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Perché lo stop alla pillola abortiva in Texas è una decisione pericolosa e senza precedenti

Il giudice federale del Texas ha bandito il ricorso all’aborto farmacologico, dando ragione a quattro medici appartenenti a un’associazione antiabortista che avevano denunciato la FDA: è l’ennesima dimostrazione che la strategia delle lobby antiabortiste negli Stati Uniti si sta dimostrando molto efficace.
A cura di Jennifer Guerra
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Foto di Kevin Dietsch/Getty Images)
Foto di Kevin Dietsch/Getty Images)

Ieri il giudice federale del Texas ha bandito il ricorso all’aborto farmacologico, dando ragione a quattro medici appartenenti a un’associazione antiabortista che avevano denunciato la FDA, l’autorità che regola i farmaci negli Stati Uniti, per aver approvato la RU486 ventitré anni fa.

Da quando la Corte Suprema ha ribaltato la sentenza Roe v. Wade e 13 stati – tra cui il Texas – hanno vietato l’interruzione di gravidanza, l’aborto farmacologico è diventato il metodo abortivo più utilizzato negli Stati Uniti, sia perché è facilmente reperibile anche per posta o in farmacia, sia perché le leggi di un singolo stato non possono contrastare con una determina dell’FDA, che ha valore federale.

La decisione è senza precedenti, dato che non era mai successo che uno stato scavalcasse una decisione dell’FDA in merito all’utilizzo di un farmaco. Il presidente Biden ha annunciato ricorso, che le corti superiori hanno una settimana di tempo per valutare. Nello stesso momento, un giudice dello stato di Washington ha ordinato alle autorità statunitensi di non apportare modifiche che limitino l'accesso alla RU486 negli stati democratici. Poiché le due sentenze confliggono, è probabile che la materia finisca ancora una volta alla Corte Suprema.

La causa intentata dai medici antiabortisti, sostenuti dalla lobby legale anti-gender e anti-scelta Alliance Defending Freedom che già aveva avuto un ruolo cruciale nella causa Dobbs alla Corte Suprema, era giudicata inammissibile da molti esperti legali, visto che la RU486 è utilizzata in tutto il mondo, raccomandata dall’Oms e autorizzata per oltre vent’anni negli Stati Uniti.

Tuttavia, il giudice che ha accolto la richiesta dei medici, Matthew Kacsmaryk, è notoriamente conservatore e nominato da Trump che infatti, come riporta Politico, nella sentenza ha usato un linguaggio tipicamente antiabortista, parlando di “uccisione di bambini non nati” e del “serio trauma psicologico” causato dalla pillola abortiva.

L’abolizione dell’aborto farmacologico avrà conseguenze devastanti sulla salute riproduttiva, senza contare che una sentenza simile costituisce un precedente per l’abolizione arbitraria di altri farmaci oggetto di polemica, come i vaccini. Secondo la sentenza di Kacsmaryk, l’FDA avrebbe sottovalutato i supposti pericoli della RU486 e ignorato le petizioni dei gruppi antiabortisti che si opponevano all’introduzione del farmaco. Ma la sentenza ignora le numerose evidenze scientifiche che confermano il fatto che il mifepristone è un farmaco sicuro. Le più recenti linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità presentano l’aborto farmacologico, anche auto-somministrato, come una metodologia sicura tanto quanto l’aborto chirurgico, e anzi preferibile qualora l’accesso alle risorse mediche e all’igiene sia compromesso.

È evidente che la sentenza texana poggi su basi ideologiche ben precise: non solo è stata intentata da specifici gruppi di interesse, ma questi hanno anche scelto di farlo in un distretto in cui sapevano che c’era un giudice che avrebbe accolto le loro istanze, una pratica nota come “judge shopping”. Nessuno dei querelanti ha alcun legame con Amarillo, la città del Texas in cui è stata intentata la causa, e anche per questo motivo il dipartimento di giustizia aveva chiesto a Kacsmaryk di archiviare il caso.

Le speranze che la corte d’appello del Texas, anch’essa di orientamento conservatore, rimetta il caso sono molto poche, ma questa sentenza è l’ennesima dimostrazione che la strategia delle lobby antiabortiste negli Stati Uniti si sta dimostrando molto efficace. Numerose inchieste hanno rivelato come queste lobby siano riuscite ad avvicinarsi sempre di più ai luoghi di giustizia più prestigiosi, tra cui la Corte Suprema.

Solo pochi giorni fa ProPublica ha pubblicato un’ampia inchiesta che documenta i rapporti di amicizia e i costosi regali ricevuti per oltre vent’anni dal giudice della Corte Suprema Clarence Thomas da parte del miliardario Harlan Crow, uno dei maggiori finanziatori del Partito Repubblicano. L’altra giudice ultraconservatrice nominata da Trump, Amy Coney Barrett, ha noti legami con Alliance Defending Freedom, la lobby legale che ha contribuito al caso che ha ribaltato la sentenza Roe v. Wade, ponendo fine a cinquant’anni di tutela legale dell’aborto negli Usa.

Questi gruppi sono riusciti non solo a entrare nelle istituzioni e nella magistratura, ma hanno anche reso l’aborto un terreno di scontro ideologico e di guerra culturale, che si unisce a tante altre crociate come quelle contro il “politicamente corretto”, le drag queen, le persone trans, la critical race theory e l’“ideologia woke”.

Tuttavia, sull’aborto la popolazione americana non si sta mostrando così intransigente e polarizzata, come dimostrano il referendum del Kansas che ha votato per mantenere inalterato l’accesso all’interruzione di gravidanza e il sorprendente risultato elettorale del Michigan, che ha inserito l’aborto nella costituzione dello stato; due stati a maggioranza repubblicana che nel giro di pochi mesi hanno preso decisioni popolari contrarie alla linea del partito.

L’amministrazione Biden piuttosto fatica a tenere testa alla devastazione dei diritti delle donne che si sta consumando nella nazione. Il presidente, cattolico, non ama parlare di aborto (tanto che esiste un sito, Did Biden Say Abortion Yet?, che tiene il conto delle rare volte in cui lo nomina), pur avendo spesso detto di voler proteggere il diritto di scelta. Nel suo discorso sullo stato dell’unione a febbraio, Biden ha assicurato che se il Congresso dovesse votare un divieto totale dell’aborto, eserciterebbe il suo diritto di veto. Tuttavia, secondo gli esperti servirebbe una legge che assicuri l’accesso all’interruzione di gravidanza, cosa che non è mai stata tentata in cinquant’anni dalla sentenza Roe v. Wade e che anche ora sembra un’ipotesi ancora più lontana.

La maggior parte degli americani pensa che l’aborto debba essere legale, eppure una manciata di persone sta ignorando queste istanze, sulla base di convinzioni morali e religiose arbitrarie, spesso in contrasto con le evidenze scientifiche. Sulla base di un’autoproclamata “tutela della vita”, mettono in pericolo la salute di milioni di persone, senza fare nulla per arginare i costi sempre più elevati dei servizi sanitari per madri e neonati o per fermare la povertà infantile.

Il divieto di aborto farmacologico non fermerà gli aborti, li renderà soltanto più pericolosi, come d’altronde sta già accadendo con il divieto di aborto chirurgico. Proprio in Texas cinque donne hanno denunciato lo stato per non aver ricevuto un aborto terapeutico pur di fronte alla morte naturale del feto, rischiando la loro vita. Chissà se agli occhi del giudice Kacsmaryk anche la loro vita vale qualcosa.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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