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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Perché l’attacco di Hamas ha cambiato per sempre il conflitto tra Palestina e Israele

Claudia De Martino è un’analista ed esperta di Medio Oriente, ricercatrice presso il Coris di Roma. Con lei abbiamo parlato dell’impatto del nuovo conflitto sulla società israeliana e di come ci si è arrivati. “Per la prima volta i palestinesi hanno portato la guerra nelle case israeliane, questo è un cambiamento radicale nelle relazioni tra i due popoli”.
Intervista a Claudia De Martino
Analista Medio Oriente, ricercatrice presso il Coris (Università la Sapienza)
A cura di Valerio Renzi
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Israele è stata attraversata nell'ultimo anno da una polarizzazione politica e una frattura interna alla sua società senza precedenti. Le manifestazioni contro la riforma della Corte Suprema voluta dal governo Benjamin Netanyahu sono andate avanti per mesi, coinvolgendo centinaia di migliaia di persone. Quanto tutto questo ha a che fare con la ripresa del conflitto con i palestinesi?

Tantissimo. L'attacco non sarebbe avvenuto probabilmente se Israele non fosse stata attraversata per un anno da proteste e il governo non fosse scivolato sempre più a destra. Proteste molto polarizzanti, che hanno addirittura portato molti riservisti a dichiarare che non avrebbero più servito nell'esercito qualora la riforma fosse passata.

L'Esercito di Difesa Israeliano fino ad ora era sempre stato molto compatto, rimanendo fuori dalla politica. Nell'ultimo anno invece anche diversi generali ed esponenti dell'intelligence si sono schierati apertamente contro la riforma. L'esercito israeliano non era mai stato attraversato da tensioni simili, venendo sempre percepito all'interno e all'esterno come un baluardo dei valori israeliani, rappresentava quell'unità nazionale che la politica ha perso da tempo.

Il fronte interno è entrato indubbiamente in crisi. L'esercito israeliano è un esercito molto grande, ma composto nella gran parte da riservisti (sono circa 400.000) se non sono motivati o sono indisponibili pongono un problema strategico non irrilevante.

Il sempre maggiore peso politico dei coloni e dell'estrema destra all'interno del parlamento israeliano ha avuto delle conseguenze anche sull'agenda delle politiche di sicurezza?

I coloni hanno spinto per concentrare le forze di sicurezza in Cisgiordania, scatenando forti tensioni anche in queste ultime settimane con la popolazione palestinese, soprattutto a Nord di Israele, a Tulkarem, a Nablus a Jenin. L'esercito così deve costantemente essere presente, per frapporsi tra i palestinesi e i coloni tutelandone gli insediamenti anche se illegali, ma anche per moderare l'aggressività dei coloni.

Insomma mentre Hamas si organizzava gli occhi erano puntati da un'altra parte…

Israele ha sottovalutato la situazione di Gaza e la capacità di Hamas, anche perché i coloni hanno imposto la loro agenda sempre più aggressiva. Parliamo di 700.000 persone, una parte della popolazione significativa in termini assoluti, ma anche in grado di mobilitarsi politicamente ed elettoralmente. Una parte di popolazione dal punto di vista demografico in costante crescita, al contrario di altri settori della società israeliana. A oggi ci sono circa 130 colonie e 110 avamposti, che l'esercito deve proteggere.

Una situazione di fronte alla quale le forze progressiste sembrano inermi, incapaci di fermare l'espansionismo dei coloni e di ridare una prospettiva a un qualsiasi tipo di soluzione politica….

La soluzione che era sempre stata prospettata dal centrosinistra, che prevedeva una sorta di pragmatismo, ovvero negoziare sulle colonie “minori”,tenendo all'interno di Israele le grandi colonie che sono vere e proprie città, è diventata ormai insostenibile. Fino a quando all'orizzonte vi erano dei negoziati poteva funzionare, oggi che di negoziati non ce ne sono, e che l'idea è che i palestinesi dovranno accontentarsi un accordo economico con Israele, rinunciando definitivamente all'idea di uno stato autonomo, non funziona più. La prospettiva delle forze progressiste israeliane è andata drammaticamente in crisi: chi parla di “due popoli due stati” oggi, purtroppo, ripete un mantra vuoto. Per questo la destra israeliana è cresciuta.

Quando Israele entrerà via terra nella striscia di Gaza rischieremo un allargamento del conflitto?

L'invasione di Gaza via terra è una certezza. Io terrei fuori l'Iran dall'equazione, non mi sembra credibile un suo coinvolgimento diverso anche se il conflitto si allargasse. Chi non possiamo tenere fuori dall'equazione è Hezbollah, ma anche i gruppi sunniti della Cisgiordania e dei campi profughi che in questi anni si sono scontrati con l'espansionismo dei coloni. Pensiamo ai gruppi legati ad Al-Fatha, ma anche a milizie giovani come la Fossa dei Leoni, che hanno visto crescere la loro popolarità.

Hezbollah senza dubbio ha avuto un ruolo in quanto accaduto, ma sono molti in Libano a non volere un coinvolgimento nella guerra e probabilmente neanche l'Iran ha interesse a gettare il paese nel caos, facendo cadere l'accordo di potere che regge un paese che sta attraversando ancora una profondissima crisi economica.

Dobbiamo invece guardare dentro Israele? Cosa accadrà oggi in Cisgiordania?

L'offensiva è partita da Gaza ed è stata organizzata da Hamas, senza il coinvolgimento delle altre fazioni palestinesi, ma le cose potrebbero cambiare. Al Fatah e l'Autorità Nazionale Palestinese hanno ribadito il diritto a resistere e non hanno condannato l'offensiva, non possono insomma prendere le distanze mentre cadono le bombe israeliane anche se messi di fronte al fatto compiuto.

Sappiamo che a settembre i vertici di Hamas, della Jihad Islamica e di Hezbollah si sono incontrati. Sono convinta che questa offensiva così ben riuscita sul piano militare e della pianificazione, debba moltissimo ad Hezbollah e alle sue capacità militari. Abbiamo visto in azione tattiche di guerriglia che il gruppo libanese ha appreso negli anni della guerra civile siriana. Ma per Hezbollah venire trascinato direttamente nella guerra con Israele vorrebbe dire perdere il ruolo guadagnato all'interno della società libanese. Al contrario insisto, sono le milizie palestinesi che sono in sofferenza nel rapporto con le élite dell'Anp e con Abu Mazen, che potrebbero decidere di scendere in campo allargando il conflitto.

La società israeliana pensava fosse impossibile quanto accaduto con l'attacco di Hamas, che ha superato l'imponente meccanismo di sicurezza attorno a Gaza, portando l'attacco in profondità. Come è stato possibile?

Per la prima volta i palestinesi hanno portato la guerra nelle case israeliane, questo è un cambiamento radicale nelle relazioni tra i due popoli. Oggi il conflitto riguarda tutta Israele, la guerra è arrivata nella casa del cittadino medio che finora non si sentiva per nulla coinvolto dagli eventi. Il massacro avvenuto al festival che si teneva alle porte di Gaza è emblematico di quanto la società israeliana aveva in larga parte rimosso la questione palestinese, di quanto la popolazione araba fosse scomparsa dal loro immaginario collettivo non rendendosi più conto di avere a fianco un'enorme prigione a cielo aperto. Molti non si ricordavano quasi più di avere un problema con i palestinesi, diventati invisibili, confinati in riserve. Tanto è vero che tutto il dibattito politico era attorno ai Trattati di Abramo, se le potenze arabe e del golfo avessero normalizzato i loro rapporti con Israele, anche la questione palestinese sembrava sarebbe scomparsa per sempre. Le cose in poche ore sono cambiate. Israele può anche cercare la pace con l'Arabia Saudita e i paesi sunniti, ma finché non ci sarà la pace con l'altro popolo che vive all'interno dei suoi confini questa sarà un'illusione.

Cosa cambierà da oggi nella politica israeliana?

Il governo Netanyau e l'estrema destra avevano fatto della sicurezza la loro bandiera. L'intelligence ha fallito e il premier israeliano ha messo al centro di tutto lo scontro politico le sue vicende giudiziarie. Finito il conflitto potremmo vedere la sua leadership tramontare per sempre, aprendo una nuova fase nella politica israeliana. In che direzione andrà è difficile da dire ora, e dipenderà anche da quello che accadrà nelle prossime settimane.

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