Le forze russe stanno avanzando in maniera lenta, ma costante, nel Donbass, ed ora la possibilità che conquistino centri abitati di primaria importanza, come Severodonetsk e Bakhmut, diventa sempre più concreta. Si tratta comunque di guadagni territoriali ottenuti a caro prezzo in termini di persone e mezzi militari persi in battaglia, e ci sono segnali che i russi abbiano sempre più difficoltà a rimpiazzare queste perdite.
La situazione per gli ucraini sta diventando particolarmente difficile nella regione di Luhansk, che ormai è al 95% controllata dai russi e dai loro alleati separatisti, e dove Mosca sta ora schierando tutto ciò che ha a disposizione per chiudere la partita il prima possibile.
“Ci sono segnali di un’escalation” della Russia, ha ammesso la viceministra della Difesa ucraina Hanna Malyar, aggiungendo che Kyiv si aspetta un periodo “estremamente difficile e lungo” e vi è il concreto rischio che fino a 10 mila soldati ucraini finiscano accerchiati nella sacca che i russi stanno cercando di creare in questa regione.
Come sta procedendo l'avanzata russa
Durante le avanzate dei giorni scorsi dalla zona di Popasna le forze russe sono riuscite a raggiungere temporaneamente anche la cosiddetta “strada della vita” che lega l’insediamento urbano di Severodonetsk/Lysychansk con la città di Bakhmut nella regione di Donetsk, la principale via di rifornimento per le truppe ucraine impegnate nella difesa di Severodonetsk.
Gli ucraini sono poi riusciti a riconquistare il controllo di questa strada grazie ad una controffensiva, ma la via resta sotto il tiro dell’artiglieria russa che continua a bombardarla in continuazione, il che, come si può immaginare, rende molto difficile il rifornimento delle truppe ucraine presenti nella posizione più avanzata nel saliente.
È vero che esistono anche altre vie di rifornimento oltre questa via, ma sono più lunghe da percorrere ed anche queste ultime sono soggette agli attacchi costanti dell’artiglieria russa. Ciò nonostante, il comando ucraino sembra non considerare (ancora?) del tutto disperata la situazione, ed invece di ritirare le truppe ucraine da Severodonetsk a rischio di accerchiamento, ha deciso apparentemente di rinforzarle.
Il motivo di questa decisione è presto detto: gli ucraini hanno bisogno di tempo, mentre continuano a ricevere le armi promesse dall’Occidente ed imparano ad utilizzarle – si ricordi, infatti, che in buona parte di tratta di sistemi nuovi con i quali i soldati ucraini non avevano avuto nulla a che fare e quindi comportano la necessità di un certo tempo di addestramento per imparare ad utilizzarle al meglio.
Come sta andando la resistenza ucraina
Il modo principale con il quale finora gli ucraini sono stati in grado di fermare le forze russe è stato quello di costringerle a dure, sanguinose e spaventose battaglie urbane, come quella durata oltre 80 giorni a Mariupol e finita solo all’inizio di maggio con la resa della guarnigione ucraina, dopo aver tenuto impegnato per settimane importanti forze militari impedendone l’utilizzo altrove.
Non per nulla nelle ultime settimane le dichiarazioni dei leader politici ucraini sembrano aver avuto l’intento di preparare l’opinione pubblica proprio a questo: Severodonetsk come una “nuova Mariupol”.
In effetti, considerando tra le due città iniziano ad esserci delle tristi somiglianze: Severodonetsk è ora sotto il fuoco continuo dell’artiglieria russa ed accerchiata su tre lati, nonché rimasta senz’acqua né elettricità da molto tempo, con il 90% degli edifici ormai distrutto e la popolazione che non è stata in grado di fuggire che resta asserragliata ormai da settimane nei rifugi sotterranei.
La situazione sempre più disperata degli ucraini in questa regione, ha aumentato il ritmo degli appelli da parte di Kyiv alla comunità internazionale, e soprattutto agli Stati Uniti, per la fornitura (“ora e subito”) di ulteriori armi pesanti.
