L’attenzione del mondo questa settimana era tutta puntata su Mariupol, dove i russi e le forze della Repubblica separatista di Donetsk avevano ormai circondato le restanti forze ucraine (vale a dire la 36esima brigata della Marina ucraina ed il famigerato reggimento nazionalista Azov) nel sito dell’acciaieria Azovstal dopo una lunga, ma estenuante, avanzata.
La caduta dell’acciaieria – e la totale conquista di Mariupol da parte russa – sembrava ormai questione di ore. Giovedì 21 aprile a prima mattina, il leader ceceno Ramzan Kadyrov aveva promesso sul suo canale Telegram che Azovstal sarebbe caduta nelle mani russe già entro il primo pomeriggio della stessa giornata. Ma quando tutto sembrava pronto per la battaglia finale, invece, è arrivata la sorpresa: la TV di Stato russa ha trasmesso le immagini di un incontro che si è tenuto al Cremlino tra il presidente russo Vladimir Putin ed il suo Ministro della Difesa, Sergey Shoigu, nel corso del quale Putin ha chiesto ufficialmente ai militari russi di fermare qualsiasi ulteriore assalto alla acciaieria, definendolo come “inappropriato”. “Questo è un caso in cui dobbiamo pensare – cioè dobbiamo sempre pensarci, ma in questo caso ancora di più – a salvare la vita e la salute dei nostri soldati e ufficiali. Non è necessario arrampicarsi in queste catacombe e strisciare sottoterra attraverso queste strutture industriali”, ha affermato Putin che ha quindi chiesto di sigillare l’aerea in modo tale che attraverso “non ci passi neppure una mosca”. Shoigu, da parte sua, ha dichiarato che l'intera Mariupol, ad eccezione dello stabilimento Azovstal, è stata conquistata delle truppe russe e Putin si è congratulato con lui e con “gli eroi che indossano la divisa delle nostre forze armate” per questa presunta vittoria.
Perché Mariupol non si può dire caduta
Le affermazioni di oggi al Cremlino sono state accolte da una parte con ironia e dall’altra con stupore da molti osservatori internazionali, buona parte dei quali non si attendeva questa decisione. Gli Stati Uniti hanno subito smentito le parole russe: il presidente Joe Biden ha detto in conferenza stampa che è alquanto "discutibile" l’affermazione che la Russia controlli la città assediata dell'Ucraina di Mariupol. "Non ci sono prove che Mariupol sia completamente caduta", come affermato dal Cremlino. Ma, a prescindere che i russi abbiano preso o meno il controllo del resto di Mariupol, la decisione di abbandonare l’offensiva da queste parti, rientra in una logica strategica più generale da parte russa. Infatti, come aveva affermato il Pentagono qualche giorno fa, nei combattimenti a Mariupol sono stati impegnati l’equivalente di 12 gruppi di battaglioni tattici (BTG) russi.
In una situazione nella quale il focus principale della strategia di Mosca sta diventando sempre di più il controllo del Donbass, il loro continuo utilizzo a Mariupol lontano dal campo di battaglia principale rappresenta per i russi solo uno spreco di tempo, mezzi e persone lontano dall’obiettivo principale. Come già indicatoin un altro articolo che ho pubblicato per Fanpage.it, la strategia di Putin per questa fase della guerra è infatti quella di procedere con una manovra a tenaglia proveniente contestualmente da nord (zona di Izyum) e da sud (dalla regione di Donetsk o di Zaporizhzhia) con l’intento di rinchiudere da ovest in una enorme sacca il grosso delle forze ucraine nel Donbass, e poi stringerle in una doppia morsa per costringerle alla resa.
La situazione nel Donbass
La Russia avrà perciò bisogno di tutte le forze a sua disposizione per quella che si preannuncia una vera e propria battaglia campale nell’est dell’Ucraina, le cui prime avvisaglie si possono già intravedere soprattutto nella regione di Luhansk, dove negli ultimi giorni i russi hanno fatto lente ma continue avanzate nella zona di Popasna e di Kreminna. Resta ovviamente da vedere in che condizioni siano ridotte queste forze, dopo settimane di duri combattimenti urbani a Mariupol, e quanto sia possibile per il comando russo riposizionarli velocemente nel resto del Donbass per rafforzare l’avanzata da sud delle forze russe.
Nonostante le spacconate di Kadyrov – che aveva già preannunciato almeno 26 volte in precedenza la caduta “imminente” di Mariupol nelle settimane precedenti – è evidente che l’avanzata dei reparti russi nei sotterranei di Azovstal sarebbe stata un altro bagno di sangue per l’esercito russo che ha già perso tanti uomini nel tentativo di conquistare la città sul Mar d’Azov, roccaforte del reggimento che porta lo stesso nome. Inoltre, come ben dimostrato anche dal video che il reggimento Azov ha pubblicato poche ore dopo l’annuncio di Putin (che mostra un tank russo con il simbolo V in fiamme all’interno della città portuale), Mariupol resta territorio molto rischioso per i russi con reparti isolati di combattenti che resistono anche nelle altre parti della città, come ad esempio nella zona del deposito dei tram lontana da Azovstal. Ciò significa che un contingente di militari, seppure ridotto rispetto ad oggi, dovrà necessariamente continuare ad essere impegnato in città anche nel prossimo futuro e questo ovviamente può rappresentare un problema per i piani del Cremlino. Inoltre, la città è ormai quasi completamente distrutta, con il 95% degli edifici in rovina, e la sua ricostruzione impegnerà ulteriori sforzi da parte russa in futuro.
