L’aumento complessivo dei voti per le destre estreme, la formazione del nuovo gruppo sovranista nel Parlamento europeo e l’iniziativa diplomatica di Viktor Orban sono ottime occasioni per il Cremlino.
A dispetto dei risultati delle elezioni francesi e qualsiasi piega prendano le trattative per la Commissione Ue, i tre eventi potranno servire a Mosca per esercitare l’opportunismo a cui si ispira la sua politica estera. Volta a dividere i Paesi occidentali. Tra di essi e al loro interno. In ogni modo possibile. A seconda dei diversi sviluppi che possano presentarsi. Qualsiasi essi siano. Possiamo definirlo “opportunismo distruttivo”.
Putin non ha "perso le elezioni francesi"
“Sbaglia chi dice che Putin ha ‘perso’ le elezioni in Francia”, dice a Fanpage.it la politologa Tatiana Stanovaya, direttrice di R.Politik. “Non c’erano vere e proprie forze pro-russe in lizza”. Il Rassemblement national di Le Pen e Bardella ha ormai rivisto le sue posizioni sulla guerra in Ucraina e altri temi cari al regime di Mosca. Putin avrebbe preferito la prevalenza di Marine Le Pen. Ma non fa poi tanta differenza.
Il tifo esplicitato dopo il successo lepenista al primo turno era dovuto al desiderio di veder ridimensionato l’odiato “falco” Emmanuel Macron e di assistere a una invalidante spaccatura tra presidenza della Repubblica e palazzo Matignon. E poi, “nonostante abbia ripudiato il putinismo, il Rassemblement national resta sobrio e pragmatico rispetto alla guerra e ai costi del sostegno a Kyiv”, nota Stanovaya.
Si oppone all’utilizzo di missili occidentali contro obiettivi in Russia e all’invio di soldati in Ucraina. Mica poco. E tra vecchi amici si può sempre tornare a intendersi.
Il Cremlino però non aveva illusioni. Le speranze erano limitate e realistiche. Secondo Tatiana Stanovaya, “Putin vorrebbe avere a che fare con una Francia più pragmatica, che non minacci escalation. Oppure con una Francia nel caos”. Se la prima ipotesi si reggeva sul successo della destra estrema e quindi non è più raggiungibile, la seconda sembra probabile, viste le difficoltà a creare una coalizione di governo.
“Al leader del Cremlino disordini e caos andrebbero benissimo:, non permetterebbero al presidente Macron di implementare la sua politica estera”, conclude la politologa russa.
Ma c’è un altro scenario che uno scienziato politico vicino al regime di Putin, Timofei Bordachev, ritiene possa diventare realtà: “Un governo tecnico, simile a quelli che si sono visti in Italia nel recente passato”. Direttore dei programmi del Valdai Club, la Davos russa, e dirigente accademico dell’Alta scuola di economia, la Bocconi moscovita, Bordachev vede la Francia, per ragioni economiche e sociali, “sempre più vicina al sud europeo, in particolare a Italia e Spagna”. E distanziata dai Paesi del nord, considerati più “ostili” da Mosca.
Multipolarismo e sovranisti utili
Il politologo di Putin tiene a precisare che la sua è solo una constatazione e che la Russia “non avrebbe benefici particolari” se la differenziazione nord-sud si approfondisse fino a includere la Francia in un potente fronte contrapposto ai Paesi nordici dell’Unione. In realtà un simile processo sarebbe ben visto, a Mosca.
Perché romperebbe il fronte franco-tedesco indebolendo le posizioni anti-Cremlino. Più in generale, il Paese di Putin preferisce trovarsi di fronte singoli Stati, o pochi Stati che condividano interessi particolari, piuttosto che un blocco coeso con vasti interessi comuni. “Noi vogliamo trattare con i singoli, non con gli strumenti burocratici di interessi generali o superiori che non esistono”, ha spiegato Bordachev a Fanpage.it.
Si chiama multipolarismo. Fa parte dell’ideologia del regime russo e Putin lo rivendica come fondamento della sua politica estera. È l’opposto del multilateralismo, che promuove regole e istituzioni comuni tra gli Stati. Partendo dall’osservazione che le decisioni unilaterali e le azioni bilaterali sono spesso all’origine di guerre, minano la crescita delle economie e creano povertà.
Il multipolarismo “alla russa” prevede che ci siano Paesi meno multipolari degli altri, parafrasando Orwell. Come l’Ucraina, che deve avere come suo unico polo il vicino che l’ha invasa.
La premessa per il multipolarismo in politica internazionale è il sovranismo dei singoli Stati. Come il multipolarismo, il sovranismo somiglia al nazionalismo, che ha bisogno di nemici esterni, crisi e guerre per conquistare consenso. La differenza è che, seppur con precise posizioni internazionali anti-Nato e no-global, per il sovranismo il nemico di elezione è interno.
I sovranisti sono anti-sistema per definizione. In Europa, ritengono che la Commissione di Bruxelles favorisca l’economia della Germania e l’immigrazione. Le istituzioni Ue sono il “sistema”. Quindi, il nemico.
Il ruolo di Orban
Premesso quanto sopra, è ovvio che il nuovo gruppo sovranista di estrema destra Patrioti per l’Europa, creato dal premier ungherese Viktor Orban nel Parlamento Ue, è per sua natura filoputiniano. Non potrà che favorire la politica del Cremlino.
