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Guerra in Ucraina

Perché Sergey Surovikin, il generale che ha bombardato Kiev, è la prova della debolezza di Putin

Amato dai falchi del Cremlino come Kadyrov e Prigozhin, un passato brutale tra Cecenia e Siria: ecco chi è il nuovo comandante delle forze russe in Ucraina, scelto da Putin dopo l’attentato al ponte di Crimea. Il bombardamento su Kiev è il suo biglietto da visita. E la sua nomina è la prova di quanto Putin sia debole.
A cura di Fulvio Scaglione
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“Lo conosco da 15 anni, è un vero generale e un guerriero, un comandante esperto per il quale concetti come patriottismo, onore e dignità stanno sempre al di sopra di tutto”. Parole e musica di Ramzan Kadyrov, il leader ceceno che ha spedito migliaia dei suoi a combattere in Ucraina. A ruota l’ha seguito Evgenyj Prigozhin, detto il “cuoco di Putin” perché aveva un ristorante a San Pietroburgo ma ormai più noto come fondatore dell’esercito mercenario Wagner, anch’esso impegnato in Ucraina, anche lui impegnato a lodare “il coraggio e la risolutezza” del nuovo comandante del corpo di spedizione russo: il generale Sergey Vladimirovich Surovikin, 56 anni, siberiano di Novosibirsk, negli ambienti militari russi noto come “Generale Armageddon” per l’inclinazione a combattere con decisione brutale e, soprattutto, portando fino in fondo gli ordini ricevuti.

Torneremo sugli elogi di Kadyron e Prigozhin, e sul loro vero significato. Prima, però, un po’ di storia di Surovikin. Che poteva trovarsi la carriera stroncata fin dal 1991, quando aveva solo 24 anni. Nei giorni del tentato golpe contro Mikhail Gorbaciov, quando la folla invase le strade al richiamo di Boris Eltsin, e lui guidò un drappello di fanteria motorizzata contro una delle barricate nel centro di Mosca. Morirono tre persone e lui finì in un’inchiesta durata sette mesi. Prosciolto, perché aveva eseguito ordini superiori. Qualche anno dopo, nel 1995, un’altra grana, sotto forma di un’imputazione per traffico illegale di armi. Risultò che aveva prestato a un collega una pistola che questi aveva poi usato in una gara di tiro. Prosciolto da tutte le accuse. Preso l’abbrivio, la sua carriera è andata avanti a gran ritmo, di comando in comando, di promozione in promozione. Nel 2002 altro momento di imbarazzo, quando un colonnello si suicidò in presenza di Surovikin proprio a causa delle violente critiche che lui gli aveva rivolto. Nessuna conseguenza, anzi: un’altra stelletta alla sua fama di duro.

Surovikin ha partecipato alla seconda guerra di Cecenia ed è stato un protagonista dell’intervento militare in Siria a favore di Bashar al-Assad, diventando tra il 2017 e il 2019 il capo delle truppe russe e ottenendo per questo il titolo di Eroe della Russia. E nel 2021 è stato nominato generale, il più alto grado attualmente detenuto da qualunque ufficiale dell’esercito russo.

Il giorno in cui gli ucraini hanno fatto saltare il Ponte di Crimea, infine, Surovikin è stato messo a capo della spedizione russa in Ucraina. E al 24 febbraio, il giorno in cui è partita l’invasione russa, è la prima volta che il Cremlino annuncia il nome di un comandante unico. Prima il comando era frammentato tra alti ufficiali responsabili di diversi raggruppamenti. Il comando di Surovikin ora li comprende tutti. E guarda caso, il suo arrivo al vertice è coinciso con la più massiccia ondata di bombardamenti sulle infrastrutture e sulle città dell’Ucraina: un’ondata di 90 missili e decine di droni kamikaze che si è abbattuta su Kiev, Dnipro, Zhitomir, Krivoy Rog, L’viv e gli altri principali centri del Paese.

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E qui tornano in scena i gemelli diversi, Kadyrov e Prigozhin, che all’unisono hanno applaudito alla nomina di Surovikin (come abbiamo detto prima) e al lancio dei missili. I due sono all’attacco da tempo. Da molte settimane, soprattutto da quando l’Ucraina ha lanciato un’efficace controffensiva, i due chiedono a gran voce le dimissioni del ministro della Difesa Shoigu e del capo di stato maggiore Gerasimov, a loro dire colpevoli dei rovesci subiti dall’esercito russo. Vladimir Putin non li licenzia e la ragione è semplice: cacciarli vorrebbe dire ammettere che la famosa “operazione militare speciale” è fallita. Vorrebbe dire riconoscere la responsabilità di una sconfitta, e da lì in poi chissà che potrebbe succedere.

Intendiamoci: l’operazione militare speciale, in quanto tale, è in effetti fallita. L’idea di Putin era di conquistare una parte significativa dell’Ucraina con un esercito ridotto nei numeri e formato solo da volontari a contratto, senza “disturbare” i normali cittadini russi. Non ha funzionato e il Cremlino ha dovuto varare la “mobilitazione parziale” di 300 mila riservisti. Il che significa che la guerra sta entrando in 300 mila famiglie. Questa svolta ha potenziato le critiche (le uniche che contano, perché il dissenso degli intellettuali, degli artisti e dei giovani che scendono in piazza è nobile ma ininfluente) di tutti coloro che, nel sistema di potere putiniano, premono perché si passi a una guerra vera, totale, senza freni. Se Kadyrov e Prigozhin gridano, forti dei crediti maturati presso il Cremlino, altri e non meno influenti personaggi bisbigliano nei corridoi del potere. I vertici dei servizi di sicurezza, per esempio. E quelli della Guardia Nazionale, un corpo scelto di 300 mila uomini, fondato dallo stesso Putin nel 2016, che infatti risponde non risponde al ministero della Difesa (ovvero a Shoigu e Gerasimov) ma a quello degli Interni, guidato dal tenente generale Vladimir Kolokol’cev, in carica dal 2012, uno dei pochissimi ministri sopravvissuti al radicale rimpasto seguito agli emendamenti alla costituzione del 2020 che hanno in pratica garantito a Putin, a meno di colpi di scena, di restare al Cremlino a vita.

A quel che si vede, dunque, intorno a Putin fermenta un dissenso che, pur rispettando certe cautele, non teme più di esporsi. Su tutto questo, infine, è arrivato l’attentato al Ponte di Crimea, che non è solo un’infrastruttura fondamentale per la conduzione della guerra ma è anche il simbolo più possente dell’unione della Crimea, riannessa nel 2014, alla Grande Madre Russia, alla Russia continentale. Così Putin ha dovuto accontentare almeno in parte la fronda. Nominando un comandante unico nella persona del generale più gradito ai falchi, Surovikin appunto. E dando disco verde al tipo di guerra che questi vogliono, quella che passa per il bombardamento a tappeto delle strutture portanti dell’Ucraina. Proprio il genere di cose in cui il Generale Armageddon dà il meglio (ovvero il peggio) di sé.

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