Il 9 gennaio scorso mentre il mondo intero assisteva ammutolito alle stragi di Parigi, il blogger saudita Raif Badawi, 31 anni, è stato frustato a Djeddah in Arabia Saudita con l'accusa di aver fondato il forum “Liberal Saudi Network” , che ora è stato chiuso.
Il forum era nato per discutere e favorire riforme liberali tramite dibattiti su politica, cultura e società. Tra le accuse che mosse anche quella di essere stato a favore della festa di San Valentino. Secondo The Guardian i suoi scritti gli hanno causato, nel 2008, il divieto di lasciare il paese, e nel 2011 una fatwa. Ma la pena definitivamente comminata a Raif (che ha ricevuto nel 2014 il premio “ Reporter sans frontieres”) è oggi per apostasia e insulti all'Islam e corrisponde a dieci anni di prigione, 1000 frustate da distribuire in 50 rate a settimana per 20 settimane di fila, oltre a una multa di 260. 000 dollari.
Sua moglie, Ensaf Haidar, ha lasciato il paese dopo il tentato omicidio del marito per eseguire la fatwa. Oggi vive a Sherbrooke (Canada), dove ha ottenuto asilo politico.
Questo è il racconto di un testimone dell'esecuzione delle prime 50 frustate, riportato da Amnesty International:
“Quando i fedeli hanno visto il furgone della polizia davanti alla moschea hanno capito che sarebbe stato frustato qualcuno. Hanno formato un cerchio, che si è ingrandito mano a mano. Chiedevano se si trattasse di un omicida, o di un criminale, e perché non pregasse. Raif Badawi è stato condotto davanti alla moschea di Al Jafali di Djedda nel primo pomeriggio. Un considerevole spiegamento di forze in tutte le strade e non solo, attorno a Raif. Era ammanettato, aveva i piedi legati e il volto scoperto: tutti potevano vederlo. Era vestito con dei pantaloni e una camicia. Un agente si è avvicinato e ha cominciato a colpirlo sulla schiena con un enorme bastone. Raif ha alzato la testa al cielo, ha chiuso gli occhi e inarcato la schiena. E' rimasto in silenzio ma si vedeva che stava soffrendo terribilmente. L'agente ha colpito sulla schiena e sulla gambe, per 50 volte. La punizione è durata circa 5 minuti. E' stata rapida, senza pausa. Quando è terminata, la folla ha gridato: «Allahu akbar! Allahu akbar!» come se Raif fosse stato purificato. Raif è stato riportato in prigione. La scena è durata circa una mezz'ora”.
Lo scorso venerdì 16 gennaio, giorno previsto per la seconda “seduta” di flagellazione un medico ha visitato Raif in prigione e ha stabilito “che le piaghe non erano ancora guarite” e che pertanto “non poteva subire la seconda flagellazione” rinviata così al 23 gennaio prossimo. Per una forma di pudore nei confronti della comunità internazionale, lo stesso giorno, il gabinetto del re ha fatto sapere che il dossier Raif Badawi sarà prossimamente riesaminato dalla Corte suprema.
Unione Europea, Onu, e Stati Uniti hanno chiesto l'annullamento di questa sentenza: “Le punizioni corporali sono inaccettabili per la dignità umana”. Così ha detto il portavoce del servizio diplomatico dell'Ue.
Per colmo di ipocrisia, la domenica successiva alla strage, Nizar al- Madani, numero due della diplomazia saudita, era tra i dignitari accorsi per la marcia repubblicana a Parigi.
Ma l'ipocrisia riguarda anche l'Italia visto che è tra i maggior partner commerciali dell'Arabia Saudita, primo finanziatore del terrorismo e paese tra i più illiberali del pianeta.
Recita infatti il sito dell'ambasciata saudita nel nostro paese:
“L'Italia esporta in particolare apparecchiature elettriche e di precisione, fibre ottiche e artificiali, prodotti chimici, lavorati metallurgici, materiali da costruzione oltre a prodotti di abbigliamento, pellame e mobilio. Il Regno corrisponde con una importante contropartita energetica di petrolio e suoi derivati”.
Ma media, comunicatori e politici sono troppo concentrati su allarme moschee, allarme immigrati e opinioni sulla nostra superiorità culturale. Peccato, perché queste atrocità medievali,come anche la pena di morte con teste che saltano a colpi di sciabola sono una prassi in Arabia saudita.
#JeSuisRaif, dunque. Questo dovrebbe essere l'hastag, il cartello e il mantra dei prossimi tempi, se è vera e sincera è stata la rivolta contro chi vuole, col terrore, impedire la libertà di pensiero. La lotta al jihadismo inizia laddove la comunità internazionale smette di tollerare queste cose, anche quando, anzi soprattutto quando, sono legalmente consentite dai governi di paesi considerati fondamentali per le nostre economie. Questa condanna atroce non ha niente di diverso da quello che rimproveriamo ai jihadisti dello Stato Islamico autoproclamato.
Perché l'Italia ancora non ha reagito con forza? Per disattenzione patologica? Perché si chiamerebbe in campo la mancanza di una legge nazionale contro la tortura? Perché i nostri affari con i sauditi sono troppo importanti? Perché fa più comodo insultare Greta e Vanessa che hanno indirettamente finanziato la jihad senza voler vedere che siamo “tra i primi partner commerciali” dell'Arabia Saudita finanziatori del terrorismo? Perché fa più comodo dire a un musulmano che sbarca sulle coste, in fin di vita, che noi siamo superiori?
Perché siamo Charlie e non Raif?