Perché l’incontro tra Xi Jinping e Joe Biden è stato positivo e di cosa hanno discusso i due leader
Bastano quattro ore per recuperare un anno esatto di assenze e lontananza? Dopo aver attraversato turbolenze legate allo scontro commerciale e tecnologico, alla guerra in Ucraina e in Medio Oriente, alle tensioni socio-economiche globali e militari intorno a Taiwan, è finalmente ripartito il dialogo tra Usa e Cina.
Dal G20 di Bali all’Apec di San Francisco
L’ultimo incontro avvenne nel novembre scorso a Bali, in Indonesia, mentre quello di mercoledì, svoltosi in occasione dell’APEC Summit di San Francisco (incontro per la cooperazione economica dei paesi dell’Asia Pacifico) ha suscitato come sempre diverse narrazioni. Ciò che conta davvero però, è che questa volta Usa e Cina concordano nel considerarlo un successo rispetto alla situazione di profonda crisi ed eventuale conflitto che si andava delineando.
È vero che, come lamentano alcuni, non sono stati compiuti grandi passi avanti sui temi che realmente stanno opponendo i paesi, ma la ripresa del dialogo tra le due più grandi potenze economiche, tecnologiche e militari al mondo è di certo il fattore più importante. Sono anche stati trattati altri temi e siglati importanti accordi, come la ripresa delle comunicazioni militari – soprattutto in periodi di emergenza – e la riduzione della produzione di fentanyl, oppioide sintetico dalle 50 alle 100 volte più forte della morfina, in crescita anche in Italia e colpevole di oltre la metà dei casi di overdose in Usa, dove nel 2020 ha causato 42,7 mila decessi.
Un caldo imbarazzo: la fragilità dei colossi
Partiamo dall’accoglienza e dai modi utilizzati dai leader. Biden ha accolto calorosamente Xi a Filoli, dimora secolare californiana scelta per il vertice. Il presidente americano l’ha definito come l’incontro “più costruttivo e produttivo” tra i due leader da quando ha assunto l’incarico. Anche Xi si è mostrato accomodante all’arrivo, affermando “la Terra è abbastanza grande” per entrambe le potenze, le quali sono “pienamente capaci di superare le differenze”. Il presidente cinese si è detto convinto del fatto che “per due grandi Paesi come Cina e Stati Uniti voltarsi le spalle a vicenda non è un’opzione, perché un conflitto avrebbe conseguenze insostenibili per le parti”.
Nonostante questo, la tensione, l’emozione, o forse il peso della responsabilità condivisa, erano evidenti e possono essere riassunti in due episodi che hanno coinvolto entrambi nel parlare della propria relazione. Biden infatti ha spesso fatto riferimento in passato al lungo rapporto con Xi, ma questa volta ha evitato le regolari parole “vecchio amico”. In più, un tema usato dai detrattori del meeting, riguarda la risposta imbarazzata che il capo della Casa Bianca ha dato ad un giornalista che lo ha incalzato sulla sua visione di Xi come dittatore, “Beh, guarda, lo è”, ha replicato Biden “voglio dire, è un dittatore, nel senso che è un ragazzo che governa un Paese che è un Paese comunista”.
Viceversa, anche Xi ha avuto i suoi momenti, in particolare quando ha ricordato i 12 anni dal primo incontro con Biden – entrambi da vicepresidenti – ma poi è stato Biden a ricordare che il proprio compleanno è lo stesso giorno (20 novembre) di quello di Peng Liyuan, moglie di Xi, omaggiata dei suoi auguri. Secondo quanto riportato dal The Guardian, Xi si è detto imbarazzato per essersi dimenticato dell’avvenimento condiviso a causa del duro lavoro legato all’incontro.
Import di capitali, export di Panda
Inoltre, entrambi i leader sono arrivati all’incontro politicamente indeboliti. Biden dal proprio stesso partito che rallenta l’avanzata della strategia nell’Indopacifico per timore di una ritorsione elettorale dei lavoratori americani, come già accaduto per altri accordi internazionali. Xi che arriva in un momento di difficoltà economiche importanti per il suo Paese in cui, dopo lo scossone della zero-covid, delle sanzioni e delle nuove politiche sui privati, gli investitori americani iniziano a volare via a tal punto che il Partito si apre ai capitali stranieri con un evento da 40mila dollari a ingresso per poter cenare con il Presidente cinese.
Secondo la descrizione di Pechino, Xi ha chiesto a Biden di revocare le sanzioni e di modificare le regole sulle esportazioni di tecnologie sensibili. “Soffocare il progresso tecnologico della Cina non è altro che una mossa per contenere lo sviluppo di alta qualità e privare il popolo cinese del suo diritto allo sviluppo”.
Non solo gli investitori, anche gli studenti americani sono drasticamente diminuiti in Cina, passando dai 15 mila della pre-pandemia ai poco più di 300 di ora, contro i circa 300 mila studenti cinesi in Usa. Si è dunque parlato anche di ripresa delle relazioni people-to-people. In questo contesto, come segno di apertura cinese, è stata ripristinata la “Panda diplomacy”, con l’annuncio del ritorno dei Panda giganti allo zoo di San Diego dopo che furono riportati indietro a seguito della guerra commerciale del 2019.
