Perché l’attacco a Kursk è stato un errore che l’Ucraina rischia di pagare molto caro
Era la notte tra il 5 e il 6 agosto quando l’Ucraina si rese protagonista di un sorprendente colpo di mano dando il via a un’offensiva nell’oblast russo di Kursk. Già nel 2023 e nella primavera di quest’anno vi erano stati dei tentativi di sfondamento in territorio nemico da parte di unità paramilitari affiliate all’esercito di Kiev, ma si erano sempre conclusi in un "nulla di fatto". Questa volta l’operazione voluta dal presidente Volodymyr Zelensky invece è riuscita a cogliere di sorpresa le difese russe: tra le 10mila e le 30mila unità sono penetrate per una trentina di chilometri oltre il confine, portando sotto il proprio controllo decine di villaggi russi.
Dopo aver subito l’avanzata ucraina nella prima settimana, la Russia ha reagito ed ha contenuto l’offensiva senza tuttavia "forzare la mano", a dimostrazione che Mosca non ha alcun interesse – almeno al momento – nel ricacciare indietro i soldati ucraini. Di fatto, quindi, dalla metà di agosto la situazione è di sostanziale stallo. Qual è dunque, a un mese di distanza, il bilancio dell’operazione nel Kursk? Per Kiev si è trattato di un successo anche militare, oltre che propagandistico? E quali sono state le ripercussioni nel Donbass? Fanpage.it ha interpellato Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa.
Direttore, è trascorso un mese dall'inizio delle operazioni ucraine nella regione russa di Kursk. Si può tracciare un bilancio? Come sta andando?
Sul piano politico l'attacco ucraino è stato un successo perché ha colto di sorpresa i russi, che non subivano un'invasione sul loro territorio dalla Seconda Guerra Mondiale. Kiev era, ed è tuttora, in netta difficoltà su tutti i fronti del Donbass e di certo Mosca non si aspettava un attacco di questa portata a "casa propria". Gli ucraini sono stati molto bravi a "mascherare" i preparativi dell'azione lanciata un mese fa: per giorni hanno concentrato truppe nella zona di Sumy inviando vicino al confine soldati con abiti e veicoli civili e occultando così abilmente il concentramento di forze. Dall'altra parte la Russia aveva predisposto una difesa molto limitata composta dalla guardia di frontiera e da uomini di leva. Se a ciò si aggiunge l'assenza di fortificazioni si spiega facilmente l'efficacia e la rapidità della penetrazione ucraina. In un paio di giorni gli ucraini si sono spinti per una trentina di chilometri all'interno del territorio russo acquisendo il controllo di un migliaio di chilometri quadrati. Dopodiché i russi hanno richiamato forze dall'interno del Paese – e solo in minima parte dai fronti ucraini – ed ora la situazione è di fatto in stallo. Indubbiamente l'operazione nel Kursk ha messo in difficoltà la leadership russa, chiamata a giustificare quello che stava avvenendo. Per questa ragione, visto che Zelensky stava subendo un calo dei consensi, possiamo parlare per lui di un successo politico e propagandistico interno. Non mi spingerei oltre, però; l'oblast di Kursk ha una superficie di circa 30mila chilometri e solo un trentesimo è attualmente occupata dall'Ucraina.
Un successo politico per Zelensky sul breve periodo, dunque. Ma in termini strategici e militari qual è la sua valutazione dell'operazione Kursk?
La domanda da porsi è innanzitutto: qual era, dal punto di vista strategico, l'obiettivo dell'offensiva? Molti hanno sostenuto, anche tra i vertici ucraini, che Kiev volesse acquisire territorio da scambiare con Mosca nel corso del futuro negoziato, quando ci sarà. Vedremo cosa accadrà. Sotto l'aspetto militare però lo scopo dell'Ucraina era quello di far ritirare truppe russe dal Donbass, dove stanno avanzando, per concentrarle nella difesa del territorio nazionale. Di sicuro questo obiettivo strategico è fallito: come ha confermato ieri in Mongolia lo stesso Putin il suo scopo è conseguire una vittoria militare nel Donbass, ed è per questa ragione che alla difesa di Kursk ha destinato uomini presi dalla Russia stessa e non dall'est dell'Ucraina. Aggiungo che l'operazione è stata condotta, come sostiene anche il New York Times, con il supporto d'intelligence anglo-americano. USA e Regno Unito hanno certamente partecipato alla pianificazione dell'attacco, ma dei video mostrano anche soldati nel Kursk con uniforme ucraina che parlano fluentemente l'inglese, circostanza che ha permesso a Putin di dire che l'attacco è stato portato non da Kiev, bensì dalla NATO, che avrebbe inviato anche dei soldati.
