Perché Putin non andrà al G20 di Bali: “Non vuole la pace, la ritirata di Kherson non cambia i piani”
“La volontà russa di continuare a combattere resta intatta”, dopo lo smacco di Kherson. E se lo zar diserta la conferenza del Gruppo dei 20 in Indonesia, non è certo perché si vergogna per l’andamento del conflitto ucraino ma solo perché “non è interessato ad aprire a un processo di pace” per il quale il vertice potrebbe essere un volano. Il presidente russo “non vede la possibilità di portare a casa alcun tipo di successo diplomatico”, visto il grado di isolamento di Mosca. Un isolamento che partire dal prossimo anno sarà sempre più difficile da sostenere”. Non è ottimista, Anton Barbashin, su una soluzione politica per il conflitto in Ucraina e sul futuro della Russia di Putin. Barbashin è il direttore editoriale del think tank Riddle, specializzato sulla politica interna ed estera della Russia. Fanpge.it lo ha raggiunto telefonicamente nella località europea dove si trova per ragioni di sicurezza dopo esser stato costretto a lasciare il suo Paese per averne criticato il regime.
Il ritiro russo da Kherson e il G20 di Bali sembravano alimentare le speranze per un processo di pace. Ma non ci sono segnali di un imminente cessate il fuoco. E Putin snobba l’occasione indonesiana e se ne resta a Mosca. Come interpretare queste circostanze?
La ritirata e il G20 disertato da Putin sono le due facce di una medaglia. Per quanto riguarda Kherson, attestarsi sulla riva orientale del Dnipro non implica in alcun modo l’intenzione di cercare una soluzione politica al conflitto. La Russia sta solo lasciando una città che non riesce a difendere. È un fallimento strategico tutto sommato limitato, anche se di alto valore simbolico.
Paradossalmente, le forze russe stano ritirandosi dalla Russia, visto che solo un mese fa Kherson era stata annessa e proclamata “per sempre” territorio di Mosca. Un passo del genere, così “simbolico” appunto, non esprime la volontà di concedere qualcosa a un futuro tavolo negoziale?
La volontà russa di continuare a combattere resta intatta: la narrativa propagandistica non si ferma, la preparazione dei soldati appena mobilitati continua e non ci sono segnali concreti della volontà di negoziare. E il fatto che Putin ha deciso di non andare al G20 in Indonesia lo dimostra.
Ma dove c’è una situazione poco chiara, stanchezza delle forze in campo e una linea di difesa netta — come quella del Dnipro — spesso si apre lo spazio per trattative.
Dipende da entrambe le parti. Non vedo la volontà di riconoscere alcunché, da parte di Mosca. Credo che la volontà resti quella di riprendersi i territori ceduti con la ritirata. Né Kyiv vuole fermare la sua controffensiva. In teoria, ci potrebbe essere una “pausa tecnica” nei combattimenti ma non un vero e proprio cessate il fuoco. In questa parte dell’anno i movimenti delle truppe e dei mezzi corazzati è più difficoltosa. Un rallentamento della guerra, però, non sarebbe certo il preludio a qualche concessione che possa favorire una soluzione. Il Cremlino sembra anzi prepararsi a una prosecuzione dello sforzo bellico. Il Consiglio federale (il Senato russo, ndr) sta proponendo una legge che permetterà di portare al fronte, nell’esercito ufficiale e non solo tra i mercenari del gruppo Wagner, i carcerati. La posta in gioco è ancora troppo alta e la Russia continuerà a giocare, Putin non pensa a un cessate il fuoco. E comunque, dato l’andamento del conflitto, dubito che Kyiv lo accetterebbe.
Viste le dinamiche sul terreno, un cessate il fuoco temporaneo potrebbe esser utile a Putin.
Entrambe le parti ne approfitterebbero per preparare la fase successiva della guerra.
Quindi sarebbe utile anche agli ucraini.
Ogni tentativo di superare la linea naturale del Dnipro comporterebbe un bagno di sangue, se i russi sono ben trincerati. Gli ucraini dovrebbero prepararsi con cura. Ma, ripeto, una pausa non significherebbe che le due parti vogliano mettersi d’accordo per fermare davvero il conflitto. Non c’è niente da dire, al momento, tra Mosca e Kyiv. Né tra Mosca e Washington. Per questo Putin non andrà al G20 in Indonesia.
Vladimir Putin, faro del sovranismo internazionale — scusi l’ossimoro — e propugnatore del multilateralismo non va al G20 di Bali, un palcoscenico ideale per le sue tirate anti-occidentali. Anche questo è un paradosso.
Non ci va perché non ha niente da discutere. Ha già detto tutto nei suoi interventi pubblici degli ultimi mesi. E il sostegno internazionale per le azioni del Cremlino non si è certo rafforzato. Persino la Corea del Nord prende le distanze da Mosca sulle forniture di munizioni. Ormai è chiaro a tutti, compresi i cosiddetti “Paesi amici”, che la Russia sta perdendo la guerra E nessuno vuol esser parte di questa sconfitta. Putin non ha molte sponde su cui contare. E comunque non è interessato alla pace. Solo, semmai, a un rallentamento nei combattimenti. Inutile quindi andare al G20, dove effettivamente sarebbe possibile iniziare un processo che porti a una conferenza internazionale sull’Ucraina ma dove in questo momento Putin non vede proprio nulla da ottenere.
Putin non sarà al G20 perché vuol continuare la guerra?
