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Guerra in Ucraina

Perché Putin potrebbe davvero usare le armi nucleari e quali sono i rischi che corriamo

Sul campo la situazione è critica per la Russia con l’esercito ucraino che continua ad avanzare. Ecco cosa rischia il mondo in caso di un attacco nucleare da parte di Putin.
A cura di Daniele Angrisani
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"Per la prima volta dalla crisi dei missili cubani, affrontiamo la minaccia concreta di uso delle armi nucleari”. Queste sono le parole espresse dal Presidente americano Joe Biden durante una cena per la raccolta di fondi per i candidati democratici alle prossime elezioni di medio termine di novembre.

Il Presidente americano ha aggiunto che conosce abbastanza "bene" il suo omologo russo Vladimir Putin e crede perciò che "non stia scherzando" quando parla della possibilità di utilizzare armi di distruzione di massa (nucleari tattiche, biologiche o chimiche), visto che, al momento, "le sue Forze Armate, se così si può dire, sono significativamente inferiori" in Ucraina, rispetto all’esercito ucraino.

Allo stesso tempo, Biden ha osservato che è impossibile iniziare ad usare armi nucleari, fossero anche ‘solo’ tattiche, senza finire direttamente nell’incubo dell’"Armageddon" nucleare, ovvero il rischio di una devastante guerra nucleare tra le due superpotenze mondiali.

Le nuove affermazioni di Biden sono arrivate dopo che il presidente russo Vladimir Putin ha ripetutamente minacciato (pur senza nominarlo direttamente) l’uso di armi nucleari, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

L’ultima volta è stato durante il suo discorso del 21 settembre, quando ha annunciato l’annessione dei territori ucraini occupati e la “mobilitazione parziale”. In tale occasione, Putin ha esplicitamente detto che la Federazione Russa è pronta a utilizzare "tutti i mezzi disponibili… in caso di minaccia all'integrità territoriale del nostro Paese, per proteggere il nostro popolo". Poi ha aggiunto: “e non sto scherzando”.

Ma quanto è probabile l’uso delle armi nucleari tattiche da parte russa e cosa potrebbe effettivamente comportare tale utilizzo? Vediamolo assieme.

Il nucleare diventerà una opzione solo se fallisce la mobilitazione

Al momento, la situazione sul campo resta estremamente critica per i russi, con gli ucraini che continuano ad avanzare su almeno due direzioni – nel nord della regione di Luhansk e nel nord della regione di Kherson, dove nell’ultima settimana ci sono stati i movimenti principali.

Inoltre, stando a diverse fonti il comando ucraino si starebbe preparando ad aprire un nuovo fronte nella regione di Zaporozhye con l’obiettivo di liberare Melitopol e Berdyansk e tagliare così in due il corridoio terrestre che collega la Crimea alla Federazione Russa. Si tratterebbe, nel caso di successo, di un vero e proprio colpo del ko per le chance russe di mantenere il controllo dei territori occupati e recentemente illegalmente annessi.

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Da parte sua, in attesa che la mobilitazione porti a qualche risultato concreto, il comando russo spera nel "Grande Fango" in arrivo, che dovrebbe rendere molto più complesse le future avanzate ucraine visto che i campi e le strade diventeranno a quel punto più difficili da percorrere con i mezzi blindati.

Ma anche il meteo sembra essere dalla parte di Kyiv: le piogge non inizieranno prima del 20 ottobre in direzione di Kherson, e non sono previste piogge serie prima del 19 neppure nella zona di Svatovo nel nord della regione di Luhansk. Quindi gli ucraini hanno ancora una congrua finestra temporale da usare per proseguire l'offensiva.

L'obiettivo del comando ucraino è duplice: a sud liberare tutta la regione di Kherson sulla riva destra del Dnjepr, compresa la città di Kherson, e, nel nord est, liberare tutti gli insediamenti della regione di Luhansk occupati dopo il 24 febbraio, vale a dire Svatovo, Starobelsk, Shchastye, Severodonetsk e Lysychansk.