Se Mosca piange, Kyiv non ride
Va detto, ad ogni modo, che uno dei motivi per cui Putin può permettersi lo stesso di riposizionare una parte delle truppe finora impegnate qui è che la situazione dei difensori di Mariupol accerchiati all’interno della acciaieria è totalmente disastrosa per loro stessa ammissione. Giusto due giorni prima dell’annuncio di Putin, il comandante della 36esima brigata della Marina, il maggiore Serhiy Volyna, si era appellato al Papa ed ai leader dei principali Paesi occidentali, chiedendo loro di aprire urgentemente un corridoio umanitario per consentire ai soldati di evacuare Mariupol in sicurezza verso un Paese terzo. Volyna aveva giustificato il suo appello affermando che erano a corto di cibo e munizioni – una valutazione che però viene contestata da alcuni ambienti governativi ucraini. Allo stesso tempo Volyna è stato comunque molto chiaro sul fatto che né loro né soprattutto i commilitoni di Azov si sarebbero arresi ai russi e che erano perciò pronti a combattere fino all’ultimo uomo.
Il governo di Kiyv più volte negli ultimi giorni, ha lasciato intendere di essere disposto a negoziare in maniera seria per la loro salvezza, arrivando ad affermare che il futuro stesso dei negoziati di pace dipendeva da questo, ma finora Mosca non ne ha voluto sapere. Inoltre, stando a quanto affermano fonti ucraine, all’interno dello stabilimento ci sono circa un migliaio di civili in condizioni estremamente difficili, oltre a 500 soldati che necessitano di cure urgenti. Anche per questo motivo il vice primo ministro ucraino Irina Vereshchuk ha chiesto all'esercito russo di aprire urgentemente almeno un corridoio umanitario per fare uscire questi da Azovstal. Finora però questi tentativi non sembrano però aver portato molto successo (le due parti si danno vicendevolmente la colpa di questo fallimento) ed è difficile capire con certezza quanto cibo e munizioni abbiano ancora a disposizione i soldati ed i civili ucraini che restano intrappolati nell’impianto e quanto, di conseguenza, possano resistere ad un assedio che si preannuncia altrimenti prolungato.
Allo stesso tempo, va detto, che la decisione di oggi del Cremlino rappresenta una ulteriore ammissione (se ancora fosse necessaria) di una delle principali debolezze dei russi che è diventata sempre più evidente sin dall’inizio della guerra: l’esercito russo è drammaticamente a corto di uomini e mezzi per poter proseguire la guerra in più direzioni. In particolare, ha seri problemi a combattere in un contesto estremamente difficile come le battaglie urbane casa per casa, o, come in questo caso, nei sotterranei di un immenso impianto industriale; in generale dove non conta più tanto la forza bruta e la superiorità dei mezzi, quanto la voglia di sopravvivere e la motivazione per combattere. Le parole stesse di Putin (“salvare la vita e la salute dei nostri soldati”) sono una chiara indicazione di tutto questo.
La questione 9 maggio
Un ulteriore aspetto, che non va dimenticato, e che in qualche modo è legato a quanto detto prima, è quello psicologico: dichiarando vittoria anticipatamente Putin intende mostrare al popolo russo che l’”operazione militare speciale” (così come Mosca definisce l’invasione) ha portato già a qualche risultato concreto. Tra qualche settimana, infatti, in Russia si celebrerà il V-Day (9 maggio) e l’intenzione della propaganda russa è quella di tenere proprio in quel giorno una marcia del cosiddetto ‘Reggimento Immortale’ proprio nella Mariupol “liberata dai nazisti”, come a legare indissolubilmente nell’immaginario popolare ciò che sta succedendo oggi alla Grande Guerra Patriottica di 77 anni fa. Se a ciò si aggiungono i piani per la creazione di una “Repubblica popolare di Kherson” nell’unica altra grande città finora conquistata dai russi nel sud dell’Ucraina, si possono iniziare ad intravedere i tratti di un possibile congelamento del conflitto su queste posizioni che possa essere spacciato già come una vittoria da parte del Cremlino, a prescindere da cosa accadrà nel resto del Donbass nel prossimo futuro.
Ovviamente, resta da capire se tutto questo basterà, alla lunga, per far accettare ai russi tutti i sacrifici a cui stanno andando incontro, sia a causa delle sanzioni – il cui effetto si farà sentire sempre di più con l’andare del tempo –, che, nel caso di molte famiglie russe, per la perdita diretta dei propri cari in battaglia. Al momento, nonostante tutto, l’opinione pubblica russa sembra restare fortemente dalla parte del Cremlino anche grazie al martellamento della propaganda della TV di Stato russa che resta la principale fonte di informazioni per buona parte del Paese, soprattutto le vaste zone rurali. Ma se la guerra dovesse andare avanti ancora per molto tempo e senza che siano ottenuti risultati concreti, prima o poi il muro della menzogna potrebbe crollare ed il vento potrebbe cambiare radicalmente. Questo è con tutta probabilità ciò che spaventa di più in assoluto il Cremlino.
Non meravigliamoci dunque se dovessimo assistere ad ulteriori dichiarazioni premature di vittoria di questo tipo anche nel prossimo futuro.