Fentanyl: un’altra guerra dell’oppio
Nel dialogo sull’export cinese, purtroppo, non rientrano solo i Panda. Un importante traguardo del meeting consiste nell’essersi accordati sulla riduzione di produzione di fentanyl da parte di Pechino che ad oggi rimane il principale produttore mondiale di una sostanza mortale diffusa prevalentemente negli Stati Uniti. Qui è tra le principali cause di overdose e ha portato i tassi di mortalità da oppioidi sintetici a crescere del 1040% tra il 2013 e il 2019. Potrebbe apparire solo come una sorta di Guerra dell’oppio al contrario, ma in realtà anche le società farmaceutiche e il governo Usa hanno fatto la loro parte in questa impresa.
Un tema che riguarda anche l’Italia (quarto consumatore al mondo al 2021) ma che a maggior ragione in Usa diviene fondamentale per la campagna elettorale. Secondo l’accordo, il governo cinese andrebbe direttamente a intercettare le compagnie che producono i precursori del fentanyl. Il problema secondo alcuni analisti è che Pechino ha già fatto simili promesse in passato, potrebbe non voler agevolare la campagna di Biden o voler continuare a destabilizzare la società americana dall’esterno (non diversamente dagli inglesi nel 19° secolo in Cina). L’opportunità è che la situazione di oggi, nelle sue criticità, è differente e potrebbe aprire ad uno sforzo di altro tipo.
Taiwan: stesso copione ma nuove elezioni
Uno sforzo di altro tipo necessario se, come affermato dagli stessi Presidenti, la posta in gioco è così alta. Non solo people-to-people, i leader hanno ripristinato le comunicazioni military-to-military, sospese dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei lo scorso anno. Anche un tipo di intesa simile era già stata proposta in passato, ma la verità è che il futuro del rapporto militare tra le potenze per ora passa per l’argomento, definito dallo stesso Xi, come il più sensibile: Taiwan.
Biden e Xi hanno avuto una conversazione franca ma non tesa sull’isola di Formosa. Il presidente Usa riafferma la One China Policy, “non cambierà” ha affermato “dobbiamo assicurare che la competizione non diventi conflitto”. Tuttavia, “non si aspetta interferenze” del governo mandarino nelle prossime elezioni di Taiwan previste per gennaio 2024. Viceversa, secondo il readout del ministro degli esteri cinese, Xi ha intimato a Biden di non armare più Taipei. “La parte americana dovrebbe smettere di armare Taiwan e sostenere la riunificazione pacifica della Cina”. La risposta non è stata accomodante. Biden ha reiterato la sua volontà di continuare ad armare Taiwan come deterrente, riproponendo la già nota ambiguità strategica, e affermando in più occasioni di aver imparato qualche lezione dall’Ucraina. Su Taiwan è anche emerso il tema dei diritti umani, una preoccupazione estesa anche nello Xinjiang e ad Hong Kong.
Secondo quanto riportato dall’agenzia statale cinese Xinhua, Xi avrebbe dichiarato che “la Cina alla fine sarà riunificata e inevitabilmente sarà riunificata”. Secondo gli analisti di entrambi i Paesi, i presidenti hanno ripetuto lo stesso copione di sempre, ma anche qui c’è una differenza. Infatti, attualmente a Taiwan governa il Partito democratico progressista ma l’accordo tra il Kuomintang e il Partito popolare cambia gli equilibri della tornata elettorale e potrebbe porre un governo più favorevole a Pechino. Un’azione che sommandosi alle iniziative di integrazione economica dell’isola con la Cina continentale, potrebbe cambiare lo scenario e gli equilibri dall’interno.
Kiev e Gaza tra Mosca a Teheran
Se da una parte è vero che Pechino da tempo richieda di essere trattato alla pari degli Usa, dall’altra è vero che spesso gli Usa glielo concedono solo quando per loro è più opportuno, per esempio, nel richiedere oggi una presa di responsabilità su due enormi conflitti. Biden non ha risposto alle accuse sull’armare Taiwan con le solite contro-accuse sul supporto tecnologico di Pechino a Mosca. Ha però richiesto a Xi un maggiore sforzo nel frenare la Russia in Ucraina e il supporto iraniano ad Hamas.
“I due Paesi più potenti del mondo non si piacciono né si fidano l’uno dell’altro e il loro rapporto si sta deteriorando strutturalmente, ma entrambi sono anche adulti geopoliticamente” afferma Ian Bremmer, presidente e fondatore di Eurasia Group. “Quindi, mentre gli Stati Uniti e la Cina appoggiano cavalli diversi sia nella guerra Russia-Ucraina che in quella Israele-Hamas, i due Paesi hanno anche forti interessi nel garantire che i conflitti non si espandano ulteriormente”.