In particolare, Kyiv continua a chiedere insistentemente la fornitura di sistemi avanzati a lancio multiplo di razzi MRLS (Multiple Launch Rocket System) o HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System).
A quanto pare gli appelli sembrano finalmente aver ricevuto ascolto: secondo quanto ha riportato la CNN giovedì 26 maggio, la Casa Bianca sarebbe pronta ad annunciare già la settimana prossima l’invio di questi sistemi avanzati di artiglieria all’Ucraina, come parte del nuovo pacchetto di aiuti militari approvato la scorsa settimana dal Congresso.
Si tratta di sistemi in grado di colpire obiettivi ad una distanza ben più ampia di qualsiasi altro sistema attualmente a disposizione delle Forze Armate ucraine e con un altro vantaggio importantissimo, in questo periodo in cui il tempo vale come oro: il periodo di addestramento necessario per imparare ad utilizzarli è infatti molto veloce, circa due settimane.
Il deputato democratico Jason Crow del Colorado, che ha fatto parte di una delegazione del Congresso che si è recata a Kyiv all'inizio del mese di maggio, ha dichiarato alla CNN di ritenere che questi sistemi avanzati di artiglieria potrebbero aiutare l'Ucraina “a cambiare le carte in tavola… non solo per gli attacchi offensivi ma anche per rafforzare la propria linea di difesa".
Crow ha spiegato che l'artiglieria convenzionale russa, che ha una gittata di circa 50 km, "non si avvicinerebbe" ai centri urbani ucraini se fossero posizionati lì i sistemi MLRS. "In questo modo i russi non sarebbero in grado di adottare le consuete tattiche di assedio", ha detto Crow.
Ciò aiuterebbe non poco gli ucraini a difendere le proprie postazioni in Donbass vista la situazione che si sta sviluppando, se tali sistemi venissero schierati sul campo il prima possibile.
I dubbi americani sull’invio di armi in Ucraina
Negli Stati Uniti però ci sono anche preoccupazioni, espresse in particolare da parte del Pentagono, sul continuo flusso di armi all’Ucraina: la paura è quella di ridurre troppo drasticamente la prontezza militare statunitense, se il flusso continuerà su questi ritmi.
Infatti, al momento il Dipartimento della Difesa ha a sua disposizione solo una riserva limitata di questo tipo di sistemi avanzati e per questo motivo sta trattando con i suoi fornitori per la loro produzione e sostituire quelle che verrebbero eventualmente inviate in Ucraina se la Casa Bianca dovesse decidere in tal senso.
Nel frattempo, delle armi già inviate, 85 degli obici Howitzer M-777 che gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina con gli ultimi tre pacchetti di assistenza militare sono già stati schierati "in posizioni avanzate", cioè vengono utilizzati in prima linea nella guerra, secondo quanto riferisce il Pentagono.
Delle 209.000 munizioni di artiglieria da 155 mm promessi all'Ucraina dagli Stati Uniti, 190.000 sono state già trasferite all'Ucraina, così come 9 degli 11 elicotteri Mi-17 promessi dagli Stati Uniti all'Ucraina (gli ultimi due arriveranno tra la fine di maggio ed inizio giugno).
Non sono solo gli americani, comunque, a fornire armi agli ucraini: in questi giorni sono apparse anche immagini di sistemi di obici FH70 di origine italiana con munizioni da 155mm utilizzate dalle forze ucraine sul fronte. A quanto pare il governo italiano ha donato a Kyiv una certa quantità di questi sistemi, ma è impossibile saperne di più visto che è stato apposto il segreto di Stato su queste forniture.
Inoltre, nei Paesi dell’est Europa che hanno espresso sin dall’inizio più solidarietà nei confronti di Kyiv, ci sono segnali anche di mobilitazione da parte dell’opinione pubblica per aiutare attivamente l’Ucraina a difendersi. Ad esempio, in Lituania è stato attivato un crowfunding per l’acquisto di un drone Bayraktar TB2 da consegnare all’Ucraina che ha raccolto in pochi giorni 1 milione di euro (sui 5 milioni necessari).
