Abbiamo da poco superato il settantesimo giorno di guerra e per la Russia la situazione si fa sempre più complessa e molto lontana da quelle che erano le aspettative di Mosca prima dell’invasione.
Sul campo di battaglia in Ucraina, la situazione è sostanzialmente in stallo da settimane. Nel Donbass l’avanzata dei russi è stata praticamente fermata, mentre gli ucraini — che hanno iniziato da poco ad usare le armi fornite dall’Occidente, in particolare gli obici con munizioni da 155mm forniti dagli americani — hanno annunciato una controffensiva.
Nella regione di Kharkiv, in particolare, è già in corso ed ha consentito in pochi giorni alle truppe ucraine di ricacciare i russi fino a 40km ad est dal capoluogo regionale, ovvero quasi al confine con la Federazione Russa. Ciò ha permesso, tra le altre cose, di ridurre sostanzialmente i bombardamenti di artiglieria contro la martoriata città ucraina, la seconda per popolazione dell’intero Paese.
A Mariupol, nonostante gli attacchi, i bombardamenti e le distruzioni su larga scala, gli ucraini continuano a mantenere con tenacia il controllo dell’acciaieria Azovstal. L’eventuale conquista totale da parte delle forze russe e separatiste della città che si affaccia sul Mar d’Azov — che ormai è ridotta ad un cumulo di macerie e poco altro — sarà completata solo a durissimo prezzo.
Anche a sud, nella regione di Kherson le cose non stanno andando benissimo per i russi, che non riescono più passare all’offensiva ed anzi nelle scorse settimane hanno perso il controllo di diversi insediamenti.
Sia chiaro, tutte queste difficoltà non significano in alcun modo che la guerra stia per finire a breve con la vittoria dell’Ucraina. Le forze russe rappresentano ancora una forte minaccia per la sopravvivenza ucraina ed inoltre continuano ad occupare una parte sostanziale dell’est e del sud dell’Ucraina.
Eppure, se paragoniamo quali siano oggi le pretese realistiche dei russi rispetto a quelle delle settimane precedenti la guerra, sembra di vivere già in un altro pianeta.
Prima dell’invasione le aspettative di Mosca — chiaramente delineate negli ultimatum consegnati a NATO e Stati Uniti alla fine dello scorso anno— erano quelle di una revisione radicale dell’intero sistema di sicurezza in Europa post-Guerra Fredda, con la Russia tornata in un preponderante ruolo di forza e di superpotenza.
Di fatto Mosca voleva vedersi riconosciuta una sfera di influenza che rimarcasse il più possibile quella dell’ex Unione Sovietica in Europa, limitando drasticamente le attività della NATO nell’est Europa e chiedendo alla stessa Alleanza Atlantica di porre fine alla sua politica delle “porte aperte” ed alla sua espansione, in particolare verso i Paesi ex sovietici.
Per imporre la sua volontà, Mosca aveva bisogno però di una vittoria veloce sul campo che non è mai arrivata. Lungi dall’aver conquistato Kyiv in pochi giorni — come si sperava a Mosca e come temevano anche le cancelliere occidentali fino a fine febbraio — la realtà sul campo è che Mosca si è impantanata in Ucraina e non sa come uscirne.
Un segnale delle difficoltà russe lo si è visto anche nei negoziati che con estrema difficoltà vanno avanti: sebbene non abbiano portato ancora a nessun risultato concreto, Mosca sembra già aver indebolito sostanzialmente le sue pretese su due pilastri delle sue richieste iniziali, ovvero la “denazificazione” (inizialmente intesa come il “regime change” a Kyiv) e la “demilitarizzazione” ucraina.
Anche la neutralità di cui si sta trattando al momento su richiesta di Kyiv è ben diversa da quelle che Mosca intendeva prima della guerra: l’insistenza ucraina sulla necessità di “garanzie internazionali” per la propria sovranità e sicurezza, in cambio della neutralità, significa infatti che, in ogni caso, l’Ucraina non tornerà più sotto la sfera di influenza russa, almeno per il futuro prevedibile.
Anzi, osservando la distruzione su larga scala causata dall’attacco russo e la forte reazione contro l’invasione anche nelle zone più russofone del Paese, è molto probabile che i legami tra Kyiv e Mosca si siano completamente danneggiati per generazioni a venire e sarà molto difficile ripristinarli.
L’utilizzo sempre maggiore da parte di Kyiv di armi occidentali e non più di fabbricazione ex sovietica, nei fatti rappresenta un ulteriore sostanziale allontanamento di Kyiv dalla dottrina militare ex sovietica.
Se uniamo tutto questo alle garanzie di sicurezza richieste da Kyiv, il risultato finale per l’Ucraina è de facto molto simile a quello che avrebbe ottenuto entrando a tutti gli effetti nella NATO: abbandonare per sempre la sfera di influenza russa.
