L'incontro a Washington tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, segnerà il futuro del conflitto israelo-palestinese e degli equilibri in Medio Oriente. Netanyahu, accolto alla Casa Bianca tra le proteste degli attivisti per Gaza, è il primo leader straniero che incontra Trump dopo il suo insediamento lo scorso 20 gennaio. Questo conferma ancora una volta la centralità che ha per gli Stati Uniti il sostegno per lo stato di Israele dopo le ripetute dichiarazioni di Trump sul piano per “ripulire” e deportare “permanentemente” i palestinesi dalla Striscia di Gaza, definito come un “luogo di demolizione” dopo 15 mesi di guerra.
Il presidente degli Stati Uniti ha affermato per la prima volta anche che gli Usa potrebbero “prendere il controllo” di Gaza per trasformarla nella “Riviera del Medio Oriente”. Nei giorni scorsi, Egitto, Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Autorità nazionale palestinese avevano inviato una lettera al Segretario di Stato Usa, Marco Rubio, in cui hanno rispedito al mittente le proposte di Trump. Per Hamas, un piano del genere contribuirebbe solo a “creare il caos”. Secondo il Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Michael Waltz, ci vorranno tra i 10 e i 15 anni per rendere di nuovo “abitabile” la Striscia.
L'asse di ferro tra Washington e Tel Aviv
Le visite di Netanyahu a Washington hanno sempre segnato una svolta significativa per le sorti del Medio Oriente. Nel marzo del 2015, durante la presidenza di Barack Obama, Netanyahu aveva parlato al Congresso tuonando contro l'accordo di Vienna sul nucleare con l'Iran, voluto dall'ex presidente democratico. Lo scorso 27 settembre, dopo il suo intervento alle Nazioni Unite, duramente criticato da Israele per le accuse mosse contro Tel Aviv per la crisi umanitaria a Gaza, Netanyahu aveva ordinato l'attacco decisivo contro il quartier generale del movimento sciita libanese Hezbollah, decapitando i vertici del gruppo, incluso il leader carismatico Hassan Nasrallah.
I nuovi colloqui tra Trump e il premier israeliano hanno sancito ancora una volta i solidi rapporti tra Stati Uniti e Israele. Netanyahu, insieme al suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant, rischia di essere arrestato in seguito al mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale (Cpi), non riconosciuta dagli Stati Uniti, per crimini di guerra e contro l'umanità. Trump è il presidente Usa che si è mostrato più vicino agli interessi israeliani. Durante il suo primo mandato, Trump aveva aggravato lo scontro tra israeliani e palestinesi con lo spostamento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, e riconoscendo le rivendicazioni territoriali di Tel Aviv sulle Alture del Golan, annesse unilaterlamente nel 1967. Secondo alcuni analisti, nel suo secondo mandato, Trump potrebbe favorire l'espansione territoriale israeliana nelle colonie in Cisgiordania, ritenute illegali dalla comunità internazionale. Trump ha già cancellato le sanzioni contro i coloni israeliani, ripristinando le forniture di armamenti, congelate dall'ex presidente Joe Biden.
La seconda fase della tregua a Gaza
Sebbene gli interessi di Trump e di Netanyahu convergano nel conflitto a Gaza, il presidente Usa vuole a tutti i costi accreditarsi come il politico che ha saputo trovare una soluzione al conflitto mentre per il premier israeliano la fine delle ostilità non è una priorità, considerando la dura opposizione, interna alla sua coalizione di governo, con gli esponenti dell'estrema destra che ritengono un errore fermare la guerra. La visita di Netanyahu negli Stati Uniti è arrivata in una fase molto delicata per il difficile cessate il fuoco, raggiunto tra Israele e Hamas a Gaza lo scorso 19 gennaio. Mentre sono ripresi i colloqui in Qatar, come previsto dall'accordo dopo i primi 16 giorni di cessate il fuoco, per l'avvio della seconda fase della tregua che include la fine permanente delle ostilità.
Nelle prime sei settimane di tregua, in scadenza il primo marzo, dovrebbero essere rilasciati 33 ostaggi israeliani (18 sono già rientrati a casa) dei circa 90 nelle mani di Hamas dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. 580 sono i prigionieri politici palestinesi fino a questo momento liberati dalle carceri israeliane, alcuni condannati a pene gravi e spediti nei paesi vicini, tra cui Egitto e Turchia, su un totale di circa 2mila detenuti palestinesi che dovrebbero essere liberati, secondo gli accordi. Netanyahu aveva incontrato lo scorso lunedì l'inviato per il Medio Oriente di Trump, Steve Witkoff. I diplomatici repubblicani si attribuiscono i meriti del raggiungimento della tregua a Gaza, nonostante l'impegno profuso dall'ex presidente Joe Biden, molto criticato per non aver fermato il genocidio e la crisi umanitaria a Gaza prima dell'aggravarsi del conflitto.
