“Perché Putin sta con Hamas e qual è il suo piano per Israele-Palestina”: parla l’analista russo Suleymanov
Ruslan Suleymanov sostiene che la coincidenza tra il giorno dell’attacco a Israele — il 7 di ottobre — e il compleanno di Putin abbia “un valore simbolico che va oltre la suggestione”. Non ci sono prove che la Russia sia in qualche modo dietro alla carneficina. Ma secondo sue fonti “molti leader europei e di Paesi Nato se ne stanno convincendo”. Anche in Medio Oriente si ripeterebbe l’opposizione tra quello che al Cremlino chiamano “l’Occidente collettivo” e la Russia di Putin, faro del Sud globale e fautore di un “nuovo ordine mondiale” più o meno no-global e anti-liberale.
Secondo l’analista, la “distrazione” della comunità internazionale dalla guerra in Ucraina durerà poco, perché l’offensiva israeliana su Gaza si esaurirà rapidamente e sarà seguita da un cessate il fuoco. Che “non potrà certo avere la Russia come mediatore”. Poi, l’attenzione tornerà al “primo fronte” del “conflitto esistenziale” — anche in questo caso usiamo la terminologia del Cremlino — tra Russia, Usa, Nato e Ue.
Sulemaynov, siberiano di Irkutsk, è attualmente un ricercatore dell’Istituto per lo sviluppo e la diplomazia di Baku, in Azerbaijan. E anche uno degli esperti del think tank Carnegie. Fino al marzo 2022 è stato “spetsialniy korrespondent” in Medio Oriente della Tass, l’agenzia stampa di Stato russa. In pratica, era un inviato speciale residente. Ufficio al Cairo ma sempre in viaggio per coprire le maggiori vicende dell’area. Dal punto di vista russo. Le sue conoscenze e le sue fonti sono probabilmente meno banali di quelle di molti giornalisti occidentali. Per questo Fanpage.it lo ha intervistato.
La Russia è neutrale, nel conflitto tra Israele e Palestina?
Lo era. Ha sempre cercato di ritagliarsi il ruolo di mediatore. Prima tra le fazioni palestinesi, tra Fatah e Hamas. Poi tra tra Israele e Palestina. Ma la situazione è cambiata con l’invasione dell’Ucraina.
In che modo la situazione è cambiata?
Le relazioni del Cremlino con Hamas si sono intensificate. Ci sono state più visite di delegazioni di Hamas a Mosca. E ogni volta è stato enfatizzato il supporto dell’organizzazione alla guerra di Putin contro Kyiv. Mentre le relazioni tra Russia e Israele hanno iniziato ad avere parecchi problemi.
Qualche esempio che testimonia i problemi tra Russia e Israele?
Le affermazioni del ministro degli Esteri russo Lavrov riguardo alle presunte “origini ebree” di Hitler. E quelle di Putin sul background ebreo di Zelensky.
Fino al recentissimo paragone fatto da Putin tra l’assedio israeliano a Gaza e le “tattiche dei nazisti a Leningrado”. Come è percepito tutto questo da Israele?
Molto negativamente. Basti pensare che dopo l’attacco di Hamas non c’è stato alcun contatto diretto tra Putin e Netanyahu. Né tra i loro ministri degli Esteri. Significa che proprio non ci sono argomenti di discussione possibili.
Normalmente, dopo un massacro come quello del 7 ottobre Putin avrebbe espresso le proprie condoglianze al collega israeliano. Gli avrebbe telefonato…
Invece niente. Nemmeno una chiamata. Significa che Israele non vuole un dialogo con Mosca. E non accetta il presidente russo come potenziale mediatore con la Palestina.
Putin si è proposto esplicitamente come tale. Sarebbe credibile, una mediazione russa?
La Russia ha contatti con alcuni leader locali. Come il capo della Lega Araba, recatosi nei giorni scorsi a Mosca per colloqui. Ma niente di più. Putin non ha alcuna possibilità di essere un mediatore in questo conflitto.
Perché?
Negli ultimi anni, ogni volta che la crisi israelo-palestinese si è surriscaldata, a fare da mediatore è stato l’Egitto. La Russia non ha mai svolto un ruolo simile. C’è poi la questione del “Middle East Quartet” composto da Russia, Usa, Eu e Onu. Una formula che avrebbe potuto permettere al Cremlino di partecipare a una mediazione. Ma dopo l’aggressione all’Ucraina non c’è né il desiderio né la possibilità di far rivivere il “quartetto”. Mosca accusa l’Occidente di averlo “sabotato”. Fatto sta che non può mediare da sola. La guerra scatenata contro il suo vicino la squalifica.