Ciò permetterebbe agli ucraini di ottenere un importantissimo risultato: raggiungere la vecchia linea di contatto prima del 24 febbraio ed allo stesso tempo azzerare tutti i guadagni territoriali ottenuti nel Donbass dai russi a caro prezzo durante l’offensiva estiva.

Per cercare di fermare l’avanzata ucraina prima dell’arrivo del “Grande Fango”, i russi hanno iniziato da subito ad inviare in prima linea a Luhansk anche una parte di coloro che sono stati mobilitati nelle ultime settimane. Trattandosi in molti casi di soldati inviati al fronte senza praticamente nessun addestramento, si sono anche moltiplicati i casi di resa.

Il punto è che la efficacia di queste nuove truppe in combattimento, per usare un eufemismo, è quantomeno molto discutibile, ed è improbabile che queste tattiche disperate possano consentire ai russi di poter migliorare la situazione velocemente.

Il dato di fatto è che, al momento, l'Ucraina ha una risorsa a disposizione che manca disperatamente alla Russia: 400.000 soldati con esperienza di combattimento e bene armati già schierati sul campo, oltre a molti altri in fase di addestramento in Occidente pronti ad essere schierati al fronte come riserve se necessario per rafforzare la capacità di penetrazione nel territorio nemico.

Questa situazione favorevole a Kyiv, almeno teoricamente, potrebbe non durare a lungo: la Russia, infatti, ha una capacità potenziale di mobilitazione molto più elevata di quella dell’Ucraina, fosse solo per la sua popolazione in età militare.

Come afferma Igor Kurtukov, storico militare russo, dal punto di vista strettamente militare “se la Russia fosse davvero in grado di schierare ed armare una forza tre volte superiore, gli ucraini avrebbero ben poche chance di farcela. L'unica speranza, che però non è infondata, è che la Russia non sia in grado di farlo”.

Permane molto scetticismo, infatti, sulla possibilità che la mobilitazione annunciata da Putin abbia davvero successo. Non passa giorno che non venga riportata la morte di qualche soldato mobilitato “per suicidio” nei vari campi di addestramento del Paese. Inoltre, continuano a circolare video di soldati mobilitati in situazioni difficili, costretti a dormire per terra o che si lamentano di mancanza di cibo e beni di primaria necessità.

Tutto ciò, ovviamente, non può che impattare negativamente sul loro morale anche prima di essere schierati sul campo di battaglia. Non per nulla l’Ucraina ha deciso di approfittare di questa situazione istituendo una hotline apposita per consentire a coloro che sono stati mobilitati di poter arrendersi immediatamente non appena schierati in Ucraina. La hotline in oggetto ha un nome che da solo è un programma: “Voglio vivere”.

Se la situazione continuasse a peggiorare nonostante la “mobilitazione parziale”, prima di arrivare alle atomiche Putin avrebbe comunque a disposizione altre opzioni: ad esempio potrebbe anche dichiarare la guerra totale e una vera e propria mobilitazione generale, mettendo l’intera economia del Paese al servizio dello sforzo bellico, 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Dopo tutto, si tratta di ciò che aveva già fatto a suo tempo l’Unione Sovietica nel 1941 quando era stata invasa dai nazisti. Ma ora la situazione è ben diversa: sono i russi ad invadere un altro Paese. Di conseguenza, è estremamente difficile poter ottenere lo stesso grado di mobilitazione popolare condotta dall’Unione Sovietica durante quella che ancora oggi i russi definiscono la “Grande Guerra Patriottica”.

Uno dei problemi a cui la Federazione Russa andrebbe incontro in questo ultimo caso è, inoltre, l’impatto che l’immensa massa di mobilitati avrebbe sulla stabilità politica del Paese: “Questa massa di persone ha bisogno di essere nutrita, trasportata. La mobilitazione continua è proprio ciò che ha portato alle rivoluzioni in Russia all'inizio del XX secolo”, fa notare Kirill Mikhailov di Conflict Intelligence Team (CIT).

Tutto questo porta inevitabilmente verso una conclusione: se la mobilitazione (parziale o generale) non dovesse funzionare, e senza la possibilità di espandere ulteriormente la propria capacità militare con metodi convenzionali, per Mosca si aprirebbe la possibilità di usare la carta nucleare come metodo estremo per cambiare a suo favore la situazione sul campo di battaglia. Questo però non significa che avverrà per forza.