Infatti, il partito polacco Legge e Giustizia (Pis) dell’ex premier di destra Mateus Morawiecki ha detto di no all’invito a farne parte: tutto si può chiedere ai polacchi fuorché di schierarsi con la Russia. Hanno detto sì, invece, la Lega di Matteo Salvini, il Rassemblement national — il cui leader Bardella presiederà il gruppo — il partito ceco Ano dell’ex premier Andrej Babis e gli spagnoli di Vox, cari a Giorgia Meloni. In tutto, 84 eurodeputati. La terza forza dell’emiciclo. Il generale Vannacci sarà uno dei vicepresidenti.
Alla formazione del nuovo gruppo parlamentare, Orban ha abbinato la sua diplomazia unilaterale. Che intanto permette a Vladimir Putin di vantare una sorta di riabilitazione internazionale. E che in futuro, a seconda di come andranno le elezioni in America e degli equilibri in Europa, potrebbe ritagliare davvero per il leader ungherese un ruolo di mediatore per la pace. Oppure rafforzarne il ruolo nel fomentare la stanchezza occidentale per l’aiuto a Volodymyr Zelensky. In entrambi i casi, sarebbe un “ippon” — il massimo del punteggio per una mossa vincente nel judo — per il leader del Cremlino.
Orban è il presidente di turno del Consiglio europeo, da cui non aveva alcun mandato per le visite a Kiyv, Mosca e Pechino. E poi a Mar-a-Lago per riferire all’amico Donald Trump. A Bruxelles si è aperto un "caso Budapest". Si ritiene sia stato violato il principio di leale collaborazione e danneggiata l'unità dell’Ue. In teoria, nei confronti dell’Ungheria potrebbe scattare l’articolo 7, che di fatto prevede l’espulsione dall’Unione. Per ora si è solo lanciato un avviso.
“Il premier ungherese è l’unico leader occidentale che parla regolarmente con Putin e con Trump”, nota Alexander Baunov, ex diplomatico russo in forza al think tank Carnegie Russia Eurasia. “Come presidente del Consiglio Ue, Orban inviterà il candidato repubblicano alle presidenziali Usa a un summit europeo”, prevede l’esperto.
Se poi Trump vincesse le elezioni, “l’uomo di Budapest diventerebbe l’intermediario chiave in un negoziato di pace per l’Ucraina, incrementando il suo prestigio e quello del suo amico americano”. È ovvio che tali negoziati privilegerebbero Mosca.
“Putin è un judoka, non un giocatore di scacchi”
Baunov ricorda come Orban aiutò la Russia a ristabilire i contatti con l’Occidente dopo l’annessione della Crimea e l’interferenza militare che scatenò la guerra nel Donbass. Fu il primo leader occidentale a visitare Mosca dopo i fatti del 2014. In un paio d’anni, i rapporti con l’Ue erano tornati quelli pre-annessione. Nonostante le sanzioni.
Putin e Orban cercano di replicare quel successo. “La Russia con la visita di Orban vede segnali di una riabilitazione diplomatica”, sostiene Baunov. Al tempo, il processo di riavvicinamento fu aiutato da cambiamenti al vertice delle democrazie liberali. Cosa che potrebbe ripetersi oggi, se Trump tornasse alla Casa Bianca.
Se poi il tycoon perdesse le elezioni, al Cremlino non si fascerebbero la testa. Cadrebbe ogni incentivo a negoziare e si tirerebbe per le lunghe la guerra, contando sulla presunta mollezza dell’Occidente e sulla sua stanchezza alimentata dai sovranisti utili alla causa. Basterebbe aspettare l’inaridimento del flusso di aiuti a Zelensky. Lenta e ineluttabile, seguirebbe la vittoria militare russa.
Ancora una volta, Vladimir Putin attende l’evolversi della situazione. Non ha strategie predefinite e aspetta l’occasione per una mossa fulminea che sbilanci l’avversario. Magari utilizzando la sua stessa forza. Tutte le occasioni sono benvenute. Si tratta di osservare l’evoluzione degli eventi e sfruttare al meglio quel che si presenta.
La forza delle destre europee resta un’occasione foriera di sviluppi. I “Patrioti d’Europa” sono un punto debole dell’avversario. Intanto, del gruppo parlamentare fa parte un alleato di governo di quella Meloni recentemente incaponitasi con l’atlantismo. Potrebbero esserci evoluzioni. E allora si deciderà che fare. Orban è visto come un potenziale peacemaker, “ma solo se si verificano particolari circostanze”, spiega Alexander Baunov. E se non si verificano, l’ungherese resta comunque un asset da utilizzare.
“Putin è un judoka, non un giocatore di scacchi”, ha scritto l’accademico britannico Mark Galeotti.
È un opportunista, più che uno stratega. Nei primi dieci anni al potere ha cercato di costruire. Adesso, punta a dividere e distruggere. Le ragioni del cambiamento sono soprattutto di politica interna e riguardano l’auto-conservazione delle élite in quello che lo stesso politologo putinista Dmitry Trenin ha definito “un regime plutocratico che non si è mai fatto Stato”.
Ci sono poi le ragioni di politica internazionale. Colpa anche dell’Occidente, che — con poche eccezioni — la Russia l’ha sempre capita poco. E che di occasioni per esercitare il suo opportunismo distruttivo al judoka Putin continua a fornirne parecchie.
Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.