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Guerra in Ucraina

Perché la Russia dopo l’Ucraina potrebbe puntare a Moldavia e Georgia

La Russia ha dichiarato guerra all’Ucraina e ne ha invaso parte del territorio, con l’obiettivo dichiarato di arrivare fino alla Moldavia. E la Georgia somiglia molto all’Ucraina e alla Moldavia.
A cura di Fulvio Scaglione
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Pochi giorni fa Rustam Minnekaev, vice-comandante del distretto militare centrale della Russia, ha detto che gli obiettivi della seconda offensiva russa sono il controllo dell’Ucraina meridionale e “l’apertura di un corridoio dal Donbass alla Crimea alla Transnistria”. Nella stessa occasione, Minnekaev aggiunse che alle forze del Cremlino interessava uno sbocco in più sulla Transnistria e su un’area “dove si registrano episodi di oppressione della popolazione di lingua russa”. Da quel momento, le autorità e la popolazione della Moldavia hanno avuto la certezza di poter andare incontro a momenti anche molto difficili. E guarda caso, negli ultimi giorni, proprio in Transnistria, è stato sparato un colpo di bazooka contro il ministero della Sicurezza, sono stati fatti saltare due torri per le telecomunicazioni e sono stati lanciati proiettili d’artiglieria contro l’aeroporto militare della capitale Tiraspol. Attacchi ucraini con la complicità dei moldavi? Provocazioni orchestrate dagli stessi russi per creare un “caso” che giustifichi un attacco contro la Moldavia?

Prima di proseguire, però, sarà bene fare un passo indietro per capirci. La Transnistria, per dirlo in sintesi, è il Donbass della Moldavia. Cioè, una porzione di territorio moldavo, abitata da una popolazione quasi solo russofona, che al momento del crollo dell’Urss decise di reclamare l’autonomia. Per la Transnistria ciò avvenne, con una dichiarazione unilaterale di indipendenza, addirittura prima della fine dell’Unione Sovietica, il 2 settembre 1990. Seguirono forti tensioni con il Governo centrale della Moldavia fino a una vera guerra tra il marzo e il luglio del 1992, cui pose fine l’istituzione di una “zona di sicurezza” lungo il fiume Dnepr che fa da cuscinetto tra le due entità, e il varo di una missione di peacekeeping congiunta con uomini delle forze armate russe, moldave e della Transnistria.

Da allora la situazione non è molto cambiata, se non per due sviluppi politici. Nel 2014, dopo la riannessione della Crimea da parte della Russia, le autorità della Transnistria hanno chiesto l’annessione alla Russia, che per ora non ha risposto. E nel dicembre del 2020 è stata eletta alla presidenza della Moldavia l’economista Maia Sandu, di ispirazione fortemente europeista, che non ha mai nascosto di considerare la presenza di truppe russe e la “indipendenza” della Transnistria un grosso ostacolo all’integrazione europea del suo Paese.

Detto questo, possiamo ritornare al momento attuale, che si presenta più o meno così: la Russia ha dichiarato guerra all’Ucraina e ne ha invaso parte del territorio, con l’obiettivo dichiarato (vedi sopra) di arrivare fino alla Moldavia dove peraltro, dicono ora i russi come dicevano prima dell’invasione a proposito del Donbass, ci sono episodi di aggressione alla minoranza russofona; la Moldavia vuole allontanarsi dall’orbita russa (cui peraltro è legata dal fatto di dipendere totalmente da Mosca per le forniture di gas e petrolio) e avvicinarsi all’Europa; la Moldavia è militarmente debole e ha ai confini le truppe della Transnistria filorussa e della Russia stessa sotto forma di forze di pace. Se voi foste un moldavo oggi non sareste, a dir poco, preoccupati?

La stessa preoccupazione che, con ogni probabilità, angoscia oggi anche i georgiani. Perché la Georgia somiglia molto all’Ucraina e alla Moldavia. Anche lei ha il suo Donbass e la sua Transnistria: si chiama Ossetia del Sud e, dopo anni di tensioni, cercò di staccarsi dal resto del Paese appena dopo il crollo dell’Urss, alla fine del 1991. Seguirono scontri, poi una guerra civile con mille morti e 100 mila profughi, fino alla tregua del 1992 garantita dalla solita forza di pace di russi, georgiani e osseti. La situazione rimase più o meno stabile fino al 2004, cioè a quando presidente della Georgia divenne Mikheil Saakashvili, che della “questione osseta” fece il perno del proprio mandato. Le tensioni risalirono, anche perché Saakashvili vantava un’ottima intesa con il presidente Usa George Bush e perché nel 2006 fu inaugurato l’oleodotto BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan) che, in concorrenza con gli oleodotti russi, portava il petrolio dell’Azerbaigian fino in Turchia passando, appunto, per la Georgia. Nel frattempo si cominciò a parlare dell’ingresso della Georgia nella Ue e nella Nato. Così, nel 2008, la Russia approfittò delle provocazioni di Saakashvili per mandare un messaggio agli Usa: mosse l’esercito, invase parte della Georgia e fece capire che quell’area non poteva ricadere nell’orbita europea né in quella americana. Anche perché il Cremlino già sospettava che le turbolenze nel Caucaso, e in particolare in Cecenia, fossero state fomentate dagli Usa in collaborazione con l’Arabia Saudita, incaricata di sollecitare e finanziare l’estremismo islamista.

C’è infine un ultimo elemento: l’anno scorso i presidenti di Georgia, Moldavia e Ucraina incontrarono insieme Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, per manifestare non solo l’aspirazione europea ma anche per far capire che tale aspirazione accomunava i tre Paesi. È facile immaginare quanto la cosa possa essere piaciuta a Vladimir Putin e a Sergey Lavrov, il suo ministro degli Esteri.

E dunque tutto questo ha una logica. Ha una logica che i russi, con le operazioni militari che conducono nell’Est dell’Ucraina, vogliano scendere fino a toccare la Moldavia. Se ce la facessero, avrebbero di fatto ricostruito una specie di Muro di Berlino fatto di territori occupati in parte in modo “naturale” (perché abitati da popolazioni russe o russofone) e in parte con la forza delle armi. E avrebbe una logica se gli attentati in Transnistria fossero organizzati da ucraini e moldavi (più probabilmente da Usa e Ucraina con la partecipazione della Moldavia) per impegnare su un secondo fronte la Russia che sta già faticando molto sul fronte ucraino. L’unica cosa certa è che dai Paesi coinvolti in questa guerra partono sempre meno segnali di trattativa e sempre più segnali di allargamento del conflitto. Sarà lunga e sarà crudele, prepariamoci.

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