La dottrina nucleare russa sull’uso delle armi nucleari

Il principale documento pubblico sulla dottrina nucleare russa è i "Fondamenti della politica statale russa sulla dissuasione nucleare", che definisce le condizioni sulla base delle quali la Russia potrebbe decidere di usare armi nucleari.

Tale uso è previsto in due casi in particolare:

  • Un attacco di rappresaglia nucleare, ad esempio in risposta al lancio di missili balistici contro il territorio russo e/o di un Paese alleato, all’uso di armi nucleari in quei territori, ed in generale a qualsiasi attacco, anche non nucleare, che potrebbe mettere a repentaglio la capacità russa di usare il proprio arsenale nucleare;
  • Una risposta nucleare a una guerra non nucleare, definita nella vaga formulazione di "aggressione contro la Federazione Russa con armi convenzionali, in cui è minacciata l'esistenza stessa dello Stato", che lascia il più ampio margine di interpretazione, ovvero mani libere alle autorità russe per determinare quando tale fattispecie possa essere invocata.
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In entrambi i casi, la decisione di utilizzare le armi nucleari spetta sempre in ultima istanza al Presidente russo.

Le armi nucleari sono generalmente considerate da Mosca come una parte fondamentale della dottrina militare complessiva del Paese, a differenza degli Stati Uniti. L’esercito russo, infatti, considera l'arsenale nucleare (principalmente quello tattico e non strategico) come il principale asso nella manica da usare contro le armi ad alta tecnologia dell'Occidente.

Nella dottrina militare russa, il fattore principale dell’uso di armi nucleari è considerato l’impatto psicologico sul nemico, ossia la dimostrazione della determinazione all'escalation fino alla cessazione di un'ipotetica aggressione contro il territorio russo, o la conclusione di una pace "a condizioni soddisfacenti per la Russia".

Viste queste premesse, l’uso diretto delle armi nucleari per raggiungere obiettivi militari passa in secondo piano. È la minaccia stessa del loro utilizzo ad essere il primo passo della cosiddetta “scala di deterrenza”, che Putin ha già iniziato a salire con le sue recenti minacce.

Occorre riconoscere, però, che l'interpretazione di ciò che viene descritto nei documenti ufficiali (ad esempio i "Fondamenti" di cui abbiamo parlato prima) deve essere fatta con estrema cautela, poiché tali documenti sono scritti principalmente per intimorire potenziali avversari e nascondono più di quanto vogliano dire.

Va inoltre aggiunto che l'intero sistema, così come concepito dagli strateghi militari, si basa su uno scenario di guerra difensiva – dove non ci sono dubbi su cosa sia o meno un obiettivo da difendere con un'escalation.

Non è chiaro come una tale strategia difensiva possa essere "ridisegnata" in una guerra di aggressione che comporti la conquista di nuovi territori, come quella in Ucraina. Né è chiaro come i vertici russi intendano interpretare esattamente la dottrina nucleare russa in questa nuova realtà.

Quali potrebbero essere gli obiettivi di un attacco nucleare russo in Ucraina?

Al momento, nonostante le minacce espresse da Putin, l'uso di armi nucleari tattiche in Ucraina resta uno scenario improbabile nell'immediato. Partiamo da questo presupposto: se Putin avesse già deciso in questo senso, non avrebbe preso la strada della mobilitazione. Invece, nonostante i rischi politici legati a questa scelta, ha deciso comunque di farlo.

In secondo luogo, sarebbe difficile per i russi trovare obiettivi adeguati all’uso di armi nucleari tattiche, perlomeno che valgano la pena di essere colpiti, considerato anche il costo, politico e umano, dell’utilizzo di tali armi.

È difficile, infatti, che le armi nucleari tattiche possano fare molta differenza sul campo. Per poter impadronirsi dei territori ufficialmente annessi dalla Russia, Mosca dovrebbe probabilmente usare centinaia di testate nucleari tattiche, che avrebbero la ovvia conseguenza di contaminare il territorio in cui si vuole combattere e che si vuole conquistare.

