Perché Putin non ha ancora arrestato Prigozhin (e non lo arresterà mai)
Uno il golpe contro Putin l’ha fatto, seppure a metà. Eppure è libero, può viaggiare, ha mantenuto il suo patrimonio e si trova in Bielorussia da dove insieme ai suoi mercenari promette futuri sfracelli. L’altro il golpe l’aveva solo evocato, ma l’hanno messo in galera per “estremismo”. Le vicende di Yevgeny Prigozhin e di Igor Girkin, nom de guerre Strelkov, si intersecano e si dividono nel gioco di specchi della realtà russa. Il Cremlino ha inaugurato la purga degli ultra-nazionalisti critici del regime. Ma ne tiene fuori l’uomo in teoria più pericoloso. Perché Prigozhin può ancora far comodo, in un Paese ormai assuefatto all’illegalità e alla violenza. E che per la sua politica e le sue guerre ha bisogno di persone fuori dall’ordinario, se non di veri criminali — spiegano alcuni osservatori. Lo dimostra il ruolo della Wagner nel contrasto che lo zar sta alimentando con la Polonia. La purga riguarda gli strombazzatori divenuti inutili. I servizi del “cuoco” e della sua Wagner, invece, potrebbero ancora essere produttivi per Putin.
“Nessuno è intoccabile”
“C’è sempre meno spazio per i super-patrioti che creano problemi, il Cremlino ha smesso di tollerarli”, dice a Fanpage.it Anna Arutunyan, ricercatrice del Kennan Institute, autrice di ”Hybrid Warriors” e “The Putin Mystique”. «L’ammutinamento di Prigozhin è nato dall’opposizione all’inquadramento della Wagner sotto il ministero della Difesa, ma le sue sparate contro l’apparato militare hanno finito per dar voce a molti ‘falchi’ che hanno propagato l’idea del fallimento della guerra e della necessità di concluderla in qualche modo”. I patrioti disfattisti non saranno più sopportati, spiega l’analista russa.
Eppure Igor Girkin è stato sopportato a lungo. L’ex ufficiale dell’Fsb che — parole sue — nel 2014 “tirò il grilletto” dell’intervento russo nel Donbasss, per poi diventare “ministro della Difesa” dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, fin dall’autunno di quell’anno iniziò a dirne di tutti i colori contro i leader di Mosca che non si decidevano a invadere in grande stile l’Ucraina. Quando poi, nel 2022, l’invasione c’è stata davvero, non ha smesso di inveire: “è una scelta sbagliata e comunque pianificata male”, ha scritto a ripetizione nei suoi blog. Ma nessuno lo ha mai toccato.
Strelkov, che significa grosso modo “tiratore”, è un criminale di guerra condannato all’ergastolo da un tribunale olandese, che lo ha ritenuto tra i diretti responsabili della strage del volo MH17. Lui riconosce una responsabilità morale ma dice di non aver premuto il bottone. La Russia lo ha tenuto bene al sicuro. E il Cremlino ha sempre digerito le sue invettive senza reagire. “Aveva protezioni nell’Fsb”, hanno detto ad Anna Arutunyan fonti moscovite. Chi pensa che l’arresto sia dovuto al fatto che ultimamente abbia esagerato, definendo Putin “una nullità e un codardo” probabilmente si sbaglia. Il suo arresto indica piuttosto un cambiamento di linea del regime: “nessuno è intoccabile”, è il messaggio.
Le purghe degli inaffidabili
La repressione non riguarda più solo gli oppositori liberali del presidente ma anche i cosiddetti “patrioti” di destra diventati inaffidabili. Paradossalmente, l’accusa di “estremismo” contro Strelkov è la stessa con la quale un procuratore ha appena chiesto altri 20 anni di galera per Alexei Navalny. Per tacer del paradosso che la Russia ha protetto Strelkov dall’ergastolo per la morte di 298 persone (tante furono le vittime sul volo MH17) e lo persegue ora per aver parlato male di Putin. Non c’è niente di paradossale, invece, nelle purghe del regime contro i suoi stessi ultras: è già successo ai tempi dell’Unione Sovietica. Il Leviatano è cannibale e non esita a mordere i figli un tempo prediletti.
Gli ultra-nazionalisti sono spaventati. Anche perché, come sempre in tempi di torbidi, alle purghe si sovrappongono i regolamenti di conti. L’arresto di Strelkov è avvenuto — almeno ufficialmente — sulla base della denuncia di un medico militare della Wagner. Tra “il cuoco” e “il tiratore” non correva buon sangue. È immediatamente seguito l’arresto di un altro protagonista dell’intervento russo di nove anni fa in Donbass, Pavel Gubarev, ex miliziano di un gruppo paramilitare nazi-fascista fattosi “governatore” del Donetsk. Erano giorni confusi in cui, all’ombra dei proclami politici, nei territori ucraini improvvisamente diventati irredentisti si incontrarono e si scontrarono ambizioni personali e interessi economici.
