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Perché per il nuovo presidente iraniano Pezeshkian la strada per le riforme è ricca di ostacoli

Masoud Pezeshkian è il nuovo presidente iraniano. La vittoria del primo candidato riformista dai tempi di Khatami potrebbe essere un’opportunità per riportare l’Iran a dialogare in tema di nucleare e per arrivare a un negoziato che concluda il conflitto a Gaza. Tuttavia, peseranno molto l’opposizione interna e una potenziale rielezione di Donald Trump negli Usa.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Masoud Pezeshkian, in nuovo presidente dell'Iran
Masoud Pezeshkian, in nuovo presidente dell'Iran

Masoud Pezeshkian è il nuovo presidente iraniano. Lo scorso 28 giugno si era presentato come l'unico candidato riformista alle presidenziali iraniane, passando al secondo turno con il 42,5% dei voti insieme al politico radicale Saeed Jalili.

Pazeshkian ha ottenuto 16,3 milioni di voti (53,7%) contro il 44.3% di Jalili. L'affluenza al secondo turno è stata più alta, attestandosi al 49,8%, quasi dieci punti in più rispetto al primo turno. Si era trattata della partecipazione più bassa (ferma al 40%) in una tornata elettorale della storia della Repubblica islamica. Le elezioni sono state anticipate di un anno per la morte in un incidente aereo dell'ex presidente conservatore, Ebrahim Raisi, avvenuto lo scorso 19 maggio.

Pezeshkian e Jalili
Pezeshkian e Jalili

Alla ricerca di maggiore partecipazione

L'aumento dell'affluenza al voto era l'obiettivo principale dell'establishment politico. La stessa candidatura di Pezeshkian è stata accettata dal Consiglio dei Guardiani, che preventivamente aveva cancellato altri 74 candidati, per motivare delusi e astensionisti a recarsi alle urne.

La Guida Suprema, Ali Khamenei aveva auspicato, alla vigilia del secondo turno, una partecipazione più ampia tra i 61 milioni di iraniani aventi diritto al voto, di cui un terzo ha tra i 18 e i 30 anni. La televisione di Stato nella giornata di venerdì aveva mostrato code ai seggi e un traffico sostenuto per le strade di Teheran, suggerendo una massiccia partecipazione.

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Le operazioni elettorali avrebbero dovuto concludersi alle 6 di pomeriggio di venerdì 5 luglio ma sono state posticipate fino alla mezzanotte proprio come segno di un'alta affluenza, in molti casi non confermata dagli osservatori locali, soprattutto nelle province e nelle campagne.

“Ci sono ragioni che spiegano la scarsa affluenza, ma questo non vuol dire che chi non ha votato è contro l'establishment”, aveva commentato Khamenei dopo il primo turno. La Guida Suprema è andata oltre, parlando anche di chi aveva apertamente manifestato l'intenzione di boicottare il voto. “Li ascoltiamo e sappiamo cosa dicono, non li teniamo nascosti”, aveva aggiunto.

Le promesse di Pezeshkian

In campagna elettorale Pezeshkian aveva promesso “unità e coesione” e la fine dell' “isolamento” internazionale del paese. Il politico ha parlato di aperture verso l'Occidente, di “negoziati costruttivi” per tornare a dialogare in tema di nucleare. Il cardiochirurgo aveva anche criticato la violenza della polizia nel reprimere i movimenti di piazza, a partire dalle proteste scoppiate nel settembre 2022 dopo l'uccisione della giovane, Mahsa Amini, a opera della polizia morale.

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I sostenitori dell'ex ministro durante la presidenza di Mohammad Khatami, al potere dal 1997 al 2005, hanno festeggiato la sua elezione per le strade di Teheran. “Una vittoria di Jalili sarebbe stata molto pericolosa per il paese”, ci ha spiegato un attivista di Teheran. “Le posizioni del candidato radicale erano più estreme anche rispetto a quelle dell'ex presidente Mahmud Ahmadinejad”, ha aggiunto un'altra attivista.

Nelle ultime battute della campagna elettorale, si è anche parlato degli effetti per il Medio Oriente se Donald Trump dovesse vincere le elezioni Usa il prossimo novembre.

Il timore delle autorità iraniane è che l'eventuale ritorno del repubblicano alla Casa Bianca possa vanificare qualsiasi tentativo di riaprire il negoziato sul nucleare con i paesi del P5+1, Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e Germania, con lo scopo di chiudere la stagione delle sanzioni internazionali contro il paese. Nel 2018, Trump si era ritirato unilateralmente dall'intesa aggravando il regime sanzionatorio che sta duramente colpendo l'economia iraniana.

