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Perché Serbia e Kosovo minacciano una nuova guerra in Europa e cosa fare per evitarla

Ieri il governo serbo ha messo l’esercito in stato di massima allerta. Giorgio Fruscione, politologo e analista dell’Ispi esperto di Balcani, spiega a Fanpage.it le ragioni storiche e politiche delle tensioni tra Belgrado e Pristina.
Intervista a Giorgio Fruscione
Politologo e analista dell'Ispi
A cura di Davide Falcioni
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Raramente negli ultimi 23 anni la tensione tra Serbia e Kosovo aveva raggiunto i picchi degli ultimi giorni. La cosiddetta "guerra delle targhe" della scorsa estate non è stato che un'anticipazione di quello che è avvenuto nelle ultime settimane, con migliaia di cittadini serbi del Kosovo settentrionale che hanno eretto barricate nelle strade, mentre a novembre decine di sindaci di etnia serba e centinaia di agenti di polizia si sono dimessi per protestare contro le politiche "antiserbe" di Pristina.

In questo quadro ieri il governo di Belgrado ha messo l'esercito in stato di massima allerta; dal canto suo l'esecutivo kosovaro ha invitato le forze di pace della Nato ad intervenire e rimuovere le barricate, aggiungendo che se ciò non accadrà si attiverà autonomamente. Il rischio che una nuova guerra deflagri nel cuore dell'Europa è ritenuto alto da molti osservatori internazionali. Ma quali sono le ragioni della crisi tra Serbia e Kosovo? E quali le possibili soluzioni? Fanpage.it ha interpellato Giorgio Fruscione, politologo e analista dell'Ispi esperto di Balcani.

Giorgio Fruscione
Giorgio Fruscione

Quali sono le ragioni storiche delle tensioni tra Kosovo e Serbia?

Potremmo scrivere un libro sulle ragioni storiche del conflitto tra Kosovo e Serbia, ma senza tornare eccessivamente indietro nel tempo e arrivare al mito epico del Kosovo e alla battaglia della Piana dei Merli del 1389 direi di concentrarci sugli ultimi 20 anni (quelli successivi alla guerra del 1998-1999) e sul cosiddetto processo di normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado con gli accordi di Bruxelles del 2013.

Cosa c'era scritto in quegli accordi?

Il documento prevedeva, tra le altre cose, un graduale smantellamento delle istituzioni parallele serbe tramite le quali Belgrado esercitava sovranità nel Kosovo. Questo processo si è ripetutamente inceppato generando puntualmente delle crisi, ad esempio quella delle targhe della scorsa estate dovuta alla volontà serba di mantenere il controllo sulla motorizzazione in Kosovo. La crisi è stata poi superata, ma sono ancora molte le questioni aperte tra Pristina e Belgrado. Insomma, le frequenti tensioni sono provocate da un mix di ragioni storiche, fallimenti diplomatici e per finire dal desiderio sia locale che internazionale di prolungare lo status quo.

Un corteo di cittadini di etnia serba nel nord del Kosovo.
Un corteo di cittadini di etnia serba nel nord del Kosovo.

Perché la minoranza serba non riconosce l’autorità di Pristina?

Il Kosovo viene considerato la "culla" della cultura e dell'identità serba. Belgrado non ne riconosce l'autonomia e ritiene che sia un Paese "fabbricato" dall'Occidente tramite l'intervento Nato del 1999 e il successivo impegno della comunità internazionale a sostegno dell'indipendenza di Pristina.

Cosa chiede la minoranza serba che vive in Kosovo?

Di continuare ad essere padrona della propria identità in tutto e per tutto. Da qui le tensioni con le autorità di Pristina persino su questioni apparentemente superficiali come l'emissione delle targhe. Vorrei però specificare una cosa: l'insieme di ragioni identitarie e storiche è un buon pretesto per quella che in realtà è la vera sostanza, ovvero che la minoranza etnica serba in Kosovo è politicamente manipolata dal partito di governo di Belgrado, in particolar modo dal presidente serbo Aleksandar Vučić, artefice di quanto accade ai serbi del Kosovo sia in positivo che in negativo.

E cosa risponde Pristina alla richiesta di maggiore autonomia da parte della minoranza di etnia serba?

Una premessa indispensabile: ricordo che il Kosovo non è riconosciuto, oltre che dalla Serbia, neanche dai suoi due principali alleati strategici – Cina e Russia – e da circa la metà dei Paesi dell'Assemblea dell'ONU. Il governo kosovaro punta ad esercitare una sovranità piena che dal 2008 è stata costantemente ostacolata da più parti. Lo fa anche violando alcuni punti degli accordi di Bruxelles.

Quali?

Gli accordi prevedevano la creazione – in Kosovo – di un'associazione di comuni a maggioranza serba. Belgrado accusa Pristina di non aver rispettato questo patto siglato nel 2013. L'associazione non garantirebbe grande autonomia politica ai comuni aderenti, ma un buon margine di azione sotto l'aspetto culturale e amministrativo. Parallelamente ci sarebbe un'integrazione di tutti i serbi del Kosovo in tutte le istituzioni centrali.

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Perché la crisi tra Serbia e Kosovo ha subito un'accelerazione negli ultimi giorni?

Belgrado, come da accordi del 2013, vuole costituire l'associazione dei comuni a maggioranza serba in Kosovo. Se domani mattina il governo di Pristina decidesse di dare il via libera alla costituzione di tale associazione teoricamente le barricate verrebbero rimosse immediatamente: è questa la richiesta di chi ha messo i camion di traverso lungo le strade. L'intesa, tra l'altro, rappresenterebbe il primo step per l'istituzione, nel 2023, di un nuovo accordo quadro che potrebbe portare anche a un maggior riconoscimento di Belgrado della sovranità del Kosovo.

La Serbia (alleata di Russia e Cina) ha dichiarato di aver messo l’esercito in stato di massima allerta. La Nato dispone di un contingente (Kfor, a guida italiana) di migliaia di uomini. Si rischia davvero uno scontro?

No, per motivi economici, diplomatici e soprattutto politici: c'è molta più convenienza nel continuare a minacciare l'imminente scoppio di una guerra che nello scatenarla davvero. D'altro canto la Nato ha in Kosovo il suo più ampio contingente al mondo e per la Serbia sarebbe un suicidio attaccarla. Reiterare la minaccia di un conflitto, invece, va a beneficio di entrambe le parti: tutte e due possono continuare ad ergersi a difensori dell'interesse nazionale. Sia Belgrado, che dice di difendere i serbi contro il governo kosovaro che li terrorizza. Sia Pristina, che vuole difendere una sovranità estremamente fragile. La tensione sarà costante ma non degenererà mai in un conflitto tradizionale.

Come si può arrivare a una de-escalation?

Il modo migliore è che la comunità internazionale assuma un ruolo più assertivo, in grado di fare una proposta concreta e accettabile per entrambe le parti in causa. Per troppo tempo nel dossier kosovaro ci si è seduti sugli allori rinunciando a compiere significativi passi avanti, ma puntando semplicemente a mantenere lo status quo e spegnere le periodiche crisi, ad esempio quella delle targhe. Va messo in campo un team di negoziatori che non sia guidato dal capo della politica estera dell'UE Josep Borrell, né da Miroslav Lajčák, rappresentante al dialogo tra Serbia e Kosovo. Entrambi, infatti, provengono da Paesi – Spagna e Slovacchia – che non riconoscono l'indipendenza del Kosovo all'ONU. Poi vanno fatte proposte razionali che accontentino sia Pristina che Belgrado.

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