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Guerra in Ucraina

Perché la trattativa sul grano potrebbe far finire la guerra in Ucraina: l’analista Kortunov a Fanpage. it 

“Mosca è disponibile, chiede solo di alleggerire le sanzioni sui suoi prodotti agricoli”. E dai progressi su cereali e scambio di prigionieri “dipendono le chance della diplomazia”. Parla l’analista russo molto ascoltato al Cremlino.
A cura di Riccardo Amati
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Una revoca temporanea delle sanzioni sui prodotti agricoli e sui fertilizzanti russi potrebbe portare a un accordo sull’export dei cereali ucraini e aprire la strada a trattative di pace. È quanto ritiene Andrei Kortunov, direttore del Russian Council (Riac), istituto che fornisce analisi e raccomandazioni di politica estera al Cremlino. “Le chance della diplomazia dipendono dagli eventuali progressi in quest’area”, dice Kortunov a Fanpage.it. Cruciale anche la trattativa sullo scambio dei prigionieri. E comunque vada a finire la guerra, la Russia farà bene a tornare sui suoi passi e “scegliere l’integrazione nella comunità internazionale e non l’auto-isolamento e l’alleanza con la Cina”. Una posizione decisamente anti-conformista negli ambienti diplomatici moscoviti, quella di Kortunov. Che abbiamo raggiunto telefonicamente a casa sua, nella capitale russa.

Vladimir Putin ha detto al presidente turco Erdogan che la Russia è disponibile a “facilitare il transito marittimo delle materie prime, inclusi i cereali ucraini”. È un’apertura? Può preludere a un accordo? Con Draghi, Putin aveva posto la condizione del ritiro delle sanzioni. C’è ancora questa condizione?

In realtà, la posizione russa non è cambiata: possiamo assistervi con le consegne di grano se voi alleggerite le sanzioni sui nostri prodotti agricoli e sui nostri fertilizzanti. Perché se l’Occidente è davvero preoccupato per la fame nel mondo, dovrebbe utilizzare tutte le opportunità per ridurre il problema. Questo si è sempre pensato al Cremlino.

Che sanzioni si dovrebbero alleggerire, quindi? Solo quelle su fertilizzanti e prodotti agricoli, non tutte le sanzioni? 

Putin è abbastanza realista da capire che nessuno si sognerebbe mai di revocare tutte le sanzioni. L’alleggerimento dovrebbe essere in relazione alle sanzioni che possano avere effetto sul trasporto dei creali russi e dei fertilizzanti russi e bielorussi. E potrebbe essere anche solo temporaneo. Per esempio, si tratterebbe di lasciar passare, per un periodo di tempo, le navi che trasportano questi prodotti nei porti europei, e di assicurare il passaggio dei cargo diretti nei Paesi emergenti. Va tenuto presente che in questo momento la Russia ha problemi ad esportare la sua produzione agricola e alcune eccezioni alle sanzioni che colpiscono il settore sono viste come essenziali.

Ma tutto questo non è solo un ricatto? Senza i cereali bloccati dalla Russia nei porti ucraini si affamano Africa, Medio Oriente, Turchia, Indonesia, parte dell’Asia subcontinentale. La pressione immigratoria sull’Occidente aumenterebbe. E premierebbe politicamente i partiti sovranisti di destra vicini alla Russia di Putin. C’è molto cinismo, in tutto questo.

Credo che la questione non abbia soluzioni facili, ed è anche l’Occidente che deve decidere quanto sia importante risolverla. C’è una dose di cinismo, d’accordo. Ma siamo sicuri che il cinismo sia solo a Mosca?

Certamente però Putin esercita una leva non indifferente. 

Ed è certo cosciente di averla e di poterla esercitare.

Se venisse raggiunto un compromesso sull’export dei cereali, ci sarebbero nuove chance per la diplomazia? Potrebbe essere un passo vero un cessate il fuoco in Ucraina?

Se venissero fatti progressi in quest’area sarebbe un segnale che si sta andando nella direzione giusta. Le chance della diplomazia dipendono in buona parte da questo, certo. Serve una precisa volontà politica da entrambe le parti.

Si arriverà un accordo? 