Non ci sono state molte esercitazioni in cui le truppe russe hanno imparato ad attaccare dopo un attacco nucleare. E se, come dimostra la mobilitazione in corso, ci sono già problemi a trovare dei normalissimi giubbotti antiproiettile, figuriamoci nel caso si dovesse far indossare a tutti i soldati le tute di protezione radiobiologica.

Buona parte degli esperti, piuttosto, concorda sul fatto che l'obiettivo principale di un ipotetico attacco nucleare tattico dovrebbe essere piuttosto la dimostrazione della determinazione di principio a usare tali armi, il che è pienamente coerente con la dottrina nucleare della Russia come abbiamo visto.

A tale scopo potrebbe bastare un attacco nucleare in un'aerea disabitata, come ad esempio, un singolo attacco sul Mar Nero o nelle foreste al confine con l’Ucraina, per instillare il terrore non solo nei cuori degli ucraini, ma anche in quelli dei Paesi loro alleati.

Un obiettivo del genere, ad esempio, potrebbe essere l’Isola dei Serpenti, un avamposto del Mar Nero conquistato dalla Russia all'inizio della guerra e da allora riconquistato dagli ucraini e diventato un simbolo della resilienza di Kyiv.

Ma altri analisti dubitano che questa strategia possa avere successo, a causa della sua sostanziale inutilità dal punto di vista militare e del fatto che un uso del genere potrebbe avere l’effetto contrario a quello desiderato: invece di intimorire, dimostrerebbe che la Russia non ha il coraggio di usare fino a fondo il proprio arsenale nucleare.

Alternative potrebbero dunque essere quelle di colpire strutture infrastrutturali civili di primo piano come centrali elettriche non nucleari, centri amministrativi (politici), aeroporti civili, ponti stradali e ferroviari, porti, strutture economiche chiave, industrie importanti del complesso militar-industriale, media e strutture informative.

Obiettivi militari più specifici potrebbero invece essere centri di comando e controllo, le risorse aerospaziali, i principali centri di comunicazione, i sistemi di intelligence, di puntamento, di navigazione e di elaborazione delle informazioni, nonché le sedi dei veicoli di lancio di missili balistici e missili cruise.

Anche con questi target, non tutti sono convinti dell’efficacia di un tale attacco. Secondo Matthew Kroning, un esperto militare americano, una tale mossa potrebbe consentire alla Russia di raggiungere rapidamente i suoi obiettivi ed “infliggere un duro colpo alle Forze Armate ucraine”.

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Ma altri analisti come Lawrence David Friedman, storico e scrittore accademico britannico specializzato in politica estera, relazioni internazionali e strategia, non sono d’accordo con questa visione. Secondo lui nelle guerre odierne non ci sono abbastanza concentrazioni di forze su larga scala, caratteristiche piuttosto delle guerre del XX secolo, e quindi l'uso di armi nucleari tattiche ha poco senso dal punto di vista militare.

"Trovare un obiettivo utile per utilizzare le armi nucleari in tali condizioni sarebbe difficile. Considerando quanto piccolo sarebbe il risultato ottenuto, è sicuramente uno strano modo di iniziare una guerra nucleare”, afferma.

Un'altra possibilità potrebbe essere un'esplosione ad altissima quota di un'arma più potente sui cieli dell'Ucraina stessa. In un test del 1962, gli Stati Uniti fecero esplodere una bomba H da 1,4 megatoni nel mezzo del Pacifico, a 400 km sopra la Terra.

L'impulso elettromagnetico che ne derivò mise inaspettatamente fuori uso i lampioni e interruppe il servizio telefonico alle Hawaii, distanti 1.500 km circa.

Un'esplosione altrettanto potente sopra il cielo Kyiv non sarebbe solo visivamente spettacolare, ma probabilmente farebbe sprofondare la capitale in un'oscurità e in un silenzio prolungati, mettendo in cortocircuito computer, telefoni cellulari e altri dispositivi elettronici: si parla in questo caso di NEMP, l’acronimo inglese di “impulso elettromagnetico nucleare”.