La pessima performance dell’esercito russo in Ucraina ha inoltre causato anche un altro effetto contrario a quello desiderato da Mosca: lungi dall’essere sentite intimidite, Finlandia e Svezia si stanno infatti ora preparando a chiedere (e molto probabilmente ad ottenere) un veloce ingresso nell’Alleanza Atlantica.
Le capacità russe di impedire questo ulteriore sviluppo sono francamente limitate: a parte la consueta minaccia di schierare armi nucleari sul Baltico — ma missili Iskander dotati di armi nucleari erano già stati schierati nel 2018 a Kaliningrad, quindi strategicamente cambia poco — dal punto di vista convenzionale, l’esercito russo non è evidentemente in grado di poter impegnarsi in una guerra su un secondo fronte a nord ovest.
Insomma, qualsiasi risultato Mosca possa ormai realisticamente ottenere dalla sua invasione, è già sicuramente agli antipodi da ciò che avrebbe potuto sperare prima dell’invasione. E tutto questo, a quale costo?
A parte le enormi perdite umane (fonti occidentali parlano ormai di oltre 15 mila morti, dato in aumento ogni giorno che passa) e di mezzi militari in Ucraina, la Federazione Russa oggi è diventata un Paese fortemente isolato dal resto del mondo.
Di fatto la Russia si è trasformata in una sorta di enorme Corea del Nord, sempre più isolata dal resto del mondo, abbandonata da buona parte delle aziende internazionali e con prospettive economiche disastrose per gli anni a venire a causa delle durissime sanzioni internazionali imposte contro il Paese.
Alle Nazioni Unite la stragrande maggioranza dei Paesi ha condannato più volte l’aggressione russa in Ucraina, e la scoperta delle fosse comuni e delle atrocità compiute nelle zone precedentemente occupate dall’esercito russo in Ucraina, non ha certamente aiutato la Russia ad uscire dall’angolo nel quale è stata costretta dalla sua strategia.
Anche quei Paesi che sono rimasti neutrali nei confronti di Mosca — anzitutto India e Cina — hanno dovuto ridurre gli acquisti di gas e petrolio da Mosca per paura delle sanzioni secondarie o richiedere, in cambio, fortissimi sconti alle società energetiche russe.
Di recente un tentativo di vendita spot di 6,5 milioni di tonnellate di greggio russo da parte di Rosneft è finito senza alcun acquirente, quando la società petrolifera russa ha preteso il pagamento in rubli ed in anticipo dell’intero importo.
A parità di sanzioni, ovvero senza ipotizzarne altre — come quelle in discussione al momento all’interno dell’Unione Europea — sul settore energetico russo, le proiezioni sull’andamento dell’economia russa nel 2022 partono già da ora da un crollo minimo di quasi -9% ad uno massimo di -12%, a seconda delle fonti utilizzate.
La Banca Mondiale, ad esempio, stima un crollo del PIL russo del -11% nel 2022, con una inflazione che potrebbe superare il 20% ed un ulteriore diminuzione del PIL russo nel corso del 2023, seguita da una crescita anemica negli anni successivi.
Ciò significherebbe che per tornare agli stessi livelli del 2021 la Russia potrebbe aver bisogno di almeno una decina di anni, nel frattempo bruciando buona parte della capacità di acquisto dei salari a causa dell’altissima inflazione.
Come ha chiaramente specificato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, la possibilità di una revisione o eliminazione delle sanzioni imposte alla Russia è legata interamente alla capacità di raggiungere un accordo soddisfacente per entrambe le parti con l’Ucraina per porre fine alla guerra.
Ma visto che l’Ucraina non sembra in alcun modo voler accettare l’intenzione russa di annettersi territori precedentemente ucraini — o se è per questo anche solo l’indipendenza delle due regioni separatiste del Donbass — e la contestuale mancanza di interesse di Mosca a trattare su questo, è molto difficile al momento poter immaginare un accordo tra le due parti che possa portare ad una veloce eliminazione delle sanzioni.
La scelta cui si troverà di fronte la Russia nel prossimo futuro è un quindi quella di decidere se voler continuare a tutti i costi questa invasione militare (sempre che la situazione sul campo non peggiori ulteriormente per Mosca) accettando i duri sacrifici economici connessi, oppure di cercare un accordo con Kyiv in grado di salvarle la faccia, ma rinunciando nei fatti a qualsiasi ulteriore concreta pretesa territoriale.
In qualsiasi caso, il risultato di questa guerra non può che essere uno: quello di una Federazione Russa pesantemente indebolita, sia economicamente che politicamente, e sempre più dipendente dal supporto di Pechino e di pochi altri Paesi al mondo.
Una triste fine per quella che è stata per decenni una superpotenza mondiale e che avrebbe voluto tornare ai fasti di un tempo proprio grazie a questa operazione militare.