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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Perché le proteste nei campus Usa contro la guerra a Gaza continuano a crescere

Intervista allo storico dell’Università di Houston Robert Buzzanco sulle mobilitazioni in corso nei campus universitari negli Stati Uniti: “Più le proteste nei campus cresceranno più ricorderanno i movimenti del passato, a partire dal Vietnam”.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Abbiamo parlato delle mobilitazioni in corso nei campus universitari negli Stati Uniti con lo storico dell'Università di Houston, Robert Buzzanco, che ha preso parte alle proteste sin dalle prime manifestazioni per Gaza lo scorso autunno. Il docente, oltre ad essersi ampiamente occupato della guerra in Vietnam, tra le altre cose, è animatore del podcast, molto seguito negli Usa, Green and Red.

Lo storico dell'Università di Houston, Robert Buzzanco
Lo storico dell'Università di Houston, Robert Buzzanco

Le proteste e gli accampamenti nei campus statunitensi contro la guerra in corso a Gaza continuano a crescere?

Sì, continuano a crescere giorno dopo giorno. I primi accampamenti sono iniziati giorni fa con le prime 10-15 occupazioni, velocemente hanno raggiunto le 50 e poi hanno oltrepassato le cento pochi giorni fa. Ormai la lista degli accampamenti negli atenei Usa è arrivata a circa 150, inclusi gli
accampamenti in università americane che si trovano fuori del paese, ma la vasta maggioranza si trova negli Stati Uniti. Questo per parlare solo degli accampamenti, il numero di proteste di ogni genere è molto più alto.

Quali sono gli slogan di queste proteste? È presente una forma di intersezionalità con altre mobilitazioni, come con il movimento Metoo o con le proteste contro i cambiamenti climatici?

Le proteste fin qui si sono concentrate su Gaza ma all'interno dei campus si intrecciano con le richieste rivolte alle università di tagliare gli investimenti e le collaborazioni con le aziende e le corporations che si occupano di produzioni militari e che fanno affari con Israele. Non c'è in sé intersezionalità con altri movimenti ma queste proteste mettono anche in luce l'uccisione di donne e bambini a Gaza e il danno commesso all'ambiente. Quindi questi temi si intrecciano indirettamente. Si tratta di un movimento per la giustizia, la pace e contro l'imperialismo. Tra gli slogan che si sentono nei campus Usa ci sono: “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera” e l'uso delle parole “intifada” e “genocidio” in alcune occasioni. Proprio questi slogan sono stati usati da Biden, dai media e dalle lobby sioniste per montare false accuse di anti-semitismo verso il movimento.

Ha partecipato alle proteste? Come sono iniziate? Sono spontanee o ben strutturate?

Ho partecipato ad alcune di queste manifestazioni senza fermarmi negli accampamenti. Sono iniziate subito dopo i fatti dello scorso ottobre. Nei campus, gruppi come Students for Justice in Palestine (SJP) e Jewish Voice for Peace (JVP) si sono organizzati e hanno portato a termine varie azioni ben prima dei primi accampamenti, quindi erano pronti per farlo. Credo che queste mobilitazioni siano stimolanti, dimostrano che bisogna alzare la voce contro queste atrocità commesse contro i diritti umani. Porteranno a un cessate il fuoco? Fino a questo momento Israele e Biden sono stati intransigenti e hanno solo accelerato le uccisioni, le consegne di armi e di aiuti. Ma non ci sono dubbi che, in senso più generale, le proteste hanno vinto – fuori dagli Stati Uniti il mondo è pro-palestinese. Ovviamente, mentre Israele invade Rafah e gli Usa non fanno nulla, le proteste cresceranno. Non so quale sarà il risultato ma posso dire con certezza che ci sarà sempre maggiore repressione da parte delle forze dell'ordine nei campus.

Quale è stata la reazione della polizia alle proteste? Le forze dell'ordine entrano nei campus, arrestano gli studenti? Ha assistito a episodi di violenza?