Gli effetti del NEMP però potrebbero estendersi anche ai vicini Paesi membri della NATO, rischiando così di scatenare una escalation non desiderata. Inoltre, l'entità dei danni causati dall'impulso elettromagnetico è imprevedibile e potrebbe impattare anche le comunicazioni russe delle regioni al confine con la Russia, che sono così fondamentali per gestire le operazioni sul campo.

In sintesi, è molto più facile minacciare l’uso di queste armi che trovare degli obiettivi efficaci che possano in qualche modo aiutare concretamente i russi a vincere questa guerra.

La possibile reazione dell’Occidente e il rischio escalation

Una cosa è certa: l'uso di armi nucleari tattiche da parte russa rappresenta un enorme rischio per i russi anche perché costringerebbe sia l’Occidente che il resto del mondo a reagire in maniera estremamente negativa per Mosca.

La resistenza di successo dell’Ucraina è stata finora basata in buona parte sul sostegno che Kyiv gode a livello internazionale tra i Paesi occidentali. Ma finora, i Paesi africani e asiatici sono stati molto più freddi ed hanno cercato di mantenere una posizione il più possibile neutrale tra i due guerreggianti.

L’uso di armi nucleari tattiche da parte di Mosca, il primo di armi nucleari in una zona di guerra dal 1945, potrebbe cambiare radicalmente l’equilibrio mondiale.

Molti Stati che ora continuano a collaborare in qualche modo con la Russia (India e Cina in primis), quasi certamente carcererebbero di prendere le distanze da Mosca dopo un atto del genere, perché l'uso di armi nucleari è probabilmente il più grande tabù della politica internazionale di oggi. La conseguenza sarebbe quanto meno quella di inasprire pesantemente l’isolamento internazionale della Russia.

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L’altro punto da tenere in considerazione è che, secondo molti esperti, a quel punto anche l'Occidente sarebbe in qualche modo costretto a rispondere. Dall'inizio dell'invasione su larga scala da parte russa in Ucraina, i membri dell'Amministrazione Biden hanno ripetutamente parlato in pubblico delle possibili conseguenze dell'uso di armi nucleari tattiche in Ucraina da parte della Russia.

Ad esempio, in un'intervista del 17 settembre alla CBS, Biden aveva già intimato a Putin di non fare un passo del genere in nessun caso. "Non farlo, non farlo, non farlo. Cambierebbe radicalmente il volto della guerra", ha risposto.

Tutti gli avvertimenti lanciati finora dagli Stati Uniti e dai suoi alleati sono però di natura generale, cioè non rivelano le misure specifiche che verrebbero adottate nell'eventualità dell'utilizzo di armi nucleari.

Oltre agli avvertimenti pubblici, le parti si sono scambiati anche messaggi più specifici attraverso canali chiusi, cosa che, se si deve credere alle fonti della Casa Bianca riportate dal Financial Times, è avvenuta ripetutamente dall'inizio della guerra.

Si tratta in entrambi i casi di una strategia deliberata che lascia all'Occidente abbastanza margine di manovra senza obbligare a comportarsi in modo "predefinito" in caso di uno sviluppo negativo degli eventi.

L'aspetto negativo di tali minacce è però lo stesso di quello positivo: non responsabilizzano gli Stati Uniti e i loro alleati per non aver risposto con decisione. Tuttavia, la retorica attuale costringe anche Mosca a dover calcolare la probabilità delle minacce occidentali, compreso nello scenario peggiore, ed a tenerne conto in tutte le sue scelte.

Quasi tutti gli esperti concordano sul fatto che gli Stati Uniti e i propri alleati dovrebbero rispondere militarmente ad un attacco nucleare tattico russo in Ucraina, ma senza usare a sua volta armi atomiche.

Ad esempio, Sam Nunn, ex senatore statunitense e cofondatore dell'associazione no-profit Nuclear Threat Initiative, citato da The Atlantic, ritiene che le armi nucleari debbano essere solo uno strumento di ultima istanza. Nunn sostiene quindi che “se la Russia colpisse l'Ucraina con un missile cruise a testata nucleare lanciato da una nave… gli Stati Uniti debbano affondare immediatamente quella nave".