Se, da una parte, ci sono molti meno campi di collaborazione rispetto al passato e non si compiono più azioni congiunte (neanche per una dichiarazione condivisa), dall’altra, “gli interessi strategici della Cina nel resto del mondo sono principalmente guidati dal commercio", continua Bremmer. "Almeno per ora, Pechino è molto meno interessata a sfruttare le crisi geopolitiche globali che a garantire che non si deteriorino ulteriormente, minacciando l’economia e la sicurezza nazionale”.
Intelligenza artificiale nucleare
Non c’è stata nessuna discussione invece sulla Nord Corea, nonostante fosse un tema centrale in passato, quando vantava un arsenale nucleare più ridotto rispetto ad ora. Si è parlato però delle azioni che potrebbero essere considerate come le più aggressive per innescare tragedie, a partire dai voli in spazi aerei non autorizzati, ai confronti navali nel mar cinese meridionale.
Poi si è discusso di intelligenza artificiale, di come affrontare questa sfida comune che andrà a cambiare non solo la società e l’economia ma anche le modalità di un eventuale conflitto. Purtroppo non si è affrontato un aspetto critico del tema, ovvero l’implementazione dell’intelligenza artificiale negli arsenali nucleari. Ci sono state alcune discussioni sul limitare la proliferazione di armamenti atomici, ma Xi rifiuta di affrontare la questione finché la Cina non avrà a sua disposizione lo stesso arsenale di Usa e Russia. Anche qui ci sono due piani di lettura: una minaccia di crescita dell'arsenale atomico cinese; un'intimazione alla riduzione di quelli americani e russi.
Prime potenze, primi inquinatori
Vale più o meno lo stesso per il cambiamento climatico. Nonostante le pressioni sulla riduzione delle emissioni nocive e sui nuovi impianti a carbone, la Cina è del parere che abbia avuto un decimo del tempo per industrializzarsi rispetto ai Paesi occidentali oggi responsabili della gran parte delle emissioni accumulate in atmosfera nell'ultimo secolo. Limiterà quindi le emissioni ma con tempi più dilatati rispetto agli Usa che, nonostante tutto, rimangono oggi i primi al mondo per emissioni pro-capite. Non si è discusso di cambiamenti climatici, dunque, ma una svolta c’è stata ugualmente poche ore prima del meeting, con la Dichiarazione di Sunnylands, accordo volto ad accrescere la cooperazione contro la crisi climatica, guidato dai diplomatici John Kerry e Xie Zhenhua.
Matrimoni combinati: i media cinesi e russi
All’interno dei media di stato cinesi la narrazione dell’incontro è estremamente positiva. Viene raccontato un grande successo per il presidente Xi, e viene quasi esclusivamente data voce alle sue parole di pace e riconciliazione con importanti traguardi nel campo dell’intelligenza artificiale e della comunicazione militare. “La Cina e gli Stati Uniti dovrebbero avere una nuova visione, ha affermato Xi, lavorando insieme per consolidare i cinque pilastri delle relazioni Cina-Stati Uniti, tra cui stabilire un corretto riconoscimento reciproco, gestire le differenze in modo efficace, promuovere congiuntamente una cooperazione reciprocamente vantaggiosa, assumersi congiuntamente le responsabilità delle grandi potenze e promuovere gli scambi culturali.”
I social cinesi hanno gradito meno. Il cambio così rapido di narrazione sugli americani non è stato compreso da tutti. Per mesi i media statali hanno descritto Biden come un nemico che voleva limitare la crescita della Cina e dei cinesi. Molti sono rimasti confusi, come questo post poi censurato su Weibo: “Non sono online da due giorni… uno sguardo ai trending topic mostra che l'atmosfera tra Cina e Stati Uniti è come se una coppia in un matrimonio combinato si innamorasse”. Da un lato, sono numerosi i contenuti che attaccano Biden, dall’altro alcuni attimi di cordialità tra i due leader sono diventati virali, come il momento in cui Joe ha accompagnato il suo “vecchio amico” alla macchina. I media russi hanno invece preferito non dare molta rilevanza all’evento, scegliendo di non parlarne (v. Kommersant, Izvestia, Argumenty i Fakty, Nezavisimaya Gazeta and Komsomolskaya Pravda), di trattarlo come un argomento di poco conto o descrivendolo come poco partecipato. Le agenzie statali si sono concentrate sulle tensioni tra Usa e Cina.
Troppo grandi per crollare?
Se l'esito dell’incontro è stato positivo per entrambe le parti, ora serve capire quali azioni verranno effettivamente intraprese e quanto tempo passerà per il prossimo step. Ci si trova davanti ad una situazione dove un costruttivista, un liberale e un realista, potrebbero non avere punti in comune e vedere esiti radicalmente diversi. C’è chi crede nell’interesse comune o chi confida nel ruolo delle istituzioni e nella creazione di nuovi paradigmi, ma c’è anche chi sa che gli interessi e le istituzioni per quanto grandi e comuni, possono sempre essere vittime di un’incontrollata corsa agli armamenti che alimenta il fatidico dilemma della sicurezza, ovvero quella percezione paradossale per cui creare sicurezza in casa proprio significa creare insicurezza all’esterno, avviando una reazione a catena che Biden e Xi sembra abbiano dato prova di voler evitare. Almeno per ora.