Chissà come ce lo ricorderemo, tra qualche anno, questa notte del 9 giugno, in cui le urne delle elezioni europee ci hanno consegnato un continente dominato dalle estreme destre. Se come il picco di una straordinaria crescita iniziata venticinque anni fa, a cavallo tra due millenni, quando la rappresentanza politica dell’estrema destra in Europa a malapena esisteva, e proseguita di anno in anno, e di crisi in crisi. O se, piuttosto, come il preludio alla definitiva caduta di tutti i cordoni sanitari – elettorali o parlamentari – che avevano tenuto le estreme destre lontane dai palazzi del potere di Bruxelles e Strasburgo.
Non dovremo aspettare molto, a dire il vero. E se volete prepararvi vi conviene segnare questi due appuntamenti sul calendario.
Il primo è quello delle elezioni parlamentari francesi, convocate in anticipo per il prossimo 30 giugno dal presidente Emmanuel Macron. Che, mentre cominciavano a piovergli in testa i risultati elettorali in cui Marine Le Pen e il suo Rassemblement National (31,5%) più che doppiavano il suo partito, Renaissance (14,5%), ha sciolto in anticipo l’Assemblea Legislativa. Complice il sistema elettorale a doppio turno, queste elezioni saranno un vero e proprio test per misurare le possibilità di Le Pen di ambire all’Eliseo.
Se, com’è sempre accaduto sinora, le forze avverse all’estrema destra faranno blocco per impedire al Rassemblement National di eleggere i suoi deputati, vorrà dire che anche questa volta la corsa all’Eliseo di Marine Le Pen sarà in salita. Se invece, i voti dei gollisti di Ump (7,2%) e quelli di Reconquete (5,3%) finiranno per sommarsi a quelli di Le Pen, vorrà dire che la possibilità di Marine di entrare all’Eliseo nel 2027 come prima presidente donna e di estrema destra in Francia – ricorda qualcuna? – saranno alte come mai lo sono state. Appuntamento a tra qualche settimana, insomma.
Per il secondo appuntamento chiave, invece, bisognerà attendere settembre. Quando si voterà in Germania, nei land dell’est della Turingia, del Brandeburgo e della Sassonia. Sono i territori in cui Alternative fur Deutschland (15,9% alle europee a livello nazionale) è più forte: in Sassonia è arrivata a superare il 40%, mentre in Brandeburgo e Turingia è stabilmente attorno al 30%. Non solo, però: sono anche i territori in cui AfD è più estremista, dominata dalla corrente chiamata Der Flugen – tradotto: l’ala – in cui militano esponenti come Maximilian Krah, sassone e uomo di punta di AfD alle ultime elezioni europee, secondo cui le SS “non erano tutte criminali”. O come Bjorn Hocke, capo del partito in Turingia, secondo cui la Germania deve liberarsi del “complesso di colpa” per la Shoah.
Con questi numeri, complice una legge elettorale proporzionale con sbarramento per le forze minori, è lecito attendersi che AfD possa conquistare la maggioranza assoluta dei seggi, per governare in almeno uno di questi land – cosa che non gli era mai riuscita sinora. Sarebbe la prima volta, dal 1945 a oggi, per una forza a destra della Cdu. A questo punto, i cristiano democratici tedeschi, favoritissimi in vista delle elezioni federali del 2025 – si troverebbero di fronte a un bivio cruciale: continuare lungo la loro attuale traiettoria politica, oppure provare ad avvicinarsi alle idee di AfD per tentare di rubar loro voti, o addirittura per iniziare a parlarci? Anche qui, non bisognerà attendere molto per scoprirlo.
Più di quanto sia accaduto oggi alle elezioni europee, questi due eventi potrebbero davvero cambiare faccia all’Europa. Nonostante tutta la retorica di questi mesi sulle maggioranze alternative che sosterranno la nuova Commissione Europea, l’Ue è ancora governata da quel tavolo negoziale tra capi di stato e di governo che si chiama Consiglio Europeo.E nonostante conti ventisette Stati membri, quel tavolo si regge prevalentemente sull’asse franco-tedesco. Se quell’asse si sposta a destra, tutta l’Europa si sposta a destra. E la combinazione tra un’eventuale ulteriore exploit di Le Pen alle elezioni e un successo di AfD alle elezioni dei lander della Germania Est sposterebbe quell’asse a destra molto più di qualche europarlamentare guadagnato tra Bruxelles e Strasburgo.