Anche l'ex consigliere di Biden Colin Kahl, ritiene che una rappresaglia nucleare "sarebbe un errore enorme che priverebbe gli Stati Uniti della superiorità morale". Secondo Kahl, sarebbe molto più efficace rispondere con un attacco convenzionale e far rivoltare l'opinione pubblica mondiale contro la Russia per aver violato il tabù nucleare.

Anche l'ex Segretario alla Difesa statunitense William Perry è sulla stessa linea: “Se gli Stati Uniti riceveranno informazioni di intelligence secondo cui la Russia si sta preparando a usare armi nucleari, tali informazioni dovranno essere rese pubbliche immediatamente.

E se la Russia le dovesse davvero usare, gli Stati Uniti dovrebbero chiedere una condanna internazionale, fare più rumore possibile enfatizzando la parola ‘nucleare' ed intraprendere un'azione militare, con o senza gli alleati della NATO. La risposta dovrebbe essere forte, mirata e convenzionale, non nucleare.

L'attacco dovrebbe essere limitato all'Ucraina, idealmente agli obiettivi associati allo specifico attacco nucleare. La ‘scala di escalation' deve essere percorsa con i passi più piccoli possibili, ma deve avere un effetto profondo e significativo”.

Il problema, come ammette lo stesso Perry, è però il rischio di una escalation incontrollata: “Se Putin si dovesse vendicare usando di nuovo le armi nucleari, allora ci si può anche ‘togliere i guanti' e, per esempio, distruggere completamente le Forze Armate russe in Ucraina – cosa che gli Stati Uniti possono fare facilmente con le armi convenzionali”.

"Solo per fare un'ipotesi", ha confermato separatamente anche l’ex generale David Petraeus, la NATO sarebbe in grado "di eliminare ogni forza convenzionale russa che possiamo vedere e identificare sul campo di battaglia in Ucraina e anche in Crimea e ogni nave nel Mar Nero".

David Petraeus
David Petraeus

A quel punto, è facile immaginare che nulla più vieterebbe alla leadership russa di invocare il principio della “minaccia esistenziale” e procedere a sua volta con una rappresaglia nucleare contro le forze americane. Torniamo dunque al rischio Armageddon che permane sullo sfondo di tutti questi scenari.

Esistono, però, anche voci contrarie ad un intervento militare occidentale nel caso di uso di armi nucleari tattiche in Ucraina: ad esempio quella di Jason Willick, che ha scritto un editoriale sul Washington Post proprio su questo argomento.

Come osserva Willick, la guerra nucleare è "l'unico livello in cui la Russia gode della parità con gli Stati Uniti". Ogni escalation potrebbe dunque portare sempre più vicino alla distruzione totale tra la Russia e l'Occidente.

Inoltre, secondo Willick anche l’argomentazione secondo cui una mancata risposta NATO ad un attacco di questo tipo su territorio ucraino comporterebbe la perdita di credibilità per l’Occidente, non regge: “I Paesi membri della NATO restano coperti dall'ombrello nucleare americano, così come gli alleati asiatici come Australia, Giappone e Filippine. La credibilità di queste garanzie non sarebbe in gioco”.

Infine, per Willick “la Cina è una minaccia strategica per gli interessi strategici degli Stati Uniti maggiore di quanto lo sia la Russia”, e la decisione di non intervenire in Europa non bloccherebbe Washington dal farlo nel caso di una invasione di Taiwan che Willick considera molto più rilevante per l’equilibrio dei poteri nel Pacifico, il vero centro di interesse della politica americana in futuro.

Una cosa è certa: lo sapremmo in anticipo

“Nel caso in cui Putin decidesse davvero di attaccare l'Ucraina con armi nucleari tattiche, queste dovranno essere rimosse da un silos definito ‘Object S' – come Belgorod-22, a soli 25 miglia dal confine ucraino – e da qui trasportate nelle basi militari”, afferma The Atlantic in una sua analisi incentrata sul possibile uso di armi nucleari tattiche da parte di Mosca in Ucraina.