L’invasione dell’Ucraina ha anche cambiato la audience a cui la Russia si rivolge: ormai è il cosiddetto Sud globale. Di cui Putin vuole essere il faro. Gaza è diventato un nuovo fronte, dopo l’Ucraina, della guerra per costituire il “nuovo ordine mondiale” anti-occidentale caro a Putin?
È così. Gli schieramenti sono gli stessi: Usa e Ue si dicono pronte a sostenere Israele contro Hamas e al contempo a continuare a sostenere Kyiv sul “primo fronte” di questa guerra. E Mosca sta dall’altra parte: con Hamas e contro Zelensky.
Intanto, si suppone che Putin sia contento perché la carneficina mediorientale distrae l’Occidente dall’Ucraina. Ha davvero di che esser contento?
Momentaneamente sì. Ma questa situazione per lui privilegiata non durerà a lungo. Forse un mese, o poco più. Tanto quanto potrà durare l’offensiva israeliana su Gaza. Poi ci sarà un cessate il fuoco. In tempi brevi. Come sempre succede dopo le escalation di violenza in quell’area. Così, la comunità internazionale tornerà a occuparsi dell’Ucraina. Che resta il maggior guaio nell’arena mondiale.
Tornando ai rapporti tra Israele e Russia. Quanto pesa sul loro deterioramento la posizione ambigua dello Stato ebraico sul conflitto ucraino?
In effetti non è una posizione chiara. Non c’è unità nel Paese, su questo come su altri temi. Lo hanno dimostrato le recenti proteste di piazza. L’opposizione è decisamente pro-Ucraina. Ed è anche per motivi interni che Netanyahu ultimamente non si è più dimostrato un grande amico di Putin. Con sorpresa e dispetto del presidente russo.
Resta il fatto che Israele non ha fornito armi all’Ucraina…
Ma l’impressione è che potrebbe cominciare a farlo. E quando si sono diffuse voci secondo cui sta prendendo in considerazione di dare a Kyiv addirittura il sistema di difesa aerea Iron Dome, inaspettatamente alcuni leader di Hamas sono stati ricevuti a Mosca. Si è trattata di una ritorsione. Magari sono solo voci. Ma hanno fatto imbestialire il capo del Cremlino. Quel che conta è la percezione. Prima, Mosca non aveva relazioni così intense con Hamas. Dopo, si sono infittite e sono diventate più importanti di quelle tenute con altre fazioni palestinesi.
Hamas se ne è uscita con una dichiarazione che non ha precedenti: “Apprezziamo la posizione del presidente Putin sull’aggressione sionista contro il nostro popolo e il suo rifiuto dell’assedio di Gaza, e lo ringraziamo”: è un passo verso una vera e propria alleanza col Cremlino?
È una dichiarazione interessante. Dal giorno dell’attacco a Israele Hamas non ha mai ringraziato nemmeno i suoi alleati storici: né il presidente turco Erdogan né l’emiro del Qatar — che pure ospita i capi dell’organizzazione. Ha ringraziato solo Putin.
Putin è diventato così importante per Hamas?
Ho raccolto molte voci secondo cui la Russia è addirittura dietro l’attacco a Israele. Ma non ci sono prove. Curioso però che l’attacco sia avvenuto nel giorno del compleanno di Putin, il 7 di ottobre.
Ora mi sa che si fa prendere dalla suggestione, Ruslan. Effettivamente qualche precedente può far pensare: Anna Politkovskaya fu assassinata un 7 di ottobre; un 7 di ottobre missili Kalibr lanciati dal Mar Caspio colpirono in Siria a mille chilometri di distanza. Ma esistono anche le coincidenze.
Quel che è certo è che le relazioni con la Russia sono diventate molto importanti per Hamas.
La Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina, ha anche aumentato la sua dipendenza dall’Iran, altro Paese sospettato di coinvolgimento nell’attacco del 7 ottobre.
