Tra Mosca e Teheran sta nascendo una vera e propria alleanza. È fondata sulla cooperazione militare, sull’avversione all’Occidente e sulla comune necessità di affrontare sanzioni internazionali. L’asse ha ancora alcune fragilità. Ma fa già paura agli Stati Uniti, perché ha potenzialità destabilizzanti su scala globale.
Colloqui fra amici
“Sono sempre stato cauto nel definire come un’alleanza quella tra Russia e Iran, ma ormai proprio di questo si tratta”, dice Nikolay Kozhanov, uno dei maggiori esperti della politica russa in Medio Oriente e della politica estera iraniana. Kozhanov è docente all’università del Qatar dopo una carriera accademica tra San Pietroburgo e Mosca. “Il fatto è che l’attuale situazione internazionale, nel suo complesso, gioca a favore di un rafforzamento dei rapporti”, nota l’accademico.
La visita nella capitale russa del presidente iraniano Ebrahim Raisi per colloqui con Vladimir Putin dimostra che il ravvicinamento è sempre più caloroso. Una conferma è anche negli argomenti affrontati: negoziato a 360 gradi su “questioni bilaterali, interazione economica, e questioni regionali e internazionali, con particolare riferimento alla situazione a Gaza”, secondo l’agenzia di stampa ufficiale di Teheran, Irna.
Lotta comune
Le cause comuni sono molteplici. Entrambi i Paesi sono in rotta di collisione con l’Occidente, con cui il confronto è sempre più aspro. Inoltre, entrambi sono sottoposti a sanzioni. Anche per questo hanno qualcosa da offrire l’uno all’altro. All’inizio di dicembre i rispettivi ministri degli Esteri Sergey Lavrov e Hossein Amir-Abdollahian hanno firmato un accordo per un “lavoro comune” contro le sanzioni occidentali. Si tratta di “controbattere, mitigare e compensare le conseguenze negative delle misure coercitive unilateralmente imposte contro di noi e contro i nostri partner iraniani”, ha detto Lavrov alla Interfax.
Caccia bombardieri in arrivo
A parlar ancora più chiaro sono le armi. Russia e Iran “ritengono che una mutua cooperazione militare può aiutarli a amplificare la loro capacità di proiettare potere nell’arena internazionale”, spiega Kozhanov a Fanpage.it. Nell’ultima settimana di novembre Teheran ha confermato che è stato finalizzato l’accordo per la consegna da parte di Mosca allo Stato islamico di caccia multiruolo Sukhoi Su-35, elicotteri da combattimento Mi-28 e jet da addestramento Yak-130. Imprecisato il numero, ma nel corso delle trattative si era parlato di almeno una cinquantina di Su-35. Il modello è tra i più avanzati al mondo. Attualmente le forze aeree iraniane sono dotate solo di qualche decina di caccia. Tra questi, vecchi modelli russi e — addirittura — aerei statunitensi acquistati prima della rivoluzione del 1979. Ai tempi dello scià.
Il “ricatto” dei droni
L’accordo sui caccia bombardieri è stato difficile. Dovevano arrivare all’inizio del 2023. Mosca ha ritardato il processo. Teheran ha più volte espresso la sua insoddisfazione in merito. “La Russia non aveva fretta di condividere tecnologia militare con l’Iran, perché non c’era mai stata una cooperazione su scala così vasta come per questo accordo”, spiega a Fanpage.it Ruslan Sulemaynov, ricercatore dell’Istituto per lo sviluppo e la diplomazia di Baku, Azerbaijan. “Continuava a esserci una sostanziale sfiducia, perché a Mosca si è coscienti di come l’Iran sia un partner estremamente complesso e imprevedibile”.
Suleymanov fino al marzo 2022 è stato “spetsialniy korrespondent” (inviato speciale residente) in Medio Oriente della Tass, l’agenzia stampa di Stato russa. A sciogliere i nodi di questa fornitura militare senza precedenti — sostiene — sono state le necessità russe per la guerra in Ucraina: “Finché Mosca resterà dipendente in modo così pesante dalle armi iraniane, e in particolare dai droni Shahed 136, dovrà dare a Teheran più o meno tutto ciò che le chiede”. Solo nelle ore immediatamente precedenti i colloqui tra Puti e Raisi, la Russia ha scaraventato sull’Ucraina una ventina di Shaded 136.