In questo contesto, arriva anche la notizia della conquista da parte russa di Lyman, una cittadina della regione di Donetsk che rappresentava sinora l’ultima roccaforte ucraina al di là del fiume Seversky Donets in questa zona. Si tratta di una perdita per Kyiv che era ampiamente attesa vista la pressoché impossibilità di tenere queste posizioni al di là del fiume senza adeguati rifornimenti.
Si tratta dello stesso fiume il cui attraversamento rappresenta un incubo anche per i russi. Come dimostra una recente indagine del New York Times, quando le forze di Mosca hanno cercato l’8 maggio di attraversare senza successo il fiume Seversky Donetsk nella zona di Bilohorivkha hanno subito un massacro: oltre 400 morti e decine di mezzi militari distrutti.
Il corrispondente del New York Times che ha visitato di recente la zona parla di scene apocalittiche in una sezione del bosco vicino al fiume dove "pezzi di uniformi russe pendono dal alberi" e "l'odore dei corpi in decomposizione è insopportabile".
La stanchezza dell’Occidente
Stando alle analisi del Pentagono, dall’inizio della guerra le forze russe hanno perso "circa 1.000 carri armati" e "ben più di 350 pezzi di artiglieria", oltre a "quasi tre decine di cacciabombardieri e più di 50 elicotteri". Ciò nonostante, gli Stati Uniti ritengono che i russi "abbiano ancora a loro disposizione la maggior parte delle proprie capacità di combattimento".
“I russi hanno la superiorità in termini di numero di risorse che possono impiegare in questa battaglia. Questo significa in termini di persone, attrezzature ed armi, e dobbiamo sempre tenerlo a mente", afferma un funzionario del Pentagono.
Attualmente ci sono 110 gruppi di battaglioni tattici (BTG) russi operativi all'interno dell'Ucraina, in aumento rispetto ai 97 BTG che gli Stati Uniti avevano valutato schierati all'interno dell'Ucraina al 9 maggio. Si tratta di un aumento di circa 13 BTG in circa due settimane e mezzo, dunque, per un numero che si avvicina ormai ai 120 BTG schierati inizialmente il 24 febbraio.
Ma sulla reale capacità di combattimento di queste forze, sorgono dubbi più che legittimi. Secondo quanto riportato dal Ministero della Difesa britannico la mattina del 27 maggio, infatti, alle forze russe presenti nel sud dell’Ucraina, sono stati consegnati di recenti carri armati T-62, sistemi vecchi ormai di 50 anni, che sono “quasi certamente altamente vulnerabili” alle armi anti-carro in possesso degli ucraini.
“La loro presenza sul campo di battaglia evidenzia la mancanza da parte russa di equipaggiamento moderno e pronto al combattimento”, sentenzia senza mezzi termini l’intelligence britannica.
Nonostante le difficoltà sul campo, comunque, il vero rischio per l’Ucraina diventa sempre più la stanchezza delle opinioni pubbliche dei Paesi occidentali, in particolare europei, sulla continuazione di questa guerra, in buona parte per paura di effetti dannosi duraturi sulle proprie economie ancora troppo dipendenti dal gas e dal petrolio russo.
Negli ultimi giorni c’è stata prima la presentazione di una proposta italiana per il cessate il fuoco (sonoramente bocciata da parte di Mosca), e successivamente una rinnovata discussione su cosa significhi “vittoria” per l’Ucraina in questa guerra, con divisioni sempre più notevoli tra i vari attori in campo.
Le divergenze sugli obiettivi della guerra sono emerse in tutta la loro forza questa settimana al World Economic Forum di Davos, quando Henry Kissinger, il 99enne ex Segretario di Stato americano, ha suggerito a Kyiv di prendere in considerazione l’ipotesi di cedere una parte dei suoi territori in un accordo di pace, pur aggiungendo che “idealmente l’obiettivo dovrebbe essere il ritorno allo status quo" prima dell'invasione, ovvero rinunciare alla Crimea e parte del Donbass.