Tutto quel che traspare fa pensare che il Cremlino abbia intenzione di continuare la guerra. E che si prepari a nuove offensive nel prossimo futuro.
Intanto, però, non andando a Bali Putin eviterà uno scontro dialettico diretto con Washington e con l’Occidente. Un segnale di moderazione?
Credo che Putin voglia evitarsi la sensazione di solitudine che provò quando fu escluso dal G8 dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Perché oggi il suo isolamento è ancora più severo. E poi non vede la convenienza di qualsiasi gesto che potrebbe fare. Potrebbe solo ripetere quel che ha detto mille volte sulle magnifiche sorti del multilateralismo e sulle “colpe” degli Usa, della Nato e dell’Occidente. Magari gli piacerebbe anche farlo. Ma la cosa resterebbe fine a se stessa. Non vede l’opportunità di costruire niente di davvero utile alla sua causa. A margine del G20, che è dove si trattano le cose che davvero contano, Putin non potrebbe fare accordi, né firmare documenti che portino acqua al suo mulino. Si troverebbe in una situazione diplomaticamente scomoda. Si chiama isolamento. Anche all’interno del G20, Putin è di fatto isolato. E lo sa.
Nelle conferenze ministeriali che si terranno a margine del G20 la presidenza indonesiana punta ad accordi sulla sicurezza alimentare ed energetica. Pensa che il ministero degli Esteri russo Lavrov, che parteciperà seppur senza il suo presidente, potrebbe concedere qualcosa su questi fronti?
Riguardo alla sicurezza alimentare la Russia aderisce, dopo averlo momentaneamente lasciato, all’accordo sul grano mediato dalla Turchia. Non ha interesse a prendere ulteriori impegni. E sull’energia si terrà le mani libere. Non c’è spazio per trattative serie in questi campi. Anche perché la situazione militare in Ucraina sarebbe il convitato di pietra in ogni discussione rendendola sterile, in assenza di una volontà di arrivare alla fine del conflitto.
Quindi, checché ne dica Putin, questa guerra isola la Russia e ne limita la capacità diplomatica.
È certamente così, dal punto di vista diplomatico. Poi, sul piano commerciale, l’isolamento è relativo. Turchia, Cina e India, in particolare, continuano a fare affari con Mosca. Ma nessuno sostiene davvero, in pieno, la sua politica. Si tratta solamente di far soldi. Cosa a cui i “partner” di Putin tengono molto. La Russia è ricca. Ma nessuno vuol sporcarsi le mani con una guerra davvero poco popolare, nel mondo. Anche se Putin la vende come una necessaria transizione verso il multipolarismo — concetto a cui molti Paesi del G20 sono certamente sensibili.
Insomma, la guerra ucraina rende la Russia poco simpatica anche a chi approverebbe volentieri la sua politica estera e continua a fare affari con Mosca.
Il sostegno diplomatico, anche da parte dei maggiori partner commerciali, è sempre meno evidente. In questo senso la Russia è isolata. Ma non è ancora la Corea del Nord. Tutti possono comprarsi l’ultimo iPhone anche oggi, in Russia — per fare un esempio. Solo, lo si paga il 30-40% in più. Ci sono molti modi per aggirare le sanzioni. Le sanzioni più efficaci sono quelle finanziarie. E anche in questo senso Mosca è ormai isolata dal sistema internazionale. Le sanzioni finanziarie limitano anche gli scambi con il colosso cinese. Che resta il maggior punto di riferimento per sostituire i beni che non arrivano più dall’Occidente e in teoria offre le maggiori possibilità agli imprenditori russi.
La Russia può sopravvivere economicamente, isolata dall’Occidente?
No, la situazione attuale non è sostenibile. Negli ultimi mesi i ricavi dalle vendite di petrolio e gas hanno contato per il 50% delle entrate statali. E nel prossimo futuro, dal 2023, l’embargo occidentale sui prodotti energetici peserà in modo drammatico sui conti pubblici. Perché non sarà possibile trovare immediatamente nuovi mercati che sostituiscano quello europeo. Il governo dovrà quindi aumentare le tasse. I russi vedranno ancora ridursi la propria capacità di spesa. Senza contare che la guerra, il richiamo alle armi di parte della popolazione e la fuga dal Paese di chi non vuol combattere hanno già un effetto fortemente negativo sulle imprese. L’economia russa non è messa per niente bene.
Però si è dimostrata resiliente, più forte del previsto.
È quasi incredibile che per ora si sia evitato il peggio. Ma è solo questione di tempo. E anche la stabilità sociale è a rischio. Potrebbe presto emergere uno scontento capace di trasformarsi in proteste, tra i cittadini e tra i soldati. Certo, tutto potrebbe rimanere tristemente sotto controllo come in una versione russa della Corea del Nord. Ma i due Paesi sono troppo diversi. E in Russia la dittatura personalizzata attualmente al potere collasserebbe all’improvviso non appena Putin scomparisse dalla scena. Non siamo la Corea del Nord. E nemmeno siamo più l’Unione Sovietica, che aveva un’ideologia e un sistema statale ben organizzato, dietro alla dittatura. Dietro a Putin non c’è niente. Solo i suoi sodali. Non è chiaro nemmeno quanto consenso il presidente abbia davvero tra la popolazione. La propensione a protestare e il desiderio dei militari di tornarsene a casa potrebbe rivelarsi maggiore di quanto registrino i sondaggi. Tutto può cambiare molto rapidamente, in Russia.