È vero. Ma la relazione di Mosca con Teheran è molto complessa. Non mancano i malintesi. Nel luglio scorso ci fu una vera e propria crisi diplomatica in seguito a una presa di posizione del Cremlino su una contesa territoriale fra Emirati Arabi e Iran. Per tutta risposta la repubblica islamica affermò di sostenere l’integrità territoriale dell’Ucraina. Ci sono poi discussioni sulle reciproche forniture di armi. Per esempio, su caccia bombardieri russi già pagati e — a quanto pare — mai arrivati. Non va tutto liscio, tra i due Paesi. Anche se cooperano su alcuni obbiettivi comuni.
i diplomatici russi lo chiamano “opportunismo costruttivo”. Lo stesso metodo spesso applicato alle relazioni con Israele. Ma tra il capo del Cremlino e Netanyahu si era anche creato un ottimo rapporto personale. Non c’è più amicizia?
Se paragoniamo il rapporto di Putin con Netanyahu a quello che ha con Erdogan, notiamo che dopo l’invasione dell’Ucraina con il presidente turco il dialogo è continuato. Ci sono stati incontri. Non è successo con Netanyahu. Dicevamo poco fa dei motivi di politica interna. Ma al di là di tutto, Netanyahu ha proprio cambiato il suo giudizio su Putin. Come lo hanno cambiato molti altri leader mondiali. Motivo: l’aggressione a Kyiv. Putin è diventato un appestato, nella comunità internazionale. Erdogan si sente immune, evidentemente. Ma Netanyahu no. E non vuole più esibire rapporti stretti con il capo del Cremlino.
Se Mosca non può ambire realisticamente a un ruolo di mediazione, chi potrebbe mediare in questa tragedia?
Credo che una troika composta da Egitto, Arabia Saudita e Turchia avrebbe qualche possibilità. La partecipazione del Qatar non sarebbe accettata da Israele, visti i rapporti dell’emirato con Hamas e le aspre critiche che arrivano puntualmente da Doha.
Quindi ritiene che la strada per una normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele sia ancora aperta? L’attacco di Hamas non ha reso impossibile l’accordo a cui lavora Washington?
No. Riyad è pronta a riconoscere Israele. E non è mai stata “amica” di Hamas.
Nell’ipotetico terzetto di mediatori ha inserito la Turchia. Ma non dicevamo che Erdogan è ancora amico di Putin?
E non è l’unico ostacolo. Ankara è compromessa con Hamas. Come il Qatar, ospita membri dell’organizzazione. Gli ha concesso passaporti. Al contempo, però, cerca di rendere migliori le relazioni con Israele. All’interno di un negoziato multilaterale, potrebbe avere un ruolo.
E per i palestinesi? Chi dovrebbe sedersi al tavolo?
Non Hamas. Non direttamente, almeno. Dovrebbero partecipare le altre fazioni palestinesi. A partire dallo Stato di Palestina, ovviamente: l’amministrazione di Ramallah deve essere presente. Ma non da sola. Non è sufficientemente rappresentativa.
A proposito: il presidente palestinese Mahmoud Abbas sarà presto a Mosca per colloqui, ha preannunciato Ramallah. Che risultati potrà avere la sua visita?
Nessuno. La visita serve solo a Putin per far vedere che si interessa e che ha contatti con gli attori locali. Ma Abbas da solo conta ormai poco. Non ha il supporto della popolazione, che accusa il suo governo di corruzione e inefficienza. Lo Stato di Palestina potrà esser parte di negoziati solo insieme ad altre fazioni palestinesi.
Una visita ben più clamorosa di cui si parla è quella che potrebbe fare il presidente ucraino Zelensky in Israele. Che significato avrebbe?
Zelensky deve ricordare all’Occidente che la guerra europea continua. Rubare anche per un attimo la scena in questo nuovo teatro sarebbe un’ottima operazione di pubbliche relazioni. Ma la visita in Israele avrebbe anche ripercussioni dirette sulla crisi mediorientale. Perché spingerebbe la Russia sempre più verso Hamas. La vicinanza diverrebbe evidente. Tutto sarebbe definitivamente chiaro agli occhi dei leader europei. Li compatterebbe sia in difesa di Israele che dell’Ucraina. Si rafforzerebbe la coesione della Nato
Stessa alleanza su entrambi i fronti della “guerra per il nuovo ordine mondiale”, come dicevamo…
D’altra parte, sono già molte le cancellerie europee nelle quali si ritiene che Mosca sia dietro l’attacco del 7 ottobre.
Lo dicono le sue fonti? Si va verso un consenso su questo, in Europa?
È quanto ho potuto appurare.
Grazie per l’intervista, Ruslan.
Solo un’ultima cosa: il valore quanto meno simbolico della coincidenza dell’attacco di Hamas con il compleanno di Putin non è da sottovalutare. I simboli per alcuni protagonisti della scena politica internazionale contano. Eccome se contano.