"Proseguire la guerra oltre quel punto non significherebbe liberare l'Ucraina, ma scatenare una nuova guerra contro la Russia", ha concluso Kissinger.
Quasi immediatamente, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha replicato con rabbia accusando Kissinger di acquiescenza, ed ha suggerito a Kissinger di ricordare la Conferenza di Monaco del 1938 – l'evento che spinse Kissinger, allora adolescente, a fuggire con la sua famiglia a New York per paura delle persecuzioni naziste. "Nessuno ha sentito dire da lui che era necessario adattarsi ai nazisti invece di fuggire o combatterli".
La NATO e l'Unione Europea sono state sorprendentemente unite finora nel sostenere l'Ucraina, sia con dolorose sanzioni economiche contro la Russia che, come abbiamo visto, con la fornitura di una quantità crescente di armi all'Ucraina.
Ma ora questa unità è sempre più messa a dura prova. L'Ungheria, che ha sostenuto cinque precedenti pacchetti di sanzioni, si è opposta tenacemente all’embargo sul petrolio russo, da cui dipende pressoché integralmente. Ed anche se alla fine dovesse essere trovato un compromesso al ribasso su questo embargo, gli europei non stanno neppure pensando, almeno per ora, di tagliare le importazioni di gas russo.
Le divisioni in Europa
Le divisioni sono visibili anche negli obiettivi di guerra. I leader dell’Europa centrale ed orientale, che hanno conosciuto la dominazione sovietica, hanno quasi tutti forti opinioni sulla sconfitta della Russia, arrivando persino a rifiutare l’idea stessa di parlare con Putin, che, come il primo ministro dell'Estonia, Kaja Kallas, ed il primo ministro della Polonia, Mateusz Morawiecki, definiscono “un criminale di guerra”, come ha fatto il presidente americano Joe Biden nelle settimane scorse.
Ma Francia, Italia e Germania, ovvero i Paesi più grandi e ricchi del blocco europeo, sono sempre più ansiosi di porre fine il prima possibile ad una guerra che altrimenti si preannuncia lunga e potenzialmente molto dannosa per le proprie economie, già sofferenti a causa della forte inflazione e del rallentamento della crescita economica.
Questi Paesi pensano inoltre alla Russia come ad un Paese vicino che non potrà essere “isolato per sempre”. Dopo la sua recente rielezione il presidente francese Emmanuel Macron ha, ad esempio, dichiarato che una futura pace in Europa orientale non deve includere un'inutile umiliazione della Russia ed ha lasciato aperta la porta a future concessioni territoriali a Mosca da parte di Kyiv.
Da parte sua il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha chiesto questo mese un cessate il fuoco in Ucraina "il prima possibile" per consentire una fine negoziata della guerra, anche nel corso di una conversazione telefonica tenuta con Putin giovedì 26 maggio, che però non ha portato nessun risultato concreto.
Draghi, che ha adottato una linea dura contro la Russia in un'Italia dove l’opinione pubblica è tradizionalmente più amica di Mosca di molti altri Paesi europei, ha anche aggiunto che la pressione economica su Mosca è importante "perché dobbiamo portare la Russia al tavolo dei negoziati" il prima possibile.
Ma come afferma su Twitter Anders Åslund, l’autore del libro “Russia's Crony Capitalism”, la strategia di questi Paesi rischia di essere contro producente: Putin ha già più volte violato in passato gli accordi che aveva sottoscritto, quindi cosa impedirebbe a Putin di “iniziare una nuova guerra appena possibile” se gli verrà consentito di ottenere guadagni territoriali con la forza?
Ed in effetti a Mosca non mancano le dichiarazioni bellicose verso altri Paesi. Negli ultimi giorni, in un video appello a Putin, il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha infatti affermato che se il Cremlino gli darà l’opportunità “in soli sei secondi mostrerà alla Polonia cosa sono capaci di fare” i combattenti ceceni. E minacce verso la Polonia, ed i Paesi baltici facenti parte della NATO, si ripetono ormai giornalmente anche sulla TV di Stato russa.