Impossibile fare previsioni adesso. La posizione di Mosca è chiara: la richiesta è di alleggerire, anche solo per un periodo di tempo limitato, le sanzioni sull’export agricolo russo. Allora, si potrà cooperare per sbloccare l’export ucraino. Ma è senz’altro una trattativa difficile, anche perché l’Occidente – come diceva lei – si sente ricattato.

Un’altra area in cui un compromesso potrebbe preludere a sviluppi diplomatici positivi è lo scambio di prigionieri.

E qui si può forse essere un po’ più ottimisti. È probabile che la Russia insisterà per processare alcuni esponenti ultra-nazionalisti ucraini come criminali di guerra, ma non escludo che si possa raggiungere un più vasto accordo sullo scambio di prigionieri. E questo potrebbe eventualmente aprire a trattative più generali per far tacere le armi.

Intanto gli Stati Uniti hanno reso noto che non riforniranno Kyiv di missili a lungo raggio. Anche questo potrebbe facilitare future trattative? 

È una notizia importante perché limita la possibilità di un’escalation del conflitto. Indica che da parte americana non si vuole che l’Ucraina possa colpire obiettivi sul territorio russo. È un segnale positivo, per ogni eventuale futuro passo diplomatico.

Questo conflitto non è solo militare ma coinvolge due opposte visioni della modernità: da una parte il modello liberale dell’Occidente e dall’altro quello illiberale, tradizionalista e autoritario proposto dalla Russia di Putin. Comunque vada a finire, Putin ha scelto. La Russia dovrà per forza cercare alleanze solo con i Paesi non occidentali, come sostengono molti suoi colleghi a Mosca?

Al contrario di molti accademici miei connazionali, non credo che la scelta della Russia debba essere tra Est e Ovest, ma solo tra l’auto-isolamento e l’integrazione. Se si vuole integrare il Paese in un ampio sistema internazionale, si può iniziare con l’Europa, o con la Cina, o con l’India. Ma poi si deve proseguire. La decisione su chi avvicinare per primo è strategica. E ci sarà sempre un prezzo da pagare. Dal mio punto di vista, il rischio è che la Russia possa avvicinarsi sempre di più alla Cina, geopoliticamente e strategicamente. E che al contempo scelga la strada dell’isolazionismo nei confronti degli altri possibili partner. Il problema, per la Russia, è che per molti aspetti la concorrenza sul mercato cinese è più forte che sul mercato europeo. L’Asia in generale è meno benigna dell’Europa, come ambiente per il business. Se qualcuno ritiene che l’Asia, l’Eurasia – o comunque la si voglia chiamare – sia la soluzione per ogni problema della Russia, credo proprio che si sbagli.

E qual’è la soluzione dei problemi della Russia?

I problemi sono interni, e che dovrebbero essere affrontati in primo luogo con la ristrutturazione dell’economia russa, e cambiando la psicologia della società. Perché la società russa percepisce il mondo esterno come ostile, come una sfida invece che un’opportunità. Individualmente, molti russi sono integrati nella realtà internazionale. Ma la società e il Paese in generale vedono il mondo esterno come una minaccia.

E questo dà carburante alla propaganda del regime. 

Infatti. È una questione di decisioni strategiche. Si può decidere che l’integrazione è una priorità vitale. E questo significherebbe cambiare la narrativa corrente, cambiare come viene impartita l’istruzione e come viene concepita l’economia. È una decisione difficile. E anche in questo caso ci sarebbero prezzi da pagare. Ma secondo me è un’ipotesi da prendere in considerazione. L’opzione della Cina e dell’auto-isolamento ha poi il problema di fondo che la Cina non è interessata a una Russia troppo debole. Vuole che la Russia sia un alleato forte per controbilanciare la forza dell’Occidente. Ma in questa relazione l’asimmetria non potrà che aumentare.

Quando parla di riformare l’economia si riferisce alla necessità di produrre beni di consumo e di emanciparsi dalla dipendenza dall’export di petrolio e gas?

Sì, e produrre alta tecnologia. La Russia deve liberare il potenziale del suo capitale umano. E non è facile, perché le strutture create negli ultimi vent’anni non sono adatte a facilitare l’imprenditoria, la creatività e l’innovazione.

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