. Ma resta la peggiore delle notizie possibili. La rappresentanza sempre più qualificata (dai consiglieri del primo incontro in Bielorussia ai capi della diplomazia in Turchia, passando per i ministri e vice-ministri presenti al secondo incontro) aveva fatto sorgere qualche speranza, vanificata però dal muro contro muro ancora una volta emerso. È difficile capire quale sia, oggi, il punto del contendere. Certo, la guerra scatenata dal Cremlino ha accumulato una quantità enorme di dolori e rancori e ha reso tutto infinitamente più difficile. Resta però il fatto che si parla sempre delle stesse cose. I russi di neutralità dell’Ucraina, indipendenza del Donbass, status della Crimea. Gli ucraini di ritiro totale, garanzie di sicurezza, riparazione dei danni di guerra. Non si fa nemmeno mezzo passo avanti. E nessuno riesce a spiegare il perché.
Molti hanno sperato nella Cina, e nella disponibilità che il presidente Xi Jinping aveva manifestato al presidente francese Macron e al cancelliere tedesco Scholz. Ma la Cina, come si vede dalla scelta degli interlocutori, è disposta a mettere a frutto i buoni rapporti che ha con la Russia solo in collaborazione con l’Europa. Gli Usa, nella visione di Pechino, sono colpevoli di aver tirato troppo la corda con la Russia e l’allargamento della Nato, devono starne fuori. Cosa che non sta bene all’Ucraina e, ovviamente, nemmeno agli Usa.
Il fattore tempo
La ragione dello stallo, forse, è solo una: sia gli ucraini sia i russi pensano di avere il tempo dalla loro parte. Gli ucraini contano sull’effetto delle sanzioni decise contro la Russia, le più massicce di sempre, e dei provvedimenti che falcidiano le ricchezze e i privilegi dell’oligarchia economica vicina a Putin. Sperano che si producano crepe sul fronte interno, e che vadano ad aggiungersi alla protesta che in Russia più conta: non tanto quella delle èlite borghesi, liberali e cosmopolite di Mosca e San Pietroburgo (le più colpite nell’immediato, dal punto di vista economico ma anche culturale, dal distacco brutale rispetto all’Occidente) ma quella della Russia profonda, dove migliaia di famiglie soffrono per i figli mandati a combattere. Il 7 marzo, nel fare gli auguri alle donne, Putin aveva garantito che non c’erano soldati di leva sul fronte ucraino. Tre giorni dopo i generali hanno dovuto ammettere che era vero il contrario, dicendo in modo vergognoso che i reparti di coscritti (ragazzi giovanissimi che hanno si e no imparato a usare il fucile) erano stati mandati in prima linea “per sbaglio”. Ma intanto è stato dato ordine di non celebrare i funerali dei caduti, che potranno avvenire solo a “missione conclusa” e questo ha fatto capire molte cose a un numero infinito di genitori disperati. Oltre che su questo, gli ucraini contano sul flusso continuo di armi che l’Occidente fornisce per alimentare la loro resistenza.
Anche i russi, però, pensano che il tempo sia loro favorevole. Lentamente ma inesorabilmente le truppe di Mosca avanzano verso i grandi centri industriali, i porti, le centrali nucleari: ce ne sono quattro attive in Ucraina, due (compresa quella di Zaporizhia, la più grande d’Europa) sono ora in mano ai russi, che controllano così metà della produzione di energia elettrica del Paese invaso. La Russia ha la forza, domina i cieli e può mettere in campo un esercito di un milione di uomini. È convinta, insomma, che la mera potenza di fuoco prima o poi piegherà la fiera resistenza ucraina.
Sempre più vittime innocenti
Questo stallo, però, è l’anticamera del disastro. Con il tempo, e non occorre essere strateghi militari per capirlo, lo scontro diventa sempre più aspro e spietato. Dal campo aperto e dai villaggi si passa alle città, come per esempio Khar’kiv e Mariupol’, e quando si combatte casa per casa, vista anche la solo parziale riuscita dei corridoi umanitari che dovevano mettere in salvo i civili, il rischio di provocare vittime innocenti cresce a dismisura. Vengono meno anche molti freni. Non deve stupire che vengano colpiti gli ospedali o le scuole. Crescono le testimonianze del fatto che i militari ucraini usano anche gli edifici civili come postazione e del fatto che il fuoco dei russi è sempre mano inibito dal pericolo per la popolazione. Quando è stato colpito l’ospedale di Mariupol’, i russi hanno detto che serviva da base del Battaglione Azov, una delle formazioni di estrema destra affiliate all’esercito ucraino. I russi sono gli aggressori ma è possibile che non sempre la loro versione sia menzognera. E nelle città sotto assedio la popolazione sta esaurendo le scorte di sopportazione. Fonti della Croce Rossa, per esempio, riportano che a Mariupol’, da cinque giorni senz’acqua né energia elettrica, le persone hanno cominciato a lottare tra loro per il cibo.
La battaglia di Kiev
Il fallimento delle trattative, insomma, apre una strada sola, quella che porta a una lotta senza quartiere. Considerato che da giorni si combatte aspramente per Khar’kiv, Mariupol’ e Odessa, il prossimo bersaglio dell’offensiva russa potrebbe essere la capitale Kiev. Le truppe corazzate russe si sono avvicinate per giorni da Nord alla capitale ucraina, cercando soprattutto di radicare le proprie posizioni e affidando ai bombardamenti e alle incursioni aeree il compito di testare le difese e deprimere la popolazione. È arrivato il momento di un assalto vero e proprio? La capitale è stremata. Secondo il sindaco Vitaly Klichko, diventato politico dopo essere stato campione mondiale di pugilato, due dei tre milioni di persone che la popolavano sono già scappati. Gli altri vivono nella paura delle incursioni, con rifornimenti sempre più critici una resistenza da immaginare e preparare. I generali russi non possono farsi illusioni, la qualità dei combattenti ucraini si è vista su tutto il fronte. Se vorranno prendere Kiev combattendo nelle strade dovranno prepararsi a perdere moltissimi soldati. L’alternativa è agghiacciante: un diluvio di fuoco sulla città per generare il panico e smantellare le difese prima della battaglia finale. In ogni caso, una strage.