La polizia ha attaccato brutalmente queste proteste negli atenei (per volere dei rettori delle università e dei sindaci delle grandi città, molti dei quali, e vorrei sottolinearlo, sono Democratici). Stanno usando tattiche simili all'estate del 2020 (le proteste contro le violenze della polizia dopo l'uccisione di George Floyd, ndr), aggrediscono brutalmente chi protesta, distruggono gli accampamenti, procedono ad arresti di massa (già oltre 2mila). Gli arresti sono stati motivati su accuse inventate di disturbo alla quiete pubblica e vandalismo. Le proteste sono state non-violente. Agli studenti, tuttavia, è stato chiesto da parte dei dirigenti delle università di andare via perché gli accampamenti non sarebbero “zone dove si può parlare liberamente” o perché non hanno permessi, o semplicemente perché i rettori vogliono che il problema sparisca e sono stati intimiditi dai
discorsi di destra nel Congresso. La violenza in queste proteste viene dalla polizia.

Sono presenti “infiltrati” all'interno degli accampamenti, come figure esterne o militanti più avanti con gli anni?

Certamente, ci sono contestatori che non sono né studenti né docenti. Questo è un movimento pubblico, molti si uniscono al di fuori della comunità universitaria, come sempre. Ma la gran parte dei componenti delle proteste sono studenti. Rispetto al tema degli “infiltrati” o degli “agitatori esterni”, come vengono chiamati retoricamente dai media per cercare di discreditare i contestatori, è qualcosa che hanno sempre fatto, lo stesso avvenne durante lo Sciopero generale del 1877, anche note come le proteste dell'Haymarket. Si tratta semplicemente di un tentativo di distrarre le persone dalla repressione nei campus e, cosa più importante, dall'assalto inesorabile e senza freni di Israele alla Palestina.

Il presidente Usa ha dichiarato che non fornirà più armi a Israele se invaderà Rafah. Crede che queste proteste potranno avere un impatto sulla ri-elezione di Joe Biden alle prossime presidenziali?

Queste proteste possono solo danneggiare Biden alle elezioni. I giovani, che hanno votato per lui in massa nel 2020, sono arrabbiati e sembra che boicotteranno il voto in massa. E il rifiuto di Biden di impegnarsi sul tema che difendono i contestatori (il suo sostegno per il genocidio) e la richiesta di “law and order” nei campus, che in altre parole è un incitamento alla violenza, lo danneggeranno ancora di più.

Si possono comparare questi movimenti studenteschi con le mobilitazioni contro la guerra in Vietnam e il movimento del '68?

È un tema molto ampio da affrontare. Le proteste in corso sono iniziate subito dopo il 7 ottobre 2023. Durante la guerra in Vietnam, le proteste sono iniziate solo quando c'è stato il coinvolgimento profondo nella guerra da parte degli Stati Uniti. Le proteste in corso hanno avuto un successo
immediato, oltre il 50% degli americani ora vede negativamente Israele e sostiene il cessate il fuoco. Negli anni Sessanta, invece inizialmente le proteste non sono state così popolari. Entrambi i movimenti hanno fatto pressione sulle amministrazioni al potere con lo scopo di spingerle a rivalutare le loro politiche, senza grande successo. Lyndon Jonson, Richard Nixon e Biden hanno tutti intensificato le guerre nonostante le proteste. Alla fine, le proteste in Vietnam sono diventate grandi e hanno incluso membri di tutti i tipi di gruppi. Già sta succedendo lo stesso nelle attuali proteste nei campus. Sia negli anni Sessanta sia oggi, grandi gruppi sono emersi per dare struttura e significato a tante di queste azioni – gli Students for a Democratic Society al tempo della guerra in Vietnam e i gruppi SJP e JVP che abbiamo citato prima oggi. Mentre il massacro continua a Gaza, anche le proteste, così come la repressione, crescono negli Stati Uniti. Con il passare del tempo potremo quindi confrontarle meglio con le proteste del passato. Ma come è sempre stato, la classe dirigente, sia essa liberale o conservatrice, attaccherà sempre e arresterà sempre le persone che si contrappongono alla sua agenda imperialista e militarista.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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