Dai colloqui di pace ai raid in Cisgiordania
Sul piano dei colloqui di pace, con l'incontro tra Trump e Netanyahu, torna centrale il progetto di normalizzazione dei rapporti tra Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, avviato con gli Accordi di Abramo (2020). Questa volta però le autorità saudite hanno richiesto che, per riaprire i colloqui, si abbozzi anche un piano per la creazione di un futuro stato palestinese, molto difficile da realizzare per la presenza dei coloni israeliani in Cisgiordania e l'assenza di continuità tra i territori occupati. Tuttavia, Trump, rispondendo alle domande dei giornalisti, si è rifiutato di impegnarsi su una roadmap che porti alla formazione di uno stato palestinese. Inoltre, non è detto che il cessate il fuoco a Gaza regga.
Con l'annuncio dell'avvio della tregua, Netanyahu, che fronteggia accuse di corruzione e diffuse proteste nel paese, ha anche avvisato che si sarebbe riservato “il diritto di tornare a combattere” definendo l'intesa come “temporanea”, nonostante gli oltre 48mila morti della guerra nella Striscia. Il premier israeliano deve placare le critiche dei partiti di estrema destra nel suo esecutivo. In particolare il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha reiterato la richiesta di mantenere l'occupazione della Striscia da parte dell'esercito israeliano (Idf) dicendosi contrario a un ritiro completo delle forze militari di Tel Aviv dal corridoio Philadelphi, lungo il confine con l'Egitto.
Non solo, le autorità israeliane vorrebbero sradicare la presenza del movimento che governa Gaza, Hamas. In realtà il gruppo si è mostrato ancora capace di avere un controllo capillare sul territorio e ha saputo sfruttare le prime fasi di rilascio degli ostaggi per mostrare al mondo di essere politicamente presente, nonostante uno degli obiettivi di Netanyahu fosse la completa distruzione del gruppo dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 che hanno causato 1200 vittime israeliane e 250 ostaggi.
Nelle scorse ore, in un attacco al checkpoint di Tayasir in Cisgiordania, sono stati uccisi due soldati israeliani dai miliziani di Hamas. Il raid, che secondo il gruppo che governa Gaza sarebbe in risposta alle operazioni militari dell'Idf nel campo profughi di Jenin che hanno causato oltre 70 morti nelle due ultime settimane, potrebbe mettere a dura prova la tenuta della tregua. L'Operazione “Muro di ferro” avviata dall'esercito israeliano in Cisgiordania ha provocato fin qui 15mila sfollati e la distruzione di 120 edifici. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), le cui attività sono state vietate in Israele con accuse dirette ad alcuni suoi dipendenti di aver preso parte agli attacchi del 7 ottobre 2023, ha paragonato Jenin a “una città fantasma”. Non solo, gli uffici di Unrwa sono stati attaccati e danneggiati durante i raid israeliani in Cisgiordania. Gli Stati Uniti di Trump hanno bloccato i finanziamenti all'Agenzia e si sono ritirati dal Consiglio Onu per i diritti umani, come era successo anche durante il primo mandato del presidente repubblicano.
L'Iran torna a essere uno “stato canaglia”
L'Iran è tornato ad essere il nemico numero uno degli Stati Uniti. Alla vigilia dei colloqui con Netanyahu, il presidente Usa ha chiesto di “annientare l'Iran” se dovesse essere assassinato. Gli Stati Uniti hanno accusato Teheran di aver tentato di uccidere Trump durante la campagna elettorale per le presidenziali. L'Iran ha sempre rinviato al mittente le accuse. Tuttavia, think tank internazionali hanno reso note varie prove di intelligence, secondo le quali l'Iran avrebbe organizzato raid mirati in difesa degli interessi iraniani in Europa e nel mondo, con lo scopo di bilanciare gli attacchi di Tel Aviv in Siria e gli omicidi degli ingegneri impegnati nel programma nucleare iraniano.
Prima di incontrare Netanyahu, Trump ha anche annunciato il ripristino di dure sanzioni contro Teheran con lo scopo di azzerare l'esportazione di petrolio del paese, così come aveva fatto durante il suo primo mandato, e di impedire che l'Iran possa dotarsi di un'arma nucleare. Secondo Trump, l'ex presidente Biden ha lasciato fare le autorità iraniane sia in materia di arricchimento dell'uranio sia in merito al controllo delle milizie sciite nei paesi vicini. Il repubblicano ritiene anche che l'Iran sia “troppo vicino” a realizzare l'arma atomica.
La visita di Netanyahu segnerà la politica estera Usa in Medio Oriente, durante la presidenza Trump, spingendola su due assi, già tracciati nel suo primo mandato: sostegno senza limiti a Israele e scontro totale con Teheran.