In alcuni casi si tratta probabilmente di faide, ma in generale il regime ha approfittato della crisi creata con la interrotta “marcia su Mosca” della Wagner per creare terrore e colpire chi considera infedele. E non si tratta solo di persone in qualche modo legate a Prigozhin, come il generale Sergei Surovikin che secondo più fonti tra cui il giornale russo Verstka è agli arresti domiciliari. Non era un uomo del “cuoco”, per esempio, il generale Ivan Popov, rimosso dall’incarico per aver detto ai suoi superiori che sul campo di battaglia le cose stanno andando male.
L’utilità di Prigozhin
Intanto, chi probabilmente sarà contento dell’arresto di Strelkov è proprio Prigozhin. Che con “il tiratore” aveva litigato di brutto. Si è parlato molto di smembramento della Wagner, di esproprio di attività e della possibilità che Prigozhin venga presto fatto fuori fisicamente. Ma al momento il protagonista dell’abortito ammutinamento sembra uscire da questa vicenda come un vincitore. A Mosca circola una storiella: ”Prigozhin non è arrivato al Cremlino il giorno del suo ‘mezzo golpe’ ma ci è entrato cinque giorni dopo, e disarmato: non ha avuto bisogno di armi per raggiungere il suo obiettivo”. Il riferimento è al colloquio di tre ore tra Putin, il “cuoco” e i capi di Wagner avvenuto il 29 giugno. Quali accordi siano stati presi non lo sappiamo. Fatto sta che a Prigozhin sono stati restituiti i soldi sequestrati, che ha potuto viaggiare liberamente tra San Pietroburgo, Mosca e la Bielorussia e che ora si trova nello stato vassallo del Cremlino a capo di quel che rimane del suo esercito privato. E Strelkov è in prigione.
Secondo il direttore di Novaya Gazeta Europe, Kirill Martynov, “Prigozhin ha ancora qualcosa da offrire al Cremlino, e per questo il caso della sua ribellione è stato così rapidamente e misteriosamente chiuso”. Putin “ritiene ancora che, come capo di Wagner, come sicario, come colonialista africano e come media manager, Prigozhin sia in grado di fornirgli servizi unici”, ha detto Martynov in un’intervista con Current Time. ”Prigozhin potrà essere molto utile in futuro a questo regime per i suoi interessi in Africa”, dove può esercitare sia forza militare sia ‘soft power’, spiega Anna Arutunyan. “Naturalmente, quanto avvenuto alla fine di giugno comporterà un maggior grado di controllo su Wagner, e Prigozhin resta sotto osservazione”.
In realtà, la presenza dei mercenari Wagner e del loro capo in Bielorussia viene già utilizzata da Putin. In Europa. Il leader del Cremlino ha accusato pubblicamente la Polonia di voler invadere la Bielorussia. Non ha fornito prove ma ha aggiunto che Mosca “si servirà di tutti i mezzi a sua disposizione” per difendere il Paese di Lukashenko. Compresa la Wagner, ovviamente. Che per ora non combatte ma è già diventata un mezzo per far pressione e agitare le acque nel campo Nato.
Una Russia “wagnerizzata”
“La Federazione Russa ha aderito a Prigozhin, ai suoi metodi, ai suoi affari. Perché non può esser più governata con metodi normali”, dice Kirill Martynov. “Questa guerra non può esser condotta con l’aiuto di una normale burocrazia e di un normale esercito, vista la quantità di crimini che si prefigge”. Il Paese di Putin si è abituato alla violenza e il suo governo non sembra volerne fare a meno. O forse non può.
“La violenza è diventata una cosa normale in Russia dopo l’invasione dell’Ucraina”, è la riflessione del sociologo Greg Yudin. “È stata presente fin dagli anni Novanta, quando il Paese era nel caos dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma oggi la violenza è vissuta allo scoperto, inculcata nelle menti dei ragazzini fin dalla scuola, con le nuove leggi sull’indottrinamento anche militare e le lezioni obbligatorie di ideologia. La guerra, le armi e la demagogia bellicista sono state normalizzate”, commenta a Fanpage.it l’accademico moscovita. “In questo senso si può forse dire che la Russia si è ‘wagnerizzata’. E non è una cosa che ha in alcun modo a che vedere con la mentalità o la memoria storica dei russi: è solo quanto imposto dal regime per far funzionare il Paese a suo piacimento”.
Sembra una visione esagerata e sconfortante. Ma basta guardare per un po’ la tivù di stato per capire quanto sia realistica. “I russi devono imparare a uccidere, per il futuro dei loro figli”, dice sul primo canale il professore della prestigiosa università Hse di Mosca Dmitry Evstafiev imboccato dal presentatore Vladimir Solovyov — che fino a poco tempo fa veniva invitato come “giornalista russo” anche nei talk show italiani. Poco dopo, immagini dello stesso Solovyov sul fronte ucraino, dove il “giornalista” spara al nemico con un pezzo di artiglieria e poi sghignazza felice. Sulla stessa rete, la propagandista Olga Skabeeva si augura “la distruzione di ogni cosa vivente nella regione di Karkhiv”, in Ucraina. E un bel bombardamento nucleare su qualche capitale europea. Un Paese così può anche disfarsi degli Strelkov ma continua ad aver bisogno dei Prigozhin.