Perché non c’è una controffensiva ucraina (per ora)
Da parte sua il presidente ucraino Zelensky è sempre stato molto attento a non espandere troppo i suoi obiettivi di guerra, affermando più volte che l’intento principale è il ritorno delle postazioni russe nelle posizioni in cui si trovavano il 23 febbraio, ovvero prima dell’inizio dell’invasione russa.
“Solo allora”, afferma Zelensky, “l'Ucraina sarebbe pronta a negoziare di nuovo seriamente con la Russia per un cessate il fuoco e un accordo di pace”. Anche questa settimana, di fronte alle difficoltà che gli ucraini stanno incontrando sul campo in Donbass, Zelensky ha ribadito che la guerra dovrà terminare con una soluzione diplomatica, non con una vittoria militare.
Ma vista la difficile situazione sul campo, anche solo questi obiettivi limitati sono considerati ambiziosi ed al di là delle attuali capacità militari dell’Ucraina. Per arrivarci, l'Ucraina dovrebbe infatti riprendere il controllo di Kherson e della devastata città di Mariupol, oltre ai territori persi nelle recenti avanzate russe nel Donbass.
Il problema principale in questo senso è che per passare all'offensiva normalmente è necessario un vantaggio di 3 a 1 in termini di uomini che l'Ucraina ora non possiede, armi a parte.
Non si intravede, perciò, al momento la possibilità concreta di una controffensiva su larga scala delle forze ucraine nei prossimi mesi, a meno di un imprevisto collasso delle forze russe – anche se è possibile che nelle prossime settimane gli ucraini vogliano provare ad attaccare a sud nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhya, dove i russi stanno rafforzando le proprie difese, e siano riusciti già a farlo, con qualche successo, nella regione di Kherson.
Alla fine, come ammette anche la Casa Bianca, le scelte più difficili per il raggiungimento di un eventuale accordo di pace dovranno essere prese da Zelensky e dal suo governo.
Ma tutti a Washington, D.C., sono ben consapevoli del fatto che se Putin otterrà alla fine il suo ponte terrestre verso la Crimea, o se le sanzioni saranno parzialmente revocate, Biden sarà accusato dai critici repubblicani – e forse anche da alcuni esponenti democratici – di aver essenzialmente premiato Putin per il suo sforzo di ridisegnare la mappa dell'Europa con la forza.
Attenzione al dissenso in Russia
Un aiuto insperato per la Casa Bianca (e per Zelensky) può arrivare all’interno della Russia, dove nonostante la censura militare e l’ancora forte supporto popolare per l’operazione militare in Ucraina, ci sono sempre più segnali di esistenza di voci contrarie alla guerra.
Come riporta VL.ru, la mattina del 27 maggio alcuni deputati dell'Assemblea legislativa del territorio di Primorsky hanno chiesto la fine della guerra, guidati da Leonid Vasyukevich, membro della fazione del Partito Comunista, che a nome di quattro colleghi deputati si è rivolto in questo modo al presidente russo Vladimir Putin: “Abbiamo capito che se il nostro Paese non interromperà l’operazione militare, ci saranno ancora più orfani”.
Il suo discorso è stato applaudito da un altro deputato comunista che ha sottoscritto il suo appello, Gennady Shulga. Il governatore di Primorye, Oleg Kozhemyako, ha chiesto che sia Vasyukevich che Shulga fossero portati fuori dalla sala.
Successivamente l'Assemblea legislativa di Primorye ha votato per privare i due deputati comunisti espulsi dall’aula del diritto di parola all’interno delle prossime riunioni, e gli altri due deputati comunisti che secondo Vasyukevich avevano firmato l’appello contro la guerra, hanno fatto marcia indietro.
Questo episodio arriva dopo che qualche giorno fa era apparso il video di canti contro la guerra nel corso di un concerto della band russa Kis-Kis tenuto a San Pietroburgo. Si tratta di piccoli, ma indicativi, segnali di una insofferenza che cresce sempre di più dietro le quinte dell’immagine di una Russia ufficialmente unita e compatta dietro il suo presidente e la sua decisione di invadere l’Ucraina.