Sfida globale all’Occidente
Dietro alle necessità belliche contingenti c’è un disegno ben più ampio. Putin e i leader iraniani “ritengono che una mutua cooperazione militare può aiutarli a amplificare la loro capacità di proiettare potere nell’arena internazionale”, secondo Nikolay Kozhanov. “Sia la Russia che l’Iran vedono l’interazione tra Paesi non occidentali come una risposta ai problemi economici e politici che si trovano a dover sperimentare”. L’asse Mosca-Teheran vuole “partecipare direttamente, rendendo più forte la propria presenza, a strutture internazionali non occidentali. Vuole renderle più importanti, influenti e potenti”. In politica internazionale la “capability” dipende molto dagli armamenti a disposizione.
Suleymanov ritiene che a Washington si farebbe bene a preoccuparsi parecchio. Anche perché l’asse potrebbe diventare a tre. E il terzo alleato si chiama Cina: “L’emergente coalizione di Russia, Iran e Cina è un incubo per gli Stati Uniti. Agisce già all’unisono in Ucraina e in Medio Oriente. E c’è da temere per sorte di Taiwan: se Pechino decidesse di usare la forza, Mosca e Teheran sosterrebbero senza remore l’operazione”.
L’Iran non combatterà per Hamas
Nel frattempo, sullo scacchiere regionale l’escalation rimane possibile ma non probabile. Proprio perché non conviene all’Iran. Che si trova nella comoda posizione di poter osservare la guerra di Gaza senza interferire. “Teheran non vuole un conflitto militare diretto, perché le forze in campo sono asimmetriche a suo sfavore”, commenta Suleymanov. “L’America ha già mandato un segnale chiaro inviando nella zona i gruppi navali delle portaerei Dwight Eisenhower e Gerald Ford. L’Iran ha colto il messaggio”.
In generale, gli analisti notano che nessuno degli alleati di Hamas vuole davvero mettere gli stivali sul terreno. Chi li ha più vicini a Israele, gli stivali, sono i miliziani di Hezbollah, emanazione di Teheran. Ma per ora Hezbollah sta bene dove sta: “Un intervento in grande scala potrebbe provocare attacchi sul territorio iraniano, anche agli impianti nucleari”, dice Suleymanov. “Per di più, il potenziale bellico di Hezbollah è un deterrente nei confronti di Israele: se venisse intaccato, l’Iran diverrebbe immediatamente più vulnerabile”. E poi, la disastrata situazione politico-economica del Libano rende la situazione di Hezbollah piuttosto difficile. “Il sostegno popolare resta forte, ma nessuno a Beirut vorrebbe qualcosa di simile alla guerra del 2006. A partire dal leader di Hezbollah Hasan Nasrallah”. Il quale — ricorda Suleymanov — ha pubblicamente ammesso che, se avesse saputo quanto orribili sarebbero state le conseguenze, non avrebbe mai iniziato quel conflitto.
Limiti e prospettive
Le relazioni tra Russia e Iran da sempre alternano la collaborazione alla rivalità. Che divenne vera e propria aggressione imperialista da parte di Mosca, nel XVIII secolo. Anche ai tempi dell’Urss la corda restò piuttosto tesa. Nessuno, dalle parti del Cremlino, ha mai dimenticato la lettera del leader supremo Ruhollah Khomeini al Segretario generale sovietico Mikhail Gorbachev. Era il 1989. La missiva in pratica prefigurava un futuro da Stato islamico per la morente Unione Sovietica. Caduto il regime comunista, le cose sono andate meglio. La vicinanza di interessi è diventata alleanza militare nel conflitto siriano. E sta diventando oggi un’alleanza strategica. Su tutti i fronti.
Le differenze rimangono, e pesano alcune criticità. La maggiore, sostiene il professor Kozhanov, è nell’incapacità dei due regimi di immaginare il futuro. Il richiamo al passato, alle tradizioni — religiose o meno — e a una Storia rivisitata a sostegno del potere — tipico delle ideologie dei due regimi — pone qualche limite anche all’attuale collaborazione. “Né Mosca né Teheran riescono a proporre un nuovo progetto. Cercano piuttosto di rifarsi ai temi che hanno permesso di stabilire legami nel passato. E di adattarli, aumentandone le potenzialità, al tempo presente”, dice Kozhanov.
Siamo comunque di fronte a una nuova fase delle relazioni. Il miglioramento e il potenziamento delle stesse sembra inevitabile. E l’asse Mosca-Iran rischia di espandersi di molto. Non solo perché la narrativa anti-occidentale ha sempre più presa nel Sud globale. Ma perché dell’asse potrebbe diventar parte davvero ingombrante la stessa Cina. I Paesi liberali e democratici, o almeno presunti tali, farebbero bene a affrontare il problema con immaginazione e originalità. Concetti al momento quasi del tutto assenti nelle loro cancellerie.
Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.