L’aggressore e l’aggredito. Il grosso contro il piccolo. Il cattivo contro il buono. Gli ingredienti c’erano tutti per trasformare le analisi sulla guerra in Ucraina in una specie di tifo. Però si sa come va con il tifo: tutti i falli fischiati contro la nostra squadra (in questo caso l’Ucraina) sono un’ingiustizia dell’arbitro, per noi c’erano almeno tre-quattro rigori, il recupero doveva essere più lungo… Il tifoso vede la partita del sentimento, non quella vera. Ed è forse per questo che, a parere personalissimo di chi scrive, della guerra di Vladimir Putin non abbiamo capito quasi niente.
Uno degli elementi che più hanno contribuito a questo risultato è stata la bizzarra convinzione (nata dal solito articolo del New York Times o del Washington Post, così concepito: fonti dell’intelligence dicono che…) che i russi cercassero una guerra-lampo e che il prolungamento delle ostilità equivalesse a una loro sconfitta.
Non c’è traccia nella storia militare russa di una guerra-lampo
Ecco allora tre elementi per confutare questa falsa convinzione. Il primo è che non c’è traccia nella storia militare russa di una guerra-lampo. I russi, semplicemente, non combattono così. Hanno sempre avuto una macchina militare pachidermica, lenta, massiccia ed efficace soprattutto alla distanza. Secondo elemento: i servizi segreti russi. In Occidente è cresciuta una visione assolutamente schizofrenica della loro efficacia. Un giorno li riteniamo onnipotenti (capaci persino, attraverso gli hacker, di far eleggere Donald Trump o minacciare le infrastrutture essenziali di Europa e Usa), il giorno dopo totalmente incapaci. A essere razionali, risulta difficile credere che possano aver garantito a Putin una guerra-lampo proprio in Ucraina dove, per ragioni storiche e geografiche, di sicuro hanno una rete di spie. In più, tutti sanno che dal 2015 l’Ucraina ha intrapreso una profonda riforma della Difesa e delle forze armate, che da anni viene rifornita di armi e denaro da molti Paesi, che aveva già prima di questa guerra un esercito di quasi 200 mila uomini e una milizia territoriale di circa 100 mila e che nel 2021 aveva speso il 4,1% del Pil per le forze armate. Chi poteva essere così stupido e temerario da sottoporre a Putin un pronostico di facile e immediata vittoria?
Ma soprattutto basta guardare la cartina delle operazioni per capire che l’intento non era quello di un blitz o di una spedizione punitiva. Fin dal primo giorno, i russi hanno attaccato su un fronte vastissimo: lungo tutto il confine con l’Ucraina (lungo 1.560 chilometri), più un altro tratto a Nord dalla Bielorussia e un altro tratto a Sud dalla Crimea. Come si può pensare che un attacco così allargato fosse immaginato per una spedizione di pochi giorni, sostenuta tra l’altro da un contingente ridotto, visto che i russi hanno mobilitato “solo” 120-130 mila soldati?
Cosa cerca la Russia di Putin con la guerra in Ucraina
Ma se non cercava una guerra-lampo, che cosa cercava Putin con questa guerra? Che cosa voleva ottenere in Ucraina? La mia di nuovo personalissima convinzione è che a Putin non importi nulla di conquistare Kiev o di allargare l’operazione militare alla parte Ovest del Paese. Quello che gli interessa davvero è l’Est, dove c’è una popolazione in maggioranza russofona (che sia anche russofila, dopo le distruzioni della guerra, è da vedere) e dove si trovano tutte le maggiori risorse del Paese: miniere, centrali nucleari, industrie pesanti, porti, grandi snodi ferroviari. È lì che la Russia, con l’invasione, vuole insediarsi. Con un controllo diretto, cioè annettendo il territorio (ex) ucraino alla Federazione russa (e qui, attenzione alla proposta di Leonid Paschecnik, presidente della Repubblica di Lugansk, di tenere un referendum per l’annessione); oppure facendo nascere la cosiddetta Novorossija, uno Staterello vassallo della Russia che comprenderebbe il Donbass e la Crimea (in un modo o nell’altro sottratti all’Ucraina nel 2014) più i territori conquistati con l’invasione.
La Russia otterrebbe così nuova popolazione (pochi in Occidente lo sanno ma il calo demografico è una delle angosce di Mosca: un milione in meno di persone tra 2020 e 2021, la più drastica diminuzione in tempo di pace nella storia del Paese), nuovi e ricchi territori e, soprattutto, una continuità territoriale strategica dalla Bielorussia alla Moldavia. Obiettivo massimo di questa strategia: raggiungere il grande fiume Dnepr, che taglia in due l’Ucraina e in certi tratti è largo anche tre chilometri, e usarlo come un confine naturale rispetto all’Occidente. Così la Russia controllerebbe tutta la parte a Est del fiume e all’Ucraina propriamente detta resterebbe la parte Ovest. Molti, rispetto a questo piano, fanno il paragone con le due Coree. È giusto. Ma nella storia della Russia c’è già stato qualcosa di simile. Nel Seicento quando, dopo un accordo con le comunità cosacche dello Zaporozhe (dove ora sono arrivate le truppe russe che controllano la centrale atomica di Enerhodor), la Russia degli zar si trovò padrona a Est del Dnepr, mentre la Polonia lo era a Ovest. In qualche modo la storia si ripete.