Si fa presto a dire sanzioni. A un mese e mezzo dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, e dopo il varo di una serie infinita di sanzioni contro la Russia (siamo oltre le 6mila, e se ne stanno preparando altre) e di sequestri di beni a carico di personaggi noti degli ambienti politici ed economici russi, qualcuno comincia a dubitare che si tratti della strategia giusta. Bisognerebbe tra l’altro intendersi anche sulla definizione di “strategia giusta”. Se lo scopo è far finire la guerra il più presto possibile, le sanzioni non sono lo strumento giusto, perché comunque fanno effetto (se e quando lo fanno) in tempi medio-lunghi: la stessa Russia ma anche Cuba, l’Iran, la Siria e tanti altri Paesi sono sotto sanzioni da molti anni e non hanno cambiato né convinzioni politiche né modo di agire.
A cosa servono le sanzioni
Che cosa ci si propone di ottenere, allora, con le sanzioni? Il ministro dell’Economia della Francia, Bruno Le Maire, lo disse un mesetto fa a chiare lettere: “Il crollo dell’economia russa”. È possibile? E in quanto tempo? Sono 37 i Paesi che hanno adottato sanzioni contro la Russia: non rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale (Paesi enormi come Cina e India non hanno aderito) ma raccolgono circa il 60% dell’attività economica del pianeta. L’Ispi ha calcolato che le sanzioni avrebbero bloccato il 12% delle importazioni russe e il 7% delle sue esportazioni. Tanto, ma non tantissimo. In più, il condizionale è d’obbligo, perché il commercio e il guadagno hanno vie infinite: è tuttora possibile, per esempio, esportare certi beni proibiti alla Russia (tecnologia, pezzi di ricambio per aerei ecc.) in Paesi come Armenia o Kazakhstan, dove astuti mediatori provvedono poi a rivenderli ai russi.
Il Governo russo comunque non nasconde di essere in difficoltà. Ieri, per esempio, il primo ministro Mishustin ha detto in pubblico che “a causa della situazione internazionale” (si noti la delicata metafora) i russi potrebbero patire di una scarsità di farmaci, e infatti nello stesso tempo ha annunciato alcuni provvedimenti per incentivare l’industria farmaceutica nazionale. Si sa, per esempio, che a causa delle sanzioni il prezzo delle automobili è cresciuto di botto (e infatti i russi vanno a comprarle in Kazakhstan, vedi sopra, dove costano molto meno) e che l’edilizia si è quasi fermata. Ma far crollare l’economia russa è ancora un altro paio di maniche.
Tutti i soldi che (ancora) arrivano in Russia
Qui bisognerebbe fare un po' di conti in tasca a Vladimir Putin, impresa non facilissima. Il sistema internazionale ha tagliato fuori la Russia quasi del tutto, sanzionando le banche più importanti e comunque vietando l’accesso allo Swift (il sistema di trasmissione delle operazioni bancarie) alla finanza russa. Ma, appunto, quasi, perché Gazprombank, cioè la banca di Gazprom, che è l’azienda di Stato monopolista nella vendita estera del gas naturale, non è stata sanzionata, perché il gas russo continuano a comprarlo tutti. E i Paesi della Ue, che pure sono compatti nell’embargo contro la Russia, in anni normali versano a Gazprom 230 miliardi di euro, cifra che in questo 2022 di guerra e prezzi alti potrebbe quasi raddoppiare. Il che vuol dire che a Mosca arriva comunque un bel gruzzolo, al quale vanno aggiunti i denari delle riserve della Banca Centrale di Russia. Anche qui: le sanzioni hanno bloccato gran parte dei 640 miliardi di dollari che il Cremlino aveva messo da parte, ma non tutto. Ci sono ancora 133 miliardi in oro, conservati al sicuro in Russia, e almeno 87 miliardi di dollari in yuan conservati in Cina, Paese amico della Russia. Non è molto ma c’è di che tirare avanti per un pezzo. Anche perché la Banca Centrale di Russia nel primo mese di guerra ha speso molto (circa 39 miliardi di dollari) ma è riuscita a risollevare il rublo dallo sprofondo e a riportarlo alle quotazioni di prima dell’invasione, evitando così di rendere le importazioni troppo onerose e, soprattutto, di spargere il panico nella popolazione.
In più, ovviamente, ci sono tutti i commerci e gli affari di cui la Russia continua a godere con i Paesi che non partecipano alle sanzioni. Il commercio bilaterale tra Russia e Cina, per esempio, è cresciuto tantissimo negli ultimi anni: del 35% nel solo 2021, quando ha toccato la cifra record di 150 miliardi di dollari, puntando (se le previsioni di Putin sono azzeccate) a valicare il muro dei 200 miliardi entro il 2024. Parliamo dell’India: nel 2021 la Russia ha esportato in India beni (in gran parte petrolio e fertilizzanti) per 7 miliardi di dollari ma soprattutto proprio con l’India sta provando a mettere a punto un sistema di pagamenti centrato sullo Yuan (la valuta cinese) e sullo Spfs, un sistema per veicolare le transazioni alternativo allo Swift. Se l’esperimento funzionasse, una parte importante del boicottaggio occidentale sarebbe aggirata. Non a caso Mosca ha offerto a Nuova Delhi consistenti sconti sulle forniture di petrolio.
I casi Cuba e Iran
Si potrebbe continuare all’infinito, così come infiniti sono i sistemi, ipotetici o reali, per combattere le sanzioni varate contro la Russia. La conclusione, però, è una sola. Il crollo del sistema economico russo non è per domani e nemmeno per dopo domani. Cuba è rimasta sotto sanzioni per sessant’anni, ha sofferto, è vissuta in povertà ma non è crollata. L’Iran è sotto sanzioni in pratica dal 1979, e non è crollato. Perché la Russia, molto più sanzionata di questi due esempi ma anche molto più robusta, dovrebbe crollare in tempi stretti? Il che, ovviamente, è una pessima notizia per gli ucraini e per chi spera di veder finire in fretta questa guerra insensata.