Ci vorrebbero ore già solo per rendere le armi pronte al combattimento, inserire le testate nei missili cruise o balistici e caricare le bombe nucleari sugli aerei. Gli Stati Uniti molto probabilmente osserveranno il movimento di queste armi in tempo reale: tramite sorveglianza via satellite, telecamere nascoste lungo la strada, agenti locali.

Questo è reso ancora più semplice dal fatto che la Russia, da parte sua, non avrebbe neppure alcun incentivo a nascondere questi preparativi. Se l'idea è, infatti, quella di inviare il segnale che si è pronti a un'escalation (come nel caso di uno scenario di “dispiegamento di testate multiple”), lo sta facendo consapevolmente e desidera quindi che tale segnale sia il più visibile possibile.

Allo stesso tempo anche i Paesi occidentali avrebbero tutto l’interesse a rendere pubblici i preparativi in corso, in modo tale da consentire alla diplomazia internazionale di muoversi e fare pressione su Mosca prima che sia troppo tardi.

Incidentalmente questo è anche il motivo per cui è possibile dire, con un alto grado di certezza, che al momento in cui viene scritto questo articolo non ci sono indicazioni concrete del fatto che la Russia abbia già preso tale decisione o che un attacco del genere sia imminente.

Tuttavia, questa guerra sarà probabilmente ancora molto lunga ed ha già ampiamente dimostrato di potersi svolgersi in maniera del tutto imprevedibile. Poiché le parti hanno obiettivi diametralmente opposti, nessuna iniziativa di pace ha concrete possibilità di funzionare nel prossimo futuro.

Il problema è che dopo l’annessione dichiarata la settimana scorsa Putin ha bruciato tutti i ponti, e non può più fare passi indietro. Allo stesso tempo per Kyiv è totalmente inconcepibile accettare una proposta di pace che preveda per loro la possibilità di perdere tutti questi quattro territori.

È da tenere, però, in conto anche il fatto che la mobilitazione infliggerà quasi sicuramente un duro colpo all'economia russa. Se al fronte venissero richiamate davvero 300 mila persone (circa lo 0,9% dei 33,9 milioni di uomini di età compresa tra 20 e 55 anni), ciò avrà un impatto fortemente negativo peggiorando il calo del PIL già in atto.

La mobilitazione e la fuga di massa dei russi a causa della minaccia della coscrizione militare probabilmente ridurranno anche la domanda interna nell'economia – e questo effetto sarà rapidamente sentito anche dal settore del commercio, con possibili cali a due cifre delle vendite al dettaglio nei prossimi mesi.

Infine, la mobilitazione significherà anche un aumento cospicuo delle spese di bilancio supplementari per necessità militari, contemporaneamente ad una riduzione della riscossione delle entrate, con conseguente aumenti del deficit di bilancio per i prossimi anni, nonostante gli alti prezzi delle materie prime energetiche.

Anche se le conseguenze politiche di tutto questo non sono certamente paragonabili a quelle di una sconfitta militare in Ucraina, la degradazione delle prospettive economiche russe, già in difficoltà dopo le sanzioni imposte dall’Occidente, ed in particolare quelle sulla vendita di petrolio che entreranno in vigore a dicembre, non può essere certo sottovalutata dalle autorità russe.

A lungo andare, perciò, per Mosca questa guerra potrebbe diventare impossibile da continuare anche solo per mancanza di risorse e questo potrebbe aumentare le pressioni su Putin per porre fine a questa guerra in un modo o nell’altro.

In questo contesto, e posto di fronte al concreto rischio di un collasso economico e militare ed all’alto rischio di una conseguente escalation nucleare in caso contrario, non si può certo escludere che ad un certo punto l’establishment politico e militare russo possa finalmente decidere di porre un freno al presidente russo Vladimir Putin.

Le conseguenze di una escalation nucleare sarebbero d’altronde catastrofiche sia per il futuro della Russia che per il resto del mondo, ed è interesse di tutti evitare il peggio. La speranza è che le forze della ragione (e l’istinto di sopravvivenza) possano avere il meglio, prima che sia troppo tardi.

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Daniele Angrisani, 43 anni. Appassionato da sempre di politica internazionale, soprattutto Stati Uniti e Russia. 
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