Un laico al potere

Masoud Pezeshkian
Masoud Pezeshkian

La prima grande novità rispetto all'ex presidente Ebrahim Raisi è che Pezeshkian è un laico e non un religioso. Questo particolare di sicuro servirà ad aumentare la fiducia verso i politici in un paese dove i religiosi hanno continuato a perdere il loro consenso popolare. Questo è avvenuto in particolare dopo l'avvio del movimento “Donna, vita, libertà”, contrario sia all'obbligo dell'hijab, ma anche motivato a mettere in discussione i cardini politici, economici e istituzionali della Repubblica islamica.

Di origine azera, parlamentare per 20 anni, figura indipendente, Pezeshkian, 69 anni, già alla vigilia del primo turno aveva ottenuto l'endorsement dell'ex presidente Mohammad Khatami (al potere dal 1997 al 2005), dell'ex presidente moderato Hassan Rouhani (al potere dal 2013 al 2021) e del suo ministro degli Esteri e capo negoziatore per il nucleare, Javad Zarif.

Tuttavia, la sua elezione non è detto che determini un vero cambiamento politico in Iran. La carica del presidente della Repubblica ha poteri molto limitati rispetto a quelli della guida suprema. Nelle scorse presidenze riformiste, come nel caso di Mohammad Khatami, tutte le leggi più importanti, approvate dal parlamento, sono state poi cancellate dal Consiglio dei Guardiani.

Quindi l'elezione di Pezeshkian potrebbe dimostrarsi più come un'operazione volta ad aumentare la partecipazione politica e elettorale che una vera svolta in senso moderato della politica iraniana postkhomeinista.

Il campo conservatore

Il campo conservatore e radicale deve ora raccogliere i cocci di questa competizione elettorale. Al di là delle grandi manifestazioni di forza, come nelle giornate di lutto dopo la morte di Raisi in cui si sono svolti imponenti funerali nelle principali città iraniane, si è dimostrato incapaci di proporre un candidato credibile alla presidenza della Repubblica. Tuttavia, i politici di questa corrente mantengono il controllo del parlamento (Majlis) dopo le elezioni dello scorso marzo.

Pezeshkian è riuscito a passare al secondo turno battendo un candidato politicamente ben più accredito di lui per il successo, come l'ex sindaco di Teheran, Mohammad Ghalibaf. Nonostante il politico conservatore, attraverso i suoi canali social, avesse apertamente sostenuto Jalili al secondo turno, sui media iraniani hanno continuato a circolare voci di dissapori tra i due.

Mohammad Ghalibaf
Mohammad Ghalibaf

Alcuni giornalisti locali hanno avanzato l'ipotesi che Ghalibaf abbia rifiutato di ritirarsi dalla competizione elettorale al primo turno, come avevano fatto altri candidati minori, sperando di ottenere una percentuale più alta di consensi. Ma non solo, molti suoi elettori hanno votato contro Jalili al secondo turno. “Molti dei sostenitori di Ghalibaf alla vigilia del secondo turno hanno dichiarato di votare per Pezeshkian”, hanno confermato vari attivisti iraniani.

Il futuro di chi ha boicottato il voto

Resta il fatto che metà degli iraniani ha boicottato il voto. La mancanza di speranze in un vero cambiamento, la mancanza di candidati credibili, un senso diffuso di frustazione e malcontento hanno spinto milioni di iraniani a non andare a votare. “Non mi sento rappresentato da questi politici e non ho sentito il voto come un obbligo”, ci ha spiegato un attivista iraniano in Europa.

Alcuni che non hanno votato al primo turno si sono recati alle urne al secondo con lo scopo di impedire a Jalili di diventare presidente più che motivati dalla figura di Pezeshkian, per evitare maggiore isolamento e motivi di scontro con l'Occidente.

Sui social media è diventato virale l‘hashtagminoranza traditrice”, chiedendo agli elettori di non andare a votare e chiamando “traditore” chi lo ha fatto. Mentre i giornali riformisti in Iran hanno ampiamente motivato alla partecipazione. Sazandegi ha titolato “Il futuro è legato ai tuoi voti”, mentre Hammihan “È il tuo turno. Cento ragioni per votare”.

La vittoria del primo candidato riformista dai tempi di Khatami potrebbe essere un'opportunità sia per riportare l'Iran a dialogare in tema di nucleare sia per arrivare a un negoziato credibile che porti alla fine del conflitto a Gaza. Peserà molto sull'elezione di Pezeshkian l'opposizione interna ai tentativi di riforma che potrà mettere in atto e l'eventuale ritorno al potere dei Repubblicani negli Stati Uniti. Se Trump dovesse essere di nuovo presidente negli Usa, è molto difficile che Masoud Pezeshkian possa mantenere toni moderati in politica estera senza alimentare le critiche dei pasdaran iraniani.

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