Perché sostiene che dal punto di vista militare l'operazione nel Kursk sia stata fallimentare?
Per l'invasione di quel pezzo di territorio russo l'Ucraina ha mobilitato la riserva mobile composta dalle brigate meglio addestrate, che in teoria avrebbero dovuto costituire la forza da impiegare per tamponare eventuali sfondamenti russi nel Donbass. Averli usati nel Kursk sguarnisce pericolosamente il fronte interno. L'impressione è che i russi abbiano superato positivamente il trauma dell'invasione di un piccola porzione del loro territorio, che si sia cementato il consenso nazionale e che – come detto da Putin stesso – siano anche aumentati gli uomini disposti ad arruolarsi come volontari nella difesa del Paese. Paradossalmente, quindi, l'azione nel Kursk rischia di aver rafforzato il consenso nei confronti del Cremlino ma soprattutto la convinzione dei russi che si stia davvero combattendo una guerra esistenziale non tanto contro l'Ucraina, quanto contro chi la manovra, ovvero la NATO. Insomma: se l'obiettivo di Zelensky era indebolire Putin non c'è riuscito. Se era far trasferire truppe russe dal Donbass neanche. Aggiungo però un'altra valutazione politico-strategica di respiro più ampio.
Dica.
L'attacco a Kursk con il supporto di Regno Unito e USA ha un obiettivo supremo, quello di evitare il tracollo definitivo dell'Ucraina prima delle elezioni americane. Come un accordo a Gaza è necessario al Partito Democratico per non perdere consensi, al tempo stesso una sconfitta di Kiev rappresenterebbe uno smacco per il presidente Biden e quindi anche per la sua vice Kamala Harris, candidata alla Casa Bianca. Un attacco a Kursk potrebbe aver avuto anche lo scopo di far guadagnare tempo all'Ucraina prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
La Russia sta dando l'impressione di non aver fretta a voler recuperare le aree dell'Oblast di Kursk controllate dall'Ucraina. Come mai?
Possiamo fare delle ipotesi. La prima è che i russi abbiano tutto l'interesse affinché gli ucraini continuino a restare nel Kursk subendo forti perdite e sguarnendo il Donbass. Putin potrebbe preferire quindi che Kiev si dissangui nel suo territorio, mentre lui nel frattempo avanza nell'est dell'Ucraina. C'è però anche un'altra ipotesi: la Russia potrebbe non avere la capacità per lanciare così tante offensive come quella nel Donetsk, nel Lugansk e a Kharkiv, promuovendone al tempo stesso un'altra nel Kursk.
Mentre nell'oblast di Kursk la situazione è di sostanziale stallo nel Donbass la Russia sta avanzando, seppur lentamente.
L'offensiva in corso ha come obiettivo Pokrovsk, città alle cui spalle si muovono le linee logistiche – strade e ferrovie – che permettono di alimentare il pezzo del Donetsk ancora in mano all'Ucraina. Anche i report ucraini, compresi quelli di Euromaidan Press, segnalano che lì ci sono linee difensive, ma sono scarsamente presidiate quindi molto vulnerabili. La Russia è a pochi chilometri ed è già in grado di bersagliare le reti ferroviarie e stradali che permettono di alimentare l'intera area. Se dovesse crollare il fronte di Pokrovsk gli ucraini sarebbero costretti a ritirarsi lasciando terreno libero ai russi, che a quel punto potrebbero conquistare l'intero Donetsk. Non solo: i russi potrebbero penetrare anche nel Dnipro e puntare su altre regioni. Si rischia un effetto domino.
I russi dunque potrebbero essere in grado di vincere in questa zona del Donbass?
Sì, e a questo punto aggiungo una riflessione: le valutazioni che si facevano lo scorso inverno rispetto alla convenienza per l'Ucraina di intavolare un negoziato con Putin sulla base delle regioni che il Cremlino aveva annesso dopo il referendum del 2022 potrebbero non essere state sbagliate. L'alternativa infatti è quella di negoziare oggi, dopo un'evoluzione negativa della guerra per gli ucraini e con pretese russe certamente più ampie, anche e soprattutto alla luce dell'